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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI MEMBRI DELLA COMUNITÀ DI LAVORO
DELLE CHIESE CRISTIANE IN SVIZZERA

Giovedì, 10 novembre 1988

 

Cari fratelli e sorelle.

1. Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo: il suo Spirito d’amore che guida verso l’intera verità (cf. Gv 16, 13) ci ha fatti incontrare ed aiutare gli uni gli altri per compiere la sua volontà!

La vostra visita a Roma, scandita dai momenti di preghiera, di studio e di incontro fraterno, è stata significativa per diversi motivi. Nata nel solco del nostro incontro di Kehrsatz, il 14 giugno 1984, si è svolta nello spirito che guida l’impegno della Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera, e cioè: accettare di interrogarsi a vicenda sulla fedeltà nel servire la verità suprema a noi rivelata nello stesso Signore Gesù.

Le vostre riunioni di lavoro con diversi dicasteri della Curia romana saranno - spero - utili per la vostra missione ecumenica. Sono certo che esse sono servite anche ad aiutare i miei collaboratori, membri di questi dicasteri, nella loro missione. Vi ringrazio di essere venuti a riflettere insieme a loro, perché essi sono impegnati tutti, “per il fatto stesso di essere collaboratori del Papa, al servizio dell’unità della Chiesa, che spetta in modo singolare al Vescovo di Roma” (“Allocutio ad Patres Cardinales Romanaeque Curiae Praelatos et Officiales coram admissos”, 4, die 28 iun. 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII, 1 [1985] 1991). Desidero manifestare la mia gioia e la mia gratitudine per questi momenti vissuti insieme di preghiera e di dialogo.

2. La missione ecumenica dei cristiani, e dei cristiani in Svizzera, è del tutto particolare a motivo della storia religiosa del vostro Paese. Quando si pensa alla storia del cristianesimo, il nome delle vostre città in certi periodi è sinonimo di luoghi di incomprensione, di separazione e di sfiducia: Ginevra, Zurigo, Berna, Bâle, Neuchâtel. È vostra missione farli diventare luoghi di riconciliazione, di fiducia e di speranza per la diffusione del Vangelo e la gioia degli abitanti. So che molte iniziative locali si muovono in questa direzione e chiedo al Signore che vi accordi la grazia della perseveranza, malgrado le antiche difficoltà ancora non superate e le nuove difficoltà che possono presentarsi.

A Kehrsatz, avevo espresso la speranza che i cattolici e i riformati di Svizzera possano essere in grado un giorno di scrivere insieme la storia della loro separazione, “epoca tormentata e complessa”, e di scriverla “con l’obiettività che una profonda carità fraterna è capace di fornirci” (“Allocutio in pago vulgo «Kehrsatz», apud Bernam, ad homines adscitos in Consilium Communitatum seiunctarum Helvetiae”, 2, die 14 iun. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII, 1 [1984] 1749). So che si è cominciato a studiare questo progetto e spero che lo si potrà avviare.

3. Nel corso della vostra visita, il vostro lavoro con i dicasteri della Curia romana ha avuto come tema non solo la vita interna della Chiesa o il movimento ecumenico. Se i cristiani si ripiegassero su se stessi non sarebbero più fedeli alla loro missione. Noi abbiamo ricevuto la grazia della fede per testimoniare l’amore di Dio per tutti gli uomini. Avete parlato dei diritti umani e del dramma terribile della tortura. Il debito estero dei Paesi del terzo mondo e l’urgenza dell’impegno ecumenico per la giustizia, la pace e la salvaguardia del mondo sono stati argomento dei vostri incontri perché è in gioco il futuro del mondo e la credibilità dei cristiani. Allorché, in un Paese, si intensificano e si sviluppano le relazioni e i rapporti con le altre nazioni, oltre le frontiere politiche e senza essere guidati dal solo interesse economico, allora si costruisce la pace. In Svizzera, organizzazioni di diverso genere sono impegnate in questo senso, a diversi livelli; mi riferisco, in particolare, alle istituzioni internazionali con sede a Ginevra. I cristiani svizzeri hanno una responsabilità particolare di sostenere questi sforzi a favore della pace a livello locale e internazionale.

4. Per quanto riguarda la situazione specificamente ecclesiale, voi volete essere attenti alle comunità minori che rischiano di non essere ascoltate, sia nella nazione, sia nella collaborazione ecumenica, poiché altre sono più presenti per il grande numero dei loro membri e dei mezzi di cui dispongono. Questo è un rischio reale in tutto il mondo. Tuttavia, l’importanza di una Chiesa non si misura dal numero dei fedeli, ma dal vigore della vita di fede. Nella ricerca dell’unità e nella testimonianza comune, ogni Chiesa o comunità ecclesiale deve poter essere accolta con la sua spiritualità particolare, la sua esperienza missionaria e la sua maniera di vivere il mistero della fede. Avendo notato questa vostre preoccupazione, auspico che la Chiesa ortodossa presente in Svizzera possa un giorno anch’essa collaborare con voi entrando a far parte della vostra Comunità di lavoro.

5. Tra le realtà che ci stanno a cuore, c’è la partecipazione all’Eucaristia e i matrimoni misti. Per quanto riguarda la cena del Signore, le nostre posizioni ancora non convergono, e malgrado le difficoltà e le sofferenze nella vita delle comunità, non possiamo agire come se queste divergenze, relative a un punto essenziale della fede, non esistessero. Nella nostra fede cattolica, noi, per fedeltà a quanto ci hanno tramandato gli apostoli come discendente direttamente da Cristo, siamo convinti che la celebrazione comune dell’Eucaristia presuppone l’unità nella fede e che essa è strettamente legata a quanto noi crediamo circa il ruolo proprio e lo statuto ecclesiologico dei ministeri ordinati. Ho detto recentemente ai protestanti con cui mi sono incontrato a Strasburgo: “Come cattolici, non vogliamo lasciare credere che l’impossibilità attuale di una comune partecipazione all’Eucaristia sia una semplice questione di disciplina ecclesiastica che può essere risolta differentemente secondo le persone e le circostanze” (“Allocutio Strasbourgi, ad oecumenicam celebrationem in Ecclesia S. Thomae habita”, 4, die 9 oct. 1988: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XI, 3 [1988] 1135). L’Eucaristia e i ministeri della Chiesa devono continuare ad essere oggetto di un dialogo teologico; noi tutti speriamo che la grazia di Dio si servirà di questo dialogo e che, con la nostra preghiera e la conversione del cuore, ci permetterà di compiere un giorno, tutti insieme, ciò che noi cattolici oggi riteniamo ancora impossibile.

6. I matrimoni misti sono sempre più numerosi in Svizzera e questa è una delle vostre comuni preoccupazioni importanti. Lo specifico ministero pastorale di cui hanno bisogno le coppie miste necessita di una collaborazione regolare, efficiente e fiduciosa delle Chiese. Le famiglie che devono sopportare nell’intimo della loro vita le conseguenze dolorose della nostra divisione, ma anche la speranza e l’amore che già ci riavvicinano, proprio queste famiglie hanno diritto ad una attenzione prioritaria. Immagino quanto possa essere difficile e delicato, per coloro che svolgono un ministero importante pastorale, presentare il volto esigente e insieme materno della Chiesa a dei fidanzati di confessioni diverse, che, troppo spesso, hanno con la loro Chiesa rapporti solo occasionali. Non si dovrebbe forse evitare di dire troppo frettolosamente che un matrimonio misto è una “occasione per l’ecumenismo”, dal momento che si constata che molte famiglie così vivono in seguito nell’indifferenza religiosa, per ragioni molto diverse? Come sostenere gli sposi che desiderano restare fedeli alle loro Chiese rispettive, educare i figli nella fede e dare il loro contributo al movimento ecumenico, quando le situazioni delle coppie sono così diverse, il loro contesto parrocchiale a volte è troppo vago e la testimonianza evangelica esigente è così difficile in una nazione tranquilla, ricca e prospera? Sono domande che vi ponete spesso. Vi piace definire la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane come una “comunione provvisoria in crescita”. Da questa comunione dovrebbero nascere, se non delle soluzioni definitive, almeno delle risposte stimolanti a questi problemi pastorali, risposte elaborate e messe in atto in una collaborazione comune, perseverante, audace e fiduciosa.

7. Cari fratelli e sorelle, voi state per ritornare nelle vostre comunità in Svizzera. Dividerete con loro le speranze nate in questi incontri romani. Manifesterete loro forse la vostra delusione o insoddisfazione su talune questioni tra quelle affrontate. A prescindere dai risultati immediati, sono convinto che ci sia stato un progresso nell’ecumenismo, perché condivido totalmente la certezza da voi espressa alla fine della dichiarazione comune del 6 maggio 1986: “C’è un progresso nell’ecumenismo quando i cuori si volgono insieme verso Dio, Padre di noi tutti, quando, nell’amore di Gesù Cristo, fratelli e sorelle ancora separati si volgono gli uni verso gli altri e quando infine si pone la speranza nella promessa dei doni dello Spirito Santo, testimone della fedeltà di Dio”.

 

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