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VISITA PASTORALE A VERONA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AGLI AMMALATI E AL PERSONALE SANITARIO
DELL’OSPEDALE DI NEGRAR

Domenica, 17 aprile 1988

 

1. A tutti rivolgo il mio cordiale saluto, ringraziando per i sentimenti espressi nelle cortesi parole or ora dettemi.

Con viva commozione sono entrato in questa “Cittadella della carità”, sorta per iniziativa di esemplari sacerdoti del presbiterio veronese, quali don Angelo Sempreboni, parroco di Negrar, e il beato don Giovanni Calabria, con la generosa collaborazione delle Piccole Suore della Sacra Famiglia del beato Nascimbeni; ed ho appreso con gioia quanto si va facendo per allargarne l’azione verso le zone tropicali e in particolare verso il Brasile. Nel quadro della solidarietà universale, sulla quale di recente ho richiamato la riflessione nell’enciclica Sollicitudo Rei Socialis (cf. Sollicitudo Rei Socialis, 39-40), tali iniziative fanno veramente onore ai promotori, ai benefattori ed a coloro che, in vario modo, le sostengono. Esse dimostrano ancora una volta, come chi lavora nel mondo della sofferenza sia particolarmente sensibile verso quanti patiscono disagi, anche se vivono lontano. Continua in tal modo a rinnovarsi la parabola del buon samaritano (cf. Salvifici Doloris, 28-30).

2. All’apprezzamento per l’amministrazione dell’ospedale e per il personale sanitario desidero aggiungere una parola di incoraggiamento, egualmente calorosa, per tutti i degenti, presenti in ospedale. So bene, carissimi ammalati, che la vostra attuale condizione comporta difficoltà e disagi sia per voi che per i vostri familiari. Vi esorto ad arricchire la prova, che state attraversando, con l’accettazione amorosa della volontà di Dio, ed in unione sempre più intima con Cristo Signore che, con la sua gloriosa risurrezione, ha dischiuso la speranza della vittoria sul male, di cui la malattia è una delle forme più pesanti; ed auspico di cuore che ognuno di voi possa ritornare, presto e ristabilito in salute, in seno ai propri cari e riprendere, nella serenità e nella gioia, un ritmo di vita tranquillo ed operoso. Assicuro per questo il ricordo nella mia preghiera al sacro cuore di Gesù, sorgente di ogni consolazione, ed alla beata Vergine Maria, aiuto dei cristiani e causa della loro letizia.

Su tutti voi e sui vostri congiunti, sui responsabili e su tutto il personale, laico e religioso, dell’ospedale imparto volentieri la mia apostolica benedizione.

Prima di impartire la Benedizione Apostolica, Giovanni Paolo II così prosegue.

Non ho potuto visitare tutte le camere, tutti gli edifici, incontrare personalmente tutti i degenti, gli ammalati come anche tutti coloro che li assistono. Ho potuto incontrare di persona solamente un gruppo. Ma adesso voglio esprimere a tutti quella vicinanza che è la vicinanza di Cristo che ha lasciato a noi tutti e specialmente a noi Vescovi il compito, il privilegio di benedire nel nome della Santissima Trinità. E con questa benedizione siamo sempre e dappertutto vicini, non noi, ma lui stesso, il Cristo, suo Padre, lo Spirito Santo sono e si fanno di nuovo vicini a ciascuno.

Vi auguro questa vicinanza di Dio, questa presenza di Cristo. Egli è sempre presente dove è la sofferenza, dove è la croce. Ci ha lasciato il segno della croce e questo segno ha tanti significati. Cristo ha detto: Io sono dappertutto dove è la croce. Dove è la croce, lì si trova Cristo, egli è vicino. Vi auguro questa sua presenza, questa sua vicinanza, questa sua assistenza superiore a tutte le assistenze. Egli compie la sua missione messianica attraverso voi, carissimi fratelli e carissime sorelle medici, infermieri, attraverso voi, carissime suore, religiose, attraverso tutte le altre persone che assistono con grande sacrificio, con grande impegno gli ammalati, i sofferenti. Ecco, desidero che in questo momento conclusivo del nostro incontro sia presente specialmente Cristo e che lui benedica voi tutti e noi tutti qui presenti con il suo mistero pasquale, con la sua croce e la sua risurrezione.

 

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