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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALL’ASSEMBLEA PLENARIA DI «COR UNUM»

Sabato, 21 novembre 1987

 

Signor cardinale,
cari fratelli nell’episcopato,
cari amici di “Cor Unum”
.

1. È una grande gioia per me ricevervi in occasione della vostra sedicesima Assemblea plenaria e di ritrovarvi, ancora quest’anno, fedeli alla missione che il Papa vi affida. Questa fedeltà non è né statica né fossilizzata; è movimento, progresso e sviluppo del compito che è stato assegnato al Pontificio Consiglio alla sua fondazione.

Per molti anni, ho seguito con un’attenzione particolare gli studi e le attività che avete intrapreso per “salvare” e “riabilitare la carità evangelica”, come vi ho esortati. È chiaro che, per voi, e ve ne sono grato, l’azione si nutre di un approfondimento teologico; ve lo dicevo sei anni fa: “Sforzatevi di promuovere sempre di più la vera concezione della Chiesa come Cristo l’ha voluta e la vuole... cioè una Chiesa che sia una comunità di carità completa, disinteressata, mirante allo sviluppo umano e spirituale di tutti”.

2. La vostra riflessione vi ha condotti, negli anni passati, a meditare sul “povero” e “sull’amore preferenziale per i poveri”. In vista della vostra attuale assemblea, avete scelto come tema: “I profughi”, tutti coloro che possono essere considerati, molto spesso, come poveri tra i poveri. Sapete quanto mi stiano a cuore questi fratelli e sorelle così provati, dei quali la nostra epoca vede crescere il numero in proporzioni inquietanti. Lo dicevo ai profughi che ho visitato con emozione l’11 maggio 1984 , nel campo di Phanat Nikhom in Thainlandia: “Voglio che sappiate che vi amo. Noi siamo veramente fratelli e sorelle, membri della stessa famiglia umana, figli e figlie dello stesso Padre che ci ama. Voglio condividere le vostre sofferenze, le vostre difficoltà, la vostra pena, perché sappiate che qualcuno vi ama, ha pietà della vostra sorte e cerca di aiutarvi a trovare un sollievo, un conforto e un motivo di speranza” (Ioannis Pauli PP. II, Allocutio in castro pro profugis «Phanat Nikhom» cognominato, in Thailandia habita, 2, die 11 maii 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/1 [1984] 1361). Sì, non cesso di perorare la causa dei profughi, di lavorare in loro difesa; così conoscerò le vostre riflessioni e le vostre conclusioni con un grande interesse quando il vostro presidente, il card. Roger Etchegaray, potrà comunicarmele. Il gruppo di lavoro che avete unito lo scorso anno su “i campi dei profughi nei pressi delle frontiere”, testimonia chiaramente la vostra competenza e il servizio che offrite alla Chiesa e al mondo.

3. I profughi come tutti coloro che soffrono di altre forme di povertà o d’ingiustizia, hanno dei diritti su di noi; e il primo di questi diritti è che noi annunciamo e proviamo loro che Dio li ama con un amore preferenziale. Tutti i servizi che possiamo rendere loro, tutta la nostra devozione per accompagnarli, che sono, se noi non abbiamo la carità? Non dimentichiamo mai ciò che dice san Paolo: “Se non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova” (1 Cor 13, 2-3). Se non riceviamo oggi questa chiamata, come potremo proclamare, in modo credibile, le Beatitudini?

L’amore è l’anima di ogni pastorale sociale e caritativa, della “diaconia di carità” che voi avete per missione d’incoraggiare e di armonizzare, di coordinare se necessario, mettendovi al servizio delle Chiese locali perché si costruisca una “civiltà dell’amore”.

4. So che avete partecipato a un incontro importante tra la Chiesa in Haiti e altre Chiese locali e loro Organizzazioni d’aiuto allo sviluppo al fine di permettere una migliore conoscenza reciproca, la comprensione delle iniziative, la comunione nella carità. E offrite all’insieme delle Chiese locali dell’America latina il vostro servizio di riflessione, per aiutare a rinnovare, in questo continente, la catechesi della carità. In accordo con il Celam che ha programmato nove anni per la celebrazione dell’anniversario del quinto centenario dell’evangelizzazione, vi proponete di associarvi, in qualche modo, al cammino degli ultimi tre anni, che sono consacrati alla virtù della carità; auguro con tutti i responsabili che siano l’occasione di un approfondimento, di una meditazione, di riunioni su questo tema, affinché la diaconia della carità in America Latina trovi la sua ispirazione e la seconda evangelizzazione la sua anima.

5. Sì, cari amici, la nostra umanità si sente disorientata alle prese con tanti conflitti e ingiustizie. La vostra relazione annuale accenna a queste numerose sfide che la disorientano. Cerca, spesso inconsciamente, una luce, un polo verso il quale dirigere il proprio cammino.

Discepoli di Cristo, ci è dato per grazia di sapere verso chi dirigere i nostri passi: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6, 68-69). Incoraggiati dalla Beatitudine, prendiamo la strada che porta a Dio Amore: è indicata da tutte le virtù alle quali la carità dà senso e vita: la giustizia, condizione della pace, la forza per vincere i nostri egoismi accaparratori e dominatori. Tutte le energie concordano allora nell’unità e nella solidarietà perché, fedele al suo Cristo, la Chiesa è comunione. Che il Signore vi permetta di compiere con gioia il servizio che vi è chiesto! Vi colmi con le sue benedizioni!

 

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