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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELL
ANGOLA
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 23 maggio 1986

 

Signori cardinali, miei amati fratelli nell’episcopato.

1. Salutandovi cordialmente, nell’“unità dello spirito mediante il vincolo della pace” (Ef 4, 3), provo nei vostri riguardi gli stessi sentimenti che, in modo così gentile ed eloquente, mi sono stati espressi dal signor cardinale don Alexandre do Nascimento, in nome di tutti i membri della CEAST.

Confesso, carissimi vescovi dell’Angola, Sao Tomé e Principe, che desiderando vedervi e ascoltarvi, quando mi fu annunciata la vostra “visita ad limina Apostolorum”, intensificai le mie abituali preghiere. Nel clima liturgico della Pentecoste, implorai lo Spirito Santo di poter comunicare a voi, in questo incontro tra fratelli, qualche grazia spirituale, con il fine di “confermarvi” e rafforzarvi; o prima ancora parafrasando l’apostolo “per confortarmi di nuovo con voi, per mezzo vostro, grazie alla fede comune” (cf. Rm 1, 11-12).

È sempre stato per me motivo di letizia l’incontro con tutte le categorie dei fedeli e altre persone, qui nel cuore della cristianità, ed è maggiore la mia gioia quando, come successore di Pietro al servizio della Chiesa universale, posso indirizzarmi ai vescovi delle Chiese particolari. Così, qui riuniti nell’amore di Cristo, “saldi nella fede” della sua presenza tra noi e “incrollabili nella speranza” che in lui abbiamo riposto (cf. Col 1, 23; 2 Cor 1, 10), stiamo celebrando la collegialità, come successori degli apostoli, dei “suoi, che lui non chiama più servi, ma amici, mantenendovi come egli vi volle "voi che siete tutti fratelli"” (cf. Mt 23, 8); e “tu Pietro conferma i tuoi fratelli” (Lc 22, 32).

2. Spontaneamente voglio esclamare come il salmista: “Come è bello, com’è gioioso, che assieme congiunti stiano i fratelli!” (Sal 132, 1). Di questa esclamazione ringrazio il Padre, rendo lode al Figlio e supplico lo Spirito Santo: per l’unità dell’episcopato dell’Angola e Sao Tomé in sé e con il successore di Pietro, fatto di cui ho inequivocabili prove, che è al servizio delle Chiese africane, già da molto tempo evangelizzate e ciò nonostante giovani, in via di sviluppo, rilevatrici di segnali di intensa vitalità in mezzo a difficoltà ben conosciute.

Nel contesto africano e della Chiesa universale, le comunità cristiane dell’Angola e Sao Tomé, si presentano nello stesso tempo, come missionarie e di missione. Anche lì il Vangelo si incontrò con lo spirito tendenzialmente e ambientalmente religioso delle popolazioni. Risultato di questo incontro, di questa “prima evangelizzazione”, furono le conversioni, i Battesimi e le adesioni a Cristo di un elevato numero di figli di queste terre, dove il benemerito lavoro missionario viene da lontano ed ebbe in questo secolo un grande impulso.

Sono sicuro che, insieme a voi, i fedeli delle vostre diocesi sentono una gratitudine profonda nei confronti dei missionari, per l’annuncio del Vangelo e anche per ciò che insieme ricevettero nella linea di promozione umana e sociale, mediante scuole, ospedali e tutta una serie di iniziative di carattere educativo, assistenziale, e caritativo.

Qui, insieme a voi, voglio rendere omaggio a questi missionari, testimoni di Cristo e portavoci del messaggio evangelico. E, come mi avete confermato, ancora oggi i vescovi, le comunità ecclesiali e la gente della vostra terra, sentono la necessità, apprezzano e desiderano avere missionari - sacerdoti, religiosi e laici - e ci chiedono in primo luogo “pregando il Signore della messe che mandi operai per la sua messe”, che già biondeggia pronta per la mietitura” (Mt 9, 37). Consapevoli di ciò, con spirito costruttivo e ottimismo cristiano, fatti “voce di un popolo che continua ad essere privato di questa voce”, come scriveste, avete condiviso con me speranze e problemi, vittorie e ostacoli, insieme a non poche sofferenze, che accompagnano il vostro compito di pastori che desiderano vegliare e guidare il gregge che il Signore vi affidò, con buona volontà, non come dominatori, ma come modelli (cf. 1 Pt 5, 2-3).

3. È il caso di ricordare la storia di più di quattro secoli di presenza della Chiesa in queste regioni. Non permettendolo però il tempo, guardiamo al presente, alla luce della speranza. Sono a conoscenza della Chiesa e del mondo, circostanze peculiari a tutto un nuovo contesto socio-politico in cui la Chiesa deve continuare ad affermarsi come regno di Dio, ben definito nelle parabole del Maestro, raccolte nel Vangelo, soprattutto quella del “fermento”.

Dopo la recente indipendenza, in particolare nelle promettenti terre dell’Angola, il vostro popolo attraversa un momento delicato nella definizione della propria identità, come giovane nazione, e nella ricerca della direzione delle linee del suo cammino storico, nel concerto dei popoli. Il quotidiano dramma della mancanza di sicurezza e della lotta armata non cessa di seminare lutto, distruzione e desolazione nelle vostre circoscrizioni ecclesiastiche. Forse non completamente conosciuto dagli uomini, ma ben conosciuto da Dio, questo calvario di sofferenze e privazioni del popolo dell’Angola, non ha risparmiato i servitori della Chiesa dai sacrifici: si è giunti all’estremo dei rapimenti di persona, inclusi alcuni missionari - obbligati repentinamente ad abbandonare le comunità in cui prestavano il servizio pastorale o esercitavano la carità e l’assistenza - evidenziando ovviamente i numerosi casi di coloro che sigillarono con il proprio sangue l’amore di Cristo, al servizio dei fratelli.

Questa non è una sorpresa. Il Signore amorosamente l’aveva previsto: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me” (Gv 15, 18). Ciò è comunque doloroso e a volte gravoso. Non sarebbe necessario dirvelo di nuovo: il Papa è stato e continua ad essere più che mai presente per tutti, con la preghiera o con il suo amore per il Signore, affratellato con questi membri che soffrono nel corpo di Cristo (cf. 1 Cor 12, 26).

4. Fu in questo momento e congiuntura storica che il Signore vi chiamò, scelse e inviò per diffondere in questo popolo - segnato dalla inquietudine, incertezza e sofferenza - le meraviglie del suo amore. Fu lì che volle voi quali “ambasciatori di Gesù Cristo, come se Dio stesso esortasse per mezzo vostro” (cf. 2 Cor 5, 20): “Esortasse ogni uomo a cogliere in sé e negli altri la profonda necessità di amare e di essere amato nella verità, nella giustizia e nella condivisione del bene comune”; “esortasse” ad accogliere il suo amore e la sua misericordia che, nella storia umana, hanno una forma e nome: Gesù Cristo. In altre parole, fu lì che lui vi volle ad evangelizzare “in primo luogo dando testimonianza, in modo semplice e diretto, di Dio, rivelato da Gesù Cristo, nello Spirito Santo” (cf. Evangelii Nuntiandi, 26).

Ci sarebbero moltissimi punti da trattare, nell’insieme dei problemi pastorali o con incidenza pastorale, toccati nella relazione e di cui mi avete parlato nei nostri incontri individuali. Vorrei limitarmi ad alcuni che sembrano essere, e voi stessi me li presentaste come tali, i più urgenti, sempre con la grande certezza che tutti viviamo: “Se il Signore non fabbrica la casa, lavora invano chi la costruisce” (Sal 127, 1).

5. Se già accompagnavo con la preghiera e pensavo con sollecito amore alle comunità cristiane dell’Angola e Sao Tomé, anche prima di questa vostra “visita ad limina”, ora lo faccio ancor più motivato; vorrei che portaste loro, con la certezza del mio apprezzamento e della mia simpatia e benevolenza, una parola di stimolo, insieme a un interesse particolare per i vostri cari rappresentanti: i sacerdoti. Anche loro sono “ambasciatori di Cristo, come se Dio stesso esortasse per mezzo loro” (cf. 2 Cor 5, 20) grazie a tutto il loro essere e agire di testimoni di un’altra vita, differente da quella terrena.

Fra le preoccupazioni che assorbono le vostre energie di pastori, so che nel vostro quotidiano date priorità alla formazione presbiterale: dei sacerdoti già ordinati, che sono pochi in relazione alle difficoltà, e dei candidati al sacerdozio, presupponendo tutta la problematica della pastorale vocazionale. È continuamente verificato che, generalmente, la configurazione delle comunità cristiane e degli aspiranti alla vita sacerdotale dipende direttamente dalla figura dei sacerdoti che ha di fronte: costoro costituiscono il punto di riferimento e il modello per la maturazione nella fede e nella vocazione battesimale alla santità della vita, diversificata nelle scelte esistenziali, nel corpo della Chiesa.

Perciò è necessario che, nella formazione iniziale e in quella continua dei “ministri di Cristo e dei dispensatori dei misteri di Dio”, prevalga l’attenzione al plasmare e coltivare testimoni convincenti di Gesù Cristo, che rappresentino nella propria persona e nel comportamento, una norma di vita per quanti li circondano, così come aveva intuito san Pier Damiani: “Che si legga nella vostra vita ciò che si deve fare e ciò che si deve evitare . . . basta un po’ di sale per dare sapore a molti alimenti: basta un piccolo numero di sacerdoti per istruire e formare la moltitudine di una cristianità” (Lettera ai Cardinali: II, 1: PL 144, 258).

6. Non fu per caso che il Santo utilizzò l’analogia del “sale”; è evangelica e significa qualcosa di “differente” da ciò che deve essere “condito”. Perciò il Concilio accentuò questa “differenza” soprattutto nei decreti Optatam Totius e Presbyterorum Ordinis. “Uomo per gli altri”, il sacerdote sarà una misura del suo peculiare e coerente modo di essere “uomo per Dio” (cf. Eb 5, 1), nel cammino verso l’imitazione di Cristo, redentore dell’uomo: cammino di umiltà e obbedienza, di continenza, perfetta e perpetua, di spirito di povertà, perché il Signore è sua parte ed eredità.

Continuate inoltre, cari fratelli, nell’impegno meritevole di encomio, che avete riferito nella Relazione Generale II, ossia nel formare e aiutare i vostri sacerdoti nella considerazione e nell’esercizio di ciò che li rende “uomini per Dio e per gli altri”, come la Chiesa madre e maestra vi vuole: vivendo in intimità con Dio la grazia che vi fu data attraverso l’“imposizione delle mani”; vivendo il dolore dello Spirito che è il celibato, disciplina che la Chiesa è decisa a conservare come un tesoro; nonostante sia conscia di “portare questo tesoro in vasi di fango” (cf. Codice di diritto canonico, 277). È questa la strada di un cuore indiviso e libero, per dedicarsi al servizio di Dio e degli uomini. Perché eminentemente spirituale, questo servizio non si può comparare all’esercizio di una professione liberale: è una missione, nella missione della Chiesa. E per questo fine la stessa Chiesa conta sui sacerdoti dell’Angola e Sao Tomé e confida in loro.

7. Fra i numerosi altri motivi di consolazione, mi informaste con gioia che sta crescendo il numero delle vocazioni autoctone, maschili e femminili: è una speranza che non deve essere frustrata dalla mancanza di una formazione seria e profonda di chi ha la vocazione. Al numero, tanto di chi è consacrato, quanto nelle file sacerdotali, deve corrispondere la qualità dei prescelti. È un lavoro paziente, oscuro e non sempre accompagnato da frutti visibili; ma non si deve alterare nel suo ritmo e rigore per nessun motivo. Dipendendo dalla grazia divina, in una buona percentuale, formare i futuri “consacrati” e “inviati” deve essere come il lavoro del contadino che fatica e “aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d’autunno e le piogge di primavera (Gc 5, 7).

Mi avete confermato che in Angola e Sao Tomé si spera e si aspetta molto dalle Congregazioni religiose, per la formazione del clero diocesano e dei “consacrati”. Sono certo che la generosità delle Famiglie religiose continuerà a manifestarsi fino a che si disporrà di personale nelle diocesi, in condizione di plasmare anime entusiaste della loro donazione totale, sacerdoti ardenti di zelo, interamente dedicati al ministero e convinti della grandezza dell’essere “inviati da Dio”, forse missionari nel significato corrente della parola, destinati a “generare Chiese”.

8. È di consolazione per me sapere che il popolo della vostra terra, con la sua religiosità quasi congenita, è aperto al Vangelo e manifesta una profonda sete di Dio; e che i laici delle vostre Chiese, data la scarsezza dei sacerdoti, prendono ogni volta di più coscienza delle proprie responsabilità nell’evangelizzazione. In molti campi - come sappiamo e il Concilio relazionò - senza l’opera dei laici costerebbe molto alla Chiesa poter essere presente e operante, affinché la forza del Vangelo porti a modificare gradualmente i criteri di giudizio, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita che sono, a volte, in contrasto con la dignità umana e con il disegno universale di salvezza: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm 2, 4). Conoscendo la collaborazione prestata da tanti laici che cercano di vivere il compromesso cosciente e attivo con la missione della Chiesa nelle vostre comunità, soprattutto nel campo della catechesi, desidero stimolarli verso la generosità, che va verso il sacrificio, e incoraggiare voi a dare una mano a questo aiuto prezioso.

Mi congratulo con voi, ancora, per la creazione dell’Istituto di scienze religiose dell’Angola (ICRA) in vista di una più accurata formazione di un laicato all’altezza del momento che vive la Chiesa e la Nazione. Che l’influenza di questo Istituto, attingendo dai settori intellettuali e universitari - i grandi operai della società pluralista - rimedi le rotture fra il Vangelo e la cultura o le culture nella vostra terra.

9. So del vostro impegno premuroso e efficace anche nella “funzione di ambasciatori di Gesù Cristo, come se Dio esortasse attraverso la vostra bocca”, e nei due campi a cui ora mi riferirò: 1) la problematica della famiglia con le insidie che la minacciano. So che la considerate priorità pastorale, come emerge dalla Lettera che pubblicaste due anni fa; mi limito a stimolare questo programma e impegno, a favore delle famiglie secondo Dio: il futuro dell’uomo nel mondo, nella Chiesa e, in concreto, nei vostri Paesi passa attraverso la famiglia; 2) i giovani promessa di un domani migliore. Anche su questo aspetto mi confidaste le vostre giustificate preoccupazioni pastorali. Con apprensione vidi confermato, nelle vostre relazioni, quanto la gioventù, principalmente in Angola, sia segnata dal momento storico che lì si sta vivendo. Comunicate ai cari giovani della vostra terra la grande simpatia e l’affetto con cui il Papa e tutta la Chiesa in generale li accompagnano e si interessano a loro. Dite ancora loro: che non si lascino strumentalizzare, né ribassare; insistete, “opportunamente e inopportunamente . . . con bontà e dottrina”, affinché sappiano reagire ai controvalori; che coltivino la propria capacità e generosità per abbracciare ideali nobili; che vivano la certezza di non poter edificare su altro fondamento se non Gesù Cristo, redentore dell’uomo; fate loro vedere, infine, che alle loro aspettative in relazione alla Chiesa corrisponda la grande speranza che la Chiesa stessa deposita in loro, che è voto e insieme preghiera al grande Amico dei giovani, Gesù Cristo: affinché mai si lascino catturare da ideologie o sistemi che predicano la violenza e l’odio, poiché solamente l’amore può costruire una civiltà d’amore.

10. Non si presenta facile il contesto della vita e della missione delle Chiese dove siete pastori: desidero in questo momento spingervi, “fermi nella speranza”, a guardare di fronte e in alto. Attenti, con la semplicità della colomba e la prudenza del serpente all’evolversi delle situazioni e delle mentalità, all’irruente infiltrazione delle ideologie e ai disastri della lotta armata, cercate di unire alla vostra fermezza il possibile adattamento alle circostanze.

La vostra speranza e la speranza che diffondete non è alienante e non vi lascerà confusi, “perché l’amore di Dio è stato diffuso in abbondanza nei nostri cuori dallo Spirito Santo” (Rm 5, 5), lo Spirito della Verità. Ed è la forza della verità che vi indicherà, mantenendo la fermezza, l’apertura e il contributo per il dialogo, nella ricerca della riconciliazione dettata dall’amore. L’unica rivoluzione che la Chiesa può, vuole e sa fare, per esperienza vissuta, è la rivoluzione dell’amore: del comandamento nuovo, inquadrato nel “sermone della montagna” e inserito nel codice delle Beatitudini.

Sono estremamente complesse le cause dei conflitti che torturano il continente africano, così come i meccanismi politici di potere, degli interessi di parte e degli schieramenti che li determinano e sostentano. Nel frattempo continua con completa validità l’appello che, avvertitamente, la vostra Conferenza episcopale lanciava già nel 1975: “È necessario finirla con le violenze che non conducono a nulla . . .”.

11. La Chiesa, come è risaputo, desiderosa di dare, secondo il principio degli aiuti, il suo specifico contributo per la costruzione della società, a qualsiasi latitudine, non si arroga nessuna competenza per proporre modelli alternativi alle società stesse; non rivendica privilegi; ma rispettando diritti legittimi, al servizio della dignità e della vocazione personale e sociale dell’uomo, desidera il rispetto della propria libertà di agire e di esprimere il proprio messaggio, nella realizzazione della sua missione universale di illuminare gli uomini con la luce delle genti, che è Cristo redentore; desidera poter servire e amare, contribuendo per l’unità dell’uomo con Dio e per la fraternità nella famiglia umana.

In questo senso mi è gradito registrare, con lode, l’opera benemerita e generosa dei figli - sacerdoti religiosi e laici - della Chiesa dell’Angola; nei settori dell’insegnamento e dell’educazione, negli ospedali e ambulatori e nelle tante opere di assistenza e promozione umana; e, meno vistosa, anche nel contributo ispirato dalla carità cristiana, per un’indispensabile ricostruzione del tessuto sociale, fra vari gruppi etnici e unioni, risvegliando la coscienza della responsabilità comune, dinanzi alle sfide che si pongono a tutti.

Ben conscia che la trasformazione delle strutture politico-sociali non può verificarsi né consolidarsi se non per espressione di una conversione interiore, delle menti e dei cuori, alla causa dell’uomo la Chiesa non cessa di presentare, nella verità e nell’amore, strade per la liberazione. L’amore divino, che è la sua vita, la spinge a ciò, così come la porta ad essere realmente solidale con ogni uomo che soffre, a cercare di discernere fra i segni dei tempi quelli che portino con sé garanzie di libertà, da quelli che si rivelano ingannevoli e illusori (cf. Libertatis Nuntius, 60-61). Che il Padre di misericordia e Dio di ogni consolazione faccia sì che il popolo dell’Angola incontri presto l’agognata pace, possa liberamente scegliere e costruire il proprio futuro nella fedeltà ai genuini e sani valori etnici e alle tradizioni storiche, senza ingiuste interferenze, attraverso il cammino del dialogo, della riconciliazione e della fraternità, fino all’amore: incontro nel dono e arricchimento reciproco, di tutti i cittadini angolani. Includo in questa preghiera e in questi voti, con la stessa stima, il popolo di Sao Tomé.

Miei cari fratelli: affido questi voti - per un Angola armonico, pacifico e che percorra il cammino della prosperità fino al suo raggiungimento - a Nostra Signora, che voi felicemente sceglieste e proclamaste patrona della Nazione, con il nome di “Cuore Immacolato di Maria”. Rallegrandomi e rendendo grazie al Signore insieme a voi, per il lavoro che state realizzando e per lo spirito che vi anima, vi prego di portare i miei cordiali saluti al presbiterato, ai religiosi e le religiose - senza dimenticare quelli di clausura -, le persone consacrate, ai laici impegnati nei movimenti e nelle associazioni di spiritualità e apostolato, ai cari catechisti, insomma a tutti i fedeli diocesani, con un’ampia e affettuosa benedizione apostolica.

 

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