Index   Back Top Print

[ DE  - IT ]

VISITA PASTORALE IN AUSTRIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALL
’EPISCOPATO AUSTRIACO

Salisburgo - Venerdì, 24 giugno 1988

 

Carissimi confratelli nell’episcopato.

1. Come ho detto nel breve messaggio televisivo che ha preceduto questa mia visita pastorale, i nostri incontri vogliono essere una lieta festa della nostra fede, nella quale ci rafforziamo reciprocamente.

Questa festa assume un particolare spessore in questo nostro fraterno incontro di oggi.

Il motto che avete scelto per la mia seconda visita pastorale al vostro Paese: “Sì alla fede - Sì alla vita”, è nello stesso tempo professione di fede ed esortazione. Esso assume un’attualità e un significato tanto più grandi nella comunità dei Vescovi, che la Provvidenza divina ha ordinato come pastori del Popolo di Dio in Austria. Il Concilio Vaticano II ha assegnato un “posto di primo piano”, tra i ministeri più importanti dei Vescovi, proprio all’annuncio del Vangelo. Infatti dice: “I Vescovi, infatti, sono gli araldi della fede che portano a Cristo nuovi discepoli; sono i dottori autentici, cioè rivestiti della autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica nella vita, che illustrano questa fede alla luce dello Spirito Santo” (Lumen Gentium, 25).

Cristo ha pregato espressamente per il capo del Collegio dei Vescovi - per Pietro ed i suoi successori - perché la sua fede “non venga meno” e nello stesso tempo gli ha dato il compito esplicito: e tu “conferma i tuoi fratelli” (Lc 22, 31 s).

2. Vi ringrazio di cuore per avermi offerto, con il vostro cordiale invito, la splendida occasione di questa seconda visita alle vostre Chiese locali. Ho colto questa occasione con gioia e volentieri contraccambio, in uno spirito di profonda unione fraterna, la visita “ad limina” che mi avete fatto collettivamente l’anno scorso a Roma. Il nostro odierno incontro vuole continuare a approfondire il dialogo iniziato allora.

Vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per preparare la mia visita, affinché sia per tutti i partecipanti una giornata di grazia e di rinnovamento religioso. Vi ringrazio per il servizio che rendete al popolo santo di Dio, per la vostra fedeltà a Cristo e per la vostra unità con il successore di Pietro nella comune missione di annunzio della fede. Dalla mia pluriennale esperienza so fin troppo bene a quali difficoltà e pericoli va incontro un Vescovo, testimone della lieta novella di Gesù Cristo, proprio nel mondo secolarizzato di oggi. Nelle vostre quotidiane preoccupazioni vi assicuro della mia costante, fraterna solidarietà nella consapevolezza che vi impegnate con piena dedizione nell’amore a Cristo ed ai fedeli che vi sono affidati per la costruzione del Regno di Dio nelle vostre diocesi e parrocchie. Questa solidarietà, che ha il suo fondamento nella missione comune e affonda le sue radici nella fede comune, rende anche possibili sincerità e franchezza tra di noi.

Sapete bene che vi sono grato perché mi presentate con schiettezza come si conviene tra fratelli, le vostre domande e le vostre preoccupazioni. Se vi parlo sempre con la stessa franchezza, prendetelo come un segno della mia fiducia. Soltanto in questo spirito potremo far fronte ai grandi compiti che ci si pongono. Conosciamo tutti l’esperienza degli apostoli, le notti di frustrazione, dalle quali torniamo con reti vuote. Proprio nell’esperienza dei nostri limiti il Signore ci prepara ad affidarci non a noi stessi, ma a lui, senza condizioni e senza paura. Il leale riconoscimento di fallimenti e di insuccessi non ha dunque nulla a che vedere con il pessimismo che paralizza o con lo scoraggiamento. Deve soltanto condurci più vicini al Signore e gli uni gli altri per rafforzarci vicendevolmente ed essere riconosciuti come servi fedeli di Gesù Cristo.

3. Il motto di questa visita pastorale deve ispirare anche questo nostro incontro di oggi. Ci fa ricordare innanzi tutto con gratitudine che in questa città così ricca di storia, in questo bel paese nel cuore dell’Europa, i vostri antenati pronunciarono prontamente, con la grazia di Dio, il loro “sì alla fede”, allorché il missionario Rupert con i suoi compagni e i suoi seguaci annunziò loro la fede cristiana e costituì questa diocesi. Il popolo credente è rimasto in maggioranza fedele alla Chiesa cattolica anche nei tempi più difficili. I Vescovi di Salisburgo già nei primi secoli si adoperavano con zelo affinché la fede cristiana fosse trasmessa nei Paesi dell’Europa orientale. Molti di essi, con il loro coerente sì alla fede, hanno risposto come san Rupert e come molti altri fedeli alla chiamata alla santità; tra di essi san Vigilio, san Vitale e sant’Arno. Tutto il vostro popolo, tutto il vostro paese, sono profondamente segnati dalla fede cristiana e da una ricca tradizione religiosa.

Un retaggio prezioso, che deve essere continuamente riscoperto, gelosamente protetto e colmato nuovamente di vita. Vogliamo ringraziare Dio per la presenza, in molti abitanti di questo paese, di una fede profonda e forte ancora oggi, e per il sincero impegno di molti a vivere questa fede e a testimoniarla con le opere dell’amore. Ma sappiamo anche che in molti la fede purtroppo è diventata superficiale o si è fossilizzata nella consuetudine e nella tradizione. Altri ancora - e non sono pochi - sono usciti in questi ultimi anni dalla Chiesa, quali che ne siano stati i motivi. Le dimensioni della secolarizzazione come conseguenza del benessere e dell’indifferenza religiosa sono molto aumentate presso di voi nella vita dell’individuo, della famiglia e soprattutto nella vita pubblica. La fede ha perduto forza nella vita concreta di ogni giorno.

Non si richiedono oggi soltanto singole iniziative pastorali; diventa sempre più necessaria una completa rievangelizzazione che comincia da individui, dalle famiglie e dalle comunità e faccia sgorgare di nuovo le sorgenti inaridite della fede e di una convinta sequela di Cristo. Esortiamo i nostri cristiani a dire un nuovo sì alla fede, che possa diventare un nuovo sì alla vita, ad una vita nell’amicizia con Dio che libera e che dà felicità.

4. Cari confratelli! Quali Vescovi siamo innanzi tutto messaggeri di fede, annunziatori della lieta novella che deve condurre a Cristo nuovi discepoli e rinnovare i tiepidi e gli stanchi nella loro vita di fede. La trasmissione viva della fede è oggi uno dei compiti più importanti della Chiesa. Non si tratta solo di conservare genuina la fede, ma anche di trasmetterla così che i cuori vengano accesi dalla lieta novella e gli uomini riconoscano che in tal modo la loro vita attinge chiarezza e forza per una unione viva con Dio ed anche per il servizio al loro prossimo e ad una impostazione cristiana della società.

Come pastori ordinati da Dio nel Popolo di Dio, dovete vegliare con cura sul patrimonio della fede affidatovi da Dio, affinché la fede venga tramandata intera e integra alla futura generazione. Ma siate sempre consapevoli che la Chiesa non è una raccolta di dottrine aride e convenzionali da custodire e proteggere. Ciò che la Chiesa insegna non è mai soltanto una formula. È frutto di un incontro vivo con il Signore ed è dunque la porta che conduce a lui. È rivelazione di quella verità che è via. Quando viene fatto cattivo uso della dottrina, la vita viene attaccata, le vie vengono sbarrate. Tutte le dottrine della nostra fede confluiscono in una persona viva che è Gesù Cristo (cf. Catechesi Tradendae, 5). Noi amiamo la conoscenza della fede, perché in essa amiamo la fede stessa; fede è conoscenza, che è nata dall’amore. E in definitiva si tratta pur sempre dell’incontro personale con Gesù Cristo. Esso è decisivo, in voi stessi ed anche nei sacerdoti e insegnanti e in tutti i fedeli a voi affidati. Essere custodi della fede significa essere custodi della vita che Cristo ci porta, della vita nella sua pienezza (cf. Gv 10, 10).

5. Come ci ricorda il Concilio Vaticano II, in questa missione dell’annuncio del messaggio di Cristo “appare di grande valore quello stato di vita, che è santificato da uno speciale sacramento: la vita coniugale e familiare” (Lumen Gentium, 35). Impegnatevi in una pastorale familiare molto intensa e al passo con i tempi. I genitori sono non soltanto i primi, ma nella maggior parte dei casi anche i più importanti testimoni della fede. I bambini avvertono molto precocemente se sia importante vivere in unione viva con Dio; nella fiducia nella sua guida, nella comunione con Gesù Cristo e nella consapevolezza che la forza dello Spirito santo non viene mai meno. Avvertono molto precocemente se i genitori amano la Chiesa, il culto e i sacramenti, ma soprattutto se cercano seriamente di vivere la loro fede. Invitate i genitori a sfruttare le numerose occasioni, che fortunatamente offre questo Paese, di costruire la loro fede e prepararli all’importante compito che devono svolgere nei confronti dei loro figli, quali primi testimoni della fede. Gruppi di discussione nella parrocchia, case di formazione, buoni libri e molto di più è a loro disposizione. Dovrete vegliare affinché queste istituzioni servano realmente la fede della chiesa, perché possiate consigliare senza riserve a tutti come vie per l’incontro con il Vangelo.

Preoccupatevi anche di una efficace catechesi degli adulti, che è certamente “la principale forma di catechesi” (Catechesi Tradendae, 45). Infatti soltanto una fede testimoniata seriamente dagli adulti, approfondita, discussa e tradotta nel proprio linguaggio in cui gli adulti si interrogano insieme su come poterla vivere nelle situazioni di oggi, solamente una fede come questa offre il sostegno di cui hanno bisogno le nuove generazioni per poterla far propria.

Fortunatamente nel vostro Paese si stanno facendo numerosi sforzi in questa direzione. Diventeranno tanto più fruttuosi quanto più trasmetteranno la fede di tutti i tempi all’oggi di questo nostro tempo, in stretta unione con il Papa e con i Vescovi.

Provvedete con particolare cura e dedizione ad una adeguata formazione catechetica dei sacerdoti e degli altri principali collaboratori nel servizio pastorale, dei diaconi, dei religiosi e dei laici, uomini e donne. Attraverso il servizio che prestano nelle singole comunità o anche in altri luoghi della vita della Chiesa, possono portare un grande ed essenziale contributo ad una trasmissione viva ed entusiasmante della fede ai bambini, ai giovani e agli adulti a voi affidati. Ho appreso con particolare gioia che anche nelle vostre diocesi vi sono molte donne e molti uomini che s’impegnano volontariamente, nell’ambito della catechesi parrocchiale, a indirizzare i bambini verso una vita gioiosa e interiormente libera nella Chiesa, e che collaborano alla preparazione dei bambini alla prima Comunione e alla Cresima. Qui trova conferma il fatto che i testimoni più efficaci di Gesù Cristo sono sempre le persone più vicine per parentela, per la scarsa differenza di età, per la vita in comune nella parrocchia e per altri legami personali.

6. Una parola di riconoscimento e di incoraggiamento va a questo punto a tutti i parroci per il loro grande servizio nelle parrocchie; ma in particolar modo anche alle insegnanti e agli insegnanti di religione che prestano il loro servizio nelle diverse scuole, attraverso l’insegnamento della religione, per trasmettere una fede viva. Il loro servizio è spesso gravoso; perché fanno parte dei testimoni maggiormente esposti della Chiesa. Molti loro allievi sono cresciuti senza alcun legame vivo con la Chiesa; a molti manca qualsiasi interesse di approfondire questioni religiose. Ciò esige requisiti tanto maggiori di capacità pedagogica e anche di testimonianza personale di fede.

Tutti gli sforzi affinché le verità della fede vengano accolte secondo la comprensione di ognuno e assimilate non devono farci dimenticare tuttavia che l’uomo non è fatto solo di conoscenza. Perciò una sana teologia presuppone che si creda e si viva insieme alla Chiesa; essa ha bisogno dello spazio della preghiera. Una comprensione unilateralmente intellettualistica della fede rischierebbe di danneggiare anziché promuovere la gioia della sequela. Perciò è importante far capire ai giovani il nesso tra le affermazioni fondamentali della fede e le proprie esperienze di vita affinché possa accendersi la scintilla della fede. Potranno capire così che per credere hanno bisogno della esperienza della Chiesa, della comunione dei santi; le loro esperienze personali verranno accese e ampliate e diverrà loro chiaro che ciò che appariva inizialmente solo una formula, è verità e dà la vita.

A questo proposito occorre che coloro che sono al servizio dell’annuncio e della trasmissione della fede abbiano ben presente, che la verità di Dio viene realmente compresa solo nella vita attiva. “Chi opera la verità viene alla luce” (Gv 3, 21). Ciò vale sia per chi annuncia che per chi accoglie la lieta novella. Inoltre, ogni forma di annuncio della fede è sempre essenzialmente un’“opera dello Spirito Santo”. Chi lo prende sul serio sarà portato ad aprire il suo cuore allo Spirito di Dio, ad un continuo rapporto di fiducia con la Sacra Scrittura nella fede della Chiesa e a quella abnegazione che aiuta il catechista e il missionario a capire che non è lui, bensì Gesù Cristo che annuncia. Egli stesso deve diventare trasparente nelle parole e nelle azioni per colui che è più grande, e che opera attraverso la sua testimonianza di fede.

7. Cari confratelli! Il “sì alla fede”, al quale voi chiamate i vostri fedeli in occasione della mia attuale visita pastorale, deve diventare per voi, quali pastori ordinati da Dio e maestri del Popolo di Dio, un nuovo sì ad un annuncio e ad un insegnamento di fede ancora più deciso e più vivo. “La fede dipende dunque dalla predicazione”, dice l’Apostolo, e aggiunge subito: “E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza che uno lo annunzi?” (Rm 10, 17. 14).

La lieta novella di Cristo, che secondo le parole del Concilio “è per la Chiesa principio di tutta la sua vita in ogni tempo” (Lumen Gentium, 20), deve essere di nuovo il fondamento di tutti gli sforzi per un rinnovamento religioso ed ecclesiale. Esistono oggi verità della fede dimenticate, comandamenti di Dio dimenticati, una progressiva scristianizzazione anche nella vita di molti nostri fedeli e di molte nostre parrocchie. Sono necessari una catechesi e un annuncio così radicali e così dinamici da poter essere definiti “evangelizzazione permanente”. Dobbiamo sfidare continuamente i nostri fedeli e noi stessi con la persona e il messaggio di Gesù Cristo, con la pienezza della Parola di Dio, e in tal modo dare orientamenti e contenuti a tutti.

Nella dedizione personale a Cristo, consapevolmente offerta nella fede viva, deve compiersi il rinnovamento religioso nella vita dei singoli credenti e nelle parrocchie; deve essere impostata la vita ecclesiale nelle vostre Chiese locali e in tutta la Chiesa d’Austria nello spirito di fraterna unità e disponibilità alla comprensione. Ad una vita ecclesiale rinnovata in questo spirito tendono quelle considerazioni e quelle indicazioni concrete che vi diedi nel mio discorso rivoltovi durante l’ultima visita “ad limina”. Vorrei oggi raccomandarle di nuovo alla vostra particolare attenzione e cura pastorale.

8. Voglio menzionare la dichiarazione della vostra Conferenza episcopale - che ho molto apprezzato - con la quale avete fatto vostre le esigenze pastorali sollevate in questa visita “ad limina” e le avete spiegate ai vostri fedeli con alcune parole di chiarimento. Di particolare importanza mi sembra l’energico richiamo da voi fatto all’impegno di formare le coscienze. La coscienza è quel luogo misterioso e dove vengono prese decisioni, in cui viene gettato il ponte fra la fede e la vita concreta. Il motivo profondo del crescente disorientamento dell’uomo di oggi sta nella scomparsa della consapevolezza di Dio e nella crisi della coscienza.

La coscienza, come la definisce il Concilio, “è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo” (Gaudium et Spes, 16). È “il primo fondamento della dignità interiore dell’uomo e nello stesso tempo del suo rapporto con Dio” (“Allocutio ad precationem Angelus”, 1, die 14 mar. 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 1 [1982] 860). Se la realtà di Dio viene oscurata, anche la coscienza dell’uomo si guasta; se il peccato viene negato, anche Dio viene negato.

Molti considerano il giudizio della coscienza umana come qualcosa di relativo, qualcosa di puramente umano, la norma di un umanesimo senza Dio. “Agisci secondo la tua coscienza”; è questa l’esortazione che viene fatta all’uomo, senza dargli tuttavia alcun orientamento. La coscienza dell’uomo però si degrada quando viene lasciata sola e privata della verità. Come l’occhio non può fare a meno della luce, così la coscienza non può fare a meno della verità. La coscienza ha il diritto inalienabile alla verità ed è legata intimamente alla dignità dell’uomo. Quando la Chiesa annuncia la dottrina della fede e della morale, offre un servizio essenziale proprio a questa dignità, perché Dio ha creato l’uomo sin dall’inizio a sua immagine e somiglianza.

Alla dignità dell’uomo corrisponde solamente la coscienza rettamente formata, la coscienza che si orienta verso la verità e, illuminata da questa, decide. L’uomo è tenuto quindi, a motivo della dignità della sua umanità, ad orientarsi con la sua coscienza verso l’ordine stabilito dal Creatore, deve informarsi sulla verità rivelata da Cristo e tener conto “in modo determinante” nelle sue decisioni della dottrina della Chiesa secondo la sua coscienza. In questo senso il Concilio esige esplicitamente dai fedeli di “accettare il giudizio del loro Vescovo dato a nome di Cristo in materia di fede e di morale, e aderirvi col religioso ossequio dello spirito. Ma questo religioso ossequio della volontà e dell’intelligenza lo si deve in modo particolare prestare al Magistero autentico del romano Pontefice, anche quando non parla «ex cathedra», così che il suo supremo Magistero sia con riverenza riconosciuto, e con sincerità si aderisca alle sentenze che gli esprime, secondo che fa conoscere la sua intenzione e la sua volontà” (Lumen Gentium, 25). Voi stessi nella dichiarazione menzionata riguardante forme illecite di richiamo alla coscienza avete messo in evidenza cosa significa questo per la vita del cristiano, per esempio se consideriamo l’enciclica Humanae Vitae e l’esortazione apostolica Familiaris Consortio.

9. Cari confratelli! Soltanto una Chiesa rafforzata nella fede e che vive della fede può compiere efficacemente la sua missione di salvezza nella società e per tutti gli uomini. Il vostro stesso rinnovamento interiore si pone in definitiva al servizio del vostro compito missionario, “perché il mondo creda” (cf. Gv 17, 21). La Chiesa, attraverso una grande rievangelizzazione, deve cercare di arrestare il processo di allontanamento dalla Chiesa e trovare mezzi e vie per recuperare coloro che sono lontani e impregnare l’intera società degli uomini con il lievito del Vangelo. “La Chiesa evangelizza”, dice la Evangelii Nuntiandi, “allorquando, in virtù della sola potenza divina del messaggio che essa proclama, cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, la attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l’ambiente concreto loro propri” (Evangelii Nuntiandi, 18). Il messaggio salvifico di Cristo è universale. Deve essere annunciato all’umanità intera e ad ogni strato della società.

“Sì alla fede - Sì alla vita”. Il nostro sì alla vita pronunciato nella fede è un sì all’intera verità del creato, che ha la sua origine e il suo fine in Dio. Il sì al Creatore è un sì alla sua creazione. Insegna anche a trovare i criteri per armonizzare progresso e tutela, scienza e rispetto, libertà dell’uomo e legame con la parola profonda della creazione. Il rispetto incondizionato per la vita dell’uomo dal concepimento fino alla morte si pone nel contesto del rispetto per la creazione di Dio nel suo insieme, e ne è la prova indiscutibile. Un ritorno al messaggio morale dell’essere si rivelerà anche fruttuoso per l’approfondimento tanto necessario di un’etica moderna della pace e del progresso sociale.

La nostra fede ha la forza di dare un efficace contributo alla soluzione degli immensi problemi che opprimono l’umanità. Il mondo a buon diritto oggi si aspetta molto da noi cristiani, anche dai credenti del vostro Paese. Quanto più accetteremo queste sfide, tanto più chiaramente sperimenteremo che, laddove la fede svolge un ruolo non solo nel pensiero e nella preghiera e nel ristretto ambito vitale, ma viene compresa e diventa efficace anche nella sua importanza a livello mondiale, fino ad affrontare gli urgenti problemi degli uomini in tutto il mondo, nella stessa misura anche la nostra fede acquisterà vitalità e forza, e anche forza di attrazione. A questo proposito voglio incoraggiarvi per tutto ciò che fanno così generosamente i cristiani del vostro Paese per le popolazioni sofferenti di altri Paesi, specialmente quelle del terzo mondo.

Il nostro “sì alla vita”, sostenuto dalla fede, è infine e innanzitutto naturalmente, un sì alla pienezza della vita, un sì alla vita dei figli di Dio, che la morte non potrà mai vincere perché porta in sé la promessa della vita eterna.

Annunciamo dunque con nuovo coraggio, cari confratelli, agli uomini del nostro tempo Gesù Cristo, che è la vita stessa e che è venuto “perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10). In questo sono con voi e vi confermo, e con voi tutti coloro che vi affiancano nella missione dell’annuncio, imparto la mia speciale benedizione apostolica.

 

© Copyright 1988 - Libreria Editrice Vaticana

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana