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VISITA PASTORALE A CIVITAVECCHIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI GIOVANI

Giovedì, 19 marzo 1987

 

Si è dovuto aspettare fino all’ultimo momento per questa parola rivolta a voi giovani; ma è chiaro che la vostra presenza si è sentita durante tutta la giornata, specialmente durante il primo incontro con la cittadinanza, e poi anche durante l’incontro nel porto e in quello nella centrale termoelettrica.

Adesso siete venuti per partecipare alla santa Messa. Qual è il messaggio specifico di questa celebrazione eucaristica nella solennità di san Giuseppe? Qual è la parola specifica della liturgia della parola divina che abbiamo ascoltato e meditato?

Io direi che c’è un’unica parola: sposo: san Giuseppe sposo della Vergine Maria, così viene chiamato costantemente nella tradizione della Chiesa e della sacra liturgia. Cosa vuol dire sposo? Sposo è colui che è consapevole del dono. Abbiamo visto come Giuseppe di Nazaret, uomo semplice, sia stato consapevole del dono divino. Ma i doni divini si ripetono in tutta la realtà: sono i doni della creazione, della grazia, della persona umana. La persona umana è un dono speciale del Creatore e del Redentore insieme. Ecco, essere sposo vuol dire essere consapevole del dono. Questa consapevolezza crea una nuova mentalità, un nuovo atteggiamento, un nuovo comportamento; quando vediamo il dono nelle opere della creazione e soprattutto nelle persone. Così, san Giuseppe ha visto pienamente con gli occhi della sua dignità e della fede il dono della persona di Maria, il dono ineffabile della persona del suo Figlio divino.

Essere consapevole del dono, questo vuol dire “sposo”. Ma “sposo” vuol dire anche un’altra cosa, legata alla consapevolezza del dono. Essere sposo infatti vuol dire essere pronto a donarsi agli altri; è questo che vediamo nella persona di san Giuseppe.

Questo lo riscontriamo in quel brano stupendo del Vangelo che ci ha lasciato san Matteo e che oggi abbiamo ascoltato; lo vediamo, san Giuseppe, uomo pronto a donarsi, a essere dono.

Voglio lasciare a voi giovani questa “unica” parola che ci viene dalla liturgia odierna, dalla santa persona di san Giuseppe, sposo di Maria. Vi lascio questa parola come tema di meditazione e anche come un impegno di lavoro, perché per essere “sposo”, per diventare “sposo” si deve lavorare molto su se stessi, si devono trasformare profondamente, con il cuore, le valutazioni, le tendenze, i voleri, la concupiscenza; si deve diventare un uomo nuovo, con la grazia di Dio; e la grazia di Dio ci fa “sposo”, ci rende capaci di essere sposi. Questo, carissimi giovani, è il mio augurio per voi; un augurio che vi lascio alla fine di questa bellissima giornata, trascorsa qui a Civitavecchia. Vi auguro di prepararvi bene al lavoro. Il lavoro è per i giovani una grande preoccupazione; parliamo tante volte di questa tematica. Vi auguro anche di ottenere, dopo i vostri studi, dopo la vostra preparazione, questo lavoro tanto auspicato e tanto necessario per un giovane, per una giovane. Si tratta di un problema sociale di primissima importanza, come ho sottolineato oggi durante l’incontro con i lavoratori.

Vi lascio questa consegna, profonda, sacra, che si esprime con la parola “sposo”, attribuita specialmente a san Giuseppe ed attribuibile a ciascuno di noi: sono gli sposi del matrimonio; sono gli sposi dei monasteri; gli sposi e le spose di Cristo. La vocazione religiosa, claustrale, la vocazione sacerdotale sono anch’esse vocazioni di una sposa o di uno sposo, che vuole donare la sua persona.

Sul fulgido esempio di san Giuseppe voglio anche ringraziare tutti coloro che si donano nel servizio. E qui mi faccio interprete di tutti i presenti ringraziando in modo speciale il coro; ringrazio tutti i partecipanti a questa santa, santissima Eucaristia che abbiamo celebrato a conclusione della mia visita nella vostra diocesi di Civitavecchia-Tarquinia. Vi ringrazio per l’invito, vi ringrazio per la buona accoglienza.

Adesso come ultima parola, vi offro una benedizione conclusiva di questa celebrazione, di questa liturgia, di questa giornata. Una benedizione che estendo a tutti, a tutte le persone, specialmente ai nostri carissimi ammalati, a tutte le famiglie, a tutti gli ambienti di lavoro, della vita umana, a tutta la città e alla diocesi di Civitavecchia-Tarquinia.

 

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