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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO

Sabato, 6 febbraio 1988

 

Cari fratelli e sorelle della Comunità di sant’Egidio.

1. Siate i benvenuti! Saluto il vostro presidente, professor Andrea Riccardi e l’assistente, don Vincenzo Paglia; e saluto tutti voi, manifestandovi la mia gioia ed il mio augurio per il ventesimo anniversario della vostra fondazione.

Ricordo i tanti incontri con la Comunità. Agli inizi del mio episcopato romano, in visita alla Garbatella - era il dicembre 1978 - mi imbattei in una vostra opera di carità e la visitai. Dopo quella prima volta, spesso vi ho incontrato soprattutto nella periferia della diocesi, durante le visite alle parrocchie, ma anche nella Chiesa di sant’Egidio e a Castelgadolfo. E poi vi ho trovato in Italia e in varie parti del mondo. Ho avuto molte occasioni, lungo questi dieci anni, di seguirvi e di ascoltarvi: è stato per voi un periodo di crescita interiore e di sviluppo anche fuori Roma durante il quale - nella Pentecoste 1986 - avete ricevuto il riconoscimento come Associazione pubblica di laici da parte della Santa Sede.

2. Non è un caso che, per il ventesimo anniversario, vi siate raccolti a Roma e veniate a render visita al Papa, che è il Vescovo di questa Chiesa. La vostra Comunità è nata qui, nel 1968, da un gruppo di studenti; è cresciuta in questa Chiesa di Roma “che presiede nella carità”. Vi siete sviluppati poi anche altrove, inserendovi in altre Chiese locali, ma avete mantenuto sempre uno spiccato senso della “romanità” della vostra origine. Vi dissi a Castel Gandolfo nel 1986: “Dove ci sono le Comunità di sant’Egidio - anche non a Roma - sono sempre di Roma”.

Questo carattere non vuol essere motivo di orgoglio o di privilegio. Vi si esprime piuttosto quel primato della carità, che tanto insistentemente Gesù ha inculcato nel Vangelo: “Chi vuol essere il primo fra di voi sarà il servo di tutti” (Mc 10, 44). La Comunità di sant’Egidio ha vissuto questo servizio, secondo il suo Statuto, nell’evangelizzazione, nella scelta per i poveri, nell’amicizia e ospitalità in spirito ecumenico e di dialogo.

3. Dall’evangelizzazione sono nate le vostre Comunità anche in vari Paesi europei e in America Latina. Fin dall’inizio avete ascoltato le parole dell’apostolo Paolo ai Corinti che leggeremo nella liturgia di domani, vostro giorno anniversario: “Guai a me se non predicassi il Vangelo”. Ma l’Apostolo aggiunge: “Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il Vangelo . . .” (1 Cor 9, 16. 18). È questa la ricompensa che voi oggi gustate. E, vedendo i frutti del Vangelo, sono lieto di gioire con voi.

A chi incontrate insegnate ad amare i poveri, quei “miei fratelli più piccoli” (Mt 25, 40) di cui parla Gesù. È un aspetto fondamentale della formazione che date ai giovani: l’amore per i poveri. Continuate ad orientarli verso questo impegno quotidiano di vita. Chi è in difficoltà deve poter trovare un aiuto presso le Comunità di sant’Egidio: se mancano i mezzi sopperisca una vita impegnata e generosa.

Io stesso, ricevendovi con gli anziani nel 1982,ho potuto vedere la riconciliazione operata con loro, troppo spesso emarginati dalla società e costretti a spegnersi nell’isolamento. Ormai, come allora, sento che l’amore per gli anziani è parte integrante della difesa della vita: non si può accettare lo scandalo di una società che allontana l’anziano perché è inutile, e maledice il dono di una lunga vita.

4. Frutto della vostra scelta per i poveri è il servizio agli zingari e agli stranieri. L’accoglienza agli stranieri poveri costituisce un fenomeno evangelico immesso nella nostra società, tentata dal ripiegamento sulla sua opulenza e sui suoi problemi. La filoxenia, l’amore per lo straniero, ha radici profonde nell’esperienza di fede, fin da Abramo, che accolse a Mamre tre stranieri e ne trasse una grande e feconda benedizione.

Questo senso di ospitalità e di fratellanza universale si ritrova anche nell’impegno ecumenico e di dialogo, che sant’Egidio vive partecipando alla vocazione della Chiesa di Roma nella sua dimensione locale ed universale. La vostra piccola comunità dell’inizio non si è posta alcun confine, se non quelli della carità.

Il mondo è oggi una terra d’angoscia. Gli uomini che vi abitano hanno paura gli uni degli altri. Da questa paura nascono l’ignoranza vicendevole, l’inimicizia e la violenza. Bisogna vincere questa paura con le sue tristi conseguenze. Il vostro impegno di fraternità universale tende a costruire rapporti di fiducia e di amicizia, che sradichino la paura e l’inimicizia.

5. In questo spirito voi vi dedicate anche a promuovere il dialogo tra cristiani e tra credenti di religioni diverse. Con legami, viaggi, incontri, avete creato una fraternità con esponenti e situazioni delle Chiese d’Oriente e, recentemente, avete potuto ricevere a santa Maria in Trastevere, con i giovani della diocesi di Roma, il Patriarca ecumenico Dimitrios I. Le distanze tra gli uomini sembrano ancora più ampie. Ma i rapporti di amicizia, fraternità e comunione rendono tutti vicini, smorzando ogni paura. E sant’Egidio dà in questo senso un contributo importante a rendere uomini e donne, anche di religioni diverse, più vicini e più fratelli.

Il primato della carità, fonte dell’evangelizzazione, del servizio ai poveri, di ogni dialogo, è il cuore del vostro impegno. E anche un eredità della Chiesa di Roma, che voi rinverdite. Per confermarvi in essa voi vi appoggiate a Cristo mediante la preghiera. Sono lieto di sapere che perseverate nella preghiera quotidiana, la sera, nella Chiesa di sant’Egidio ed in molti luoghi a Roma ed altrove. In questo ventesimo anniversario, vorrei ricordarvi che il segreto del vostro impegno in ogni direzione è qui: è il Cristo, che, nella preghiera e nell’amore, si manifesta come “fondamento” (1 Cor 3, 10) di ogni costruzione.

Restate fedeli a Cristo! Perseverate con assiduo fervore nella preghiera! Con questa raccomandazione, che è ad un tempo un augurio e una consegna, di cuore vi benedico.  

Al termine del discorso, il Santo Padre ha pronunziato le seguenti parole:

Vi ascolto sempre con grande gioia quando fate l’autopresentazione con il canto “Noi non abbiamo”, che vuol dire “noi non ci diamo niente”. Ma si tratta della Parola di Dio, quindi, “Noi ci diamo tanto”. Mi piace molto questa canzone per il paradosso evangelico che contiene e che ci porta direttamente verso il mistero di Cristo, colui che essendo il più ricco, divinamente ricco, si è fatto povero per noi, per farci ricchi. Vi auguro di penetrare sempre più in questo mistero con la vostra vita e con la vostra consapevolezza cristiana, con la vostra missione, con la vostra esperienza e di portare avanti, insieme questa opera che porta il bel nome di sant’Egidio.

 

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