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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELL
AUSTRALIA
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Giovedì, 13 ottobre 1988

 

Cari fratelli Vescovi.

1. Come pastori del Popolo di Dio in Australia, siete venuti a Roma per pregare sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo e per fare visita al successore di san Pietro, affinché si rinsaldi l’unità della Chiesa e i vincoli di fede, speranza e carità. Da parte mia, vi accolgo con affezione nel Signore Gesù Cristo. Voglio esprimere la mia gratitudine, stima e incoraggiamento per il vostro lavoro apostolico, e assicurarvi il mio amore fraterno e la mia preghiera. È per me anche una possibilità di riconoscere la testimonianza fedele del Vangelo data dai cattolici di ciascuna delle vostre diocesi.

Ora che l’Australia celebra il suo bicentenario, possiamo ricordare con gratitudine la profonda fede e lo spirito missionario di coloro che hanno portato la Parola di Dio nella vostra terra. Lo fecero in obbedienza al mandato ricevuto da Cristo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20).

2. Come successori degli apostoli, voi esercitate la missione di predicare e insegnare in Australia oggi sul solido fondamento posto da quelli che vi hanno preceduto. Il Concilio Vaticano II (cf. Lumen Gentium, 25) dice che i Vescovi sono gli araldi della fede, dottori autentici rivestiti dell’autorità di Cristo. Essi predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita. Alla luce dello Spirito Santo, i Vescovi illustrano la fede e la fanno fruttificare. Vegliano per tenere lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano. Per ciascuno di noi questo significa un coinvolgimento diretto e personale nel proclamare il Vangelo, come uomini cui Dio ha affidato il compito di Cristo dottore, sacerdote e profeta. Pur riconoscendo la nostra indegnità per un compito così grande, riconosciamo anche la potenza della Parola di Dio sul cuore e la mente degli uomini nonostante la debolezza dei suoi messaggeri. Noi siamo continuamente chiamati in causa dalla missione dottrinale perché purifichiamo il nostro cuore, cresciamo nell’amore per le cose di Dio e approfondiamo la nostra fede nelle realtà invisibili.

E qual è lo scopo della nostra predicazione e del nostro insegnamento? Con san Paolo possiamo dire: “Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi” (Gal 4, 19). Non è forse questo il nostro scopo fondamentale: che attraverso le nostre fatiche Cristo si formi in ogni membro del Popolo di Dio? Questo ministero è come il travaglio del parto, poiché annunciamo il messaggio profetico di un Dio crocifisso e continuamente invitiamo gli uomini a una conversione del cuore. È un travaglio anche per l’ansia che proviamo nei confronti del gregge a noi affidato. È infine un atto di amore da parte nostra, poiché il buon pastore offre la vita per le pecore invece di fuggire dal lupo che le rapisce e le disperde (cf. Gv 10, 11-13). Impegnandoci con zelo e coraggio in questo ministero, troveremo la gioia e la pace che viene dall’aver “combattuto la buona battaglia”, l’aver “terminato la corsa”, l’aver “conservato la fede” (cf. 2 Tm 4, 7).

3. Nello stesso tempo sappiamo di non essere soli nel compiere il ministero di maestri nella Chiesa. Anche se il compito di predicare il Vangelo a tutta la Chiesa è stato affidato principalmente al romano Pontefice e al Collegio dei Vescovi, ciascun Vescovo è anche un “moderatore di tutto il ministero della parola” (Codex Iuris Canonici, can. 756) nella sua diocesi, un ministero che richiede l’impegno attivo degli altri. Come scrive san Paolo: “È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, affinché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4, 11-13). Tutto il Popolo di Dio partecipa secondo modalità diverse a questo ufficio di insegnamento della Chiesa. Questo è vero soprattutto per i sacerdoti, nostri “fratelli e amici”, che sono “necessari collaboratori e consiglieri” nella funzione di istruire, santificare e governare il gregge di Dio (cf. Presbyterorum Ordinis, 7). Questo è vero per i diaconi. È vero anche per i religiosi e le religiose, che in virtù della loro consacrazione danno una speciale testimonianza delle esigenze radicali del Vangelo. Ed è vero per i laici, che per il Battesimo e la Confermazione sono chiamati ad edificare l’unico corpo di Cristo e ad trasformare il mondo dall’interno.

C’è quindi una diversità di ministeri, ma una unità di missione nella Chiesa (cf. Apostolicam Actuositatem, 2). È importante che tutti i fedeli nelle Chiese locali portino una testimonianza unita a Cristo e al Vangelo in comunione con i loro Vescovi. Questo vale in particolare per i sacerdoti e per l’unità e solidarietà che essi dovrebbero vivere con i Vescovi e reciprocamente. Costruendo uno spirito di cooperazione ed evitando ogni dannosa divisione, i sacerdoti entrano nella mente e nel cuore di Cristo il maestro, che pregò il Padre che i suoi discepoli fossero “una cosa sola, perché il mondo creda” (cf. Gv 17, 21).

4. Questo ci porta a un altro punto essenziale del ministero dottrinale: la Chiesa per sua propria natura è una Chiesa missionaria (cf. Ad Gentes, 2). La predicazione e l’insegnamento che formano il Popolo di Dio, lo preparano anche a portare agli altri la buona novella della salvezza in modo da illuminare tutta la vita con la luce del Vangelo. Secondo le parole del Concilio: “La Chiesa . . . cammina insieme con l’umanità e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena, ed è come il fermento e quasi l’anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio” (Gaudium et Spes, 40).

5. Ciascun credente ha bisogno di essere istruito e formato in una qualche misura per questa missione, o per svolgerla con più precisione, ciascun credente ha bisogno di essere formato nella vita cristiana conforme con il suo stato di vita. Per le persone essere cattoliche per il Battesimo è solo l’inizio. La fede deve essere vissuta con perseveranza; bisogna approfondirne la conoscenza; occorre applicarla nelle scelte e azioni personali; aderire alla fede deve suscitare il desiderio di farne partecipi gli altri e di trasformare il mondo conforme al Vangelo. È essenziale che i cattolici conoscano la dottrina e disciplina, ma come dice Cristo, dopo aver ascoltato la parola, essi devono custodirla con cuore buono e perfetto e produrre frutto con la loro perseveranza (cf. Lc 8, 15).

Oggi si sottolinea molto l’impegno per la formazione del clero, i religiosi e i laici affinché compiano i doveri inerenti al loro stato di vita e partecipino alla missione della Chiesa nel mondo. So che in Australia voi avete lavorato accuratamente per promuovere la lettera e lo spirito della formazione descritta nei vari documenti ecclesiali e nel Codice di Diritto Canonico. Ogni sforzo per la formazione cristiana deve essere segnato da un grande amore per Cristo e la Chiesa. Come dice l’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, il Signore si aspetta una tale affezione non solo dai pastori, ma “da ciascun predicatore del Vangelo e da ogni costruttore della Chiesa”. Un segno di tale affezione è “la cura di donare la verità e di introdurre nell’unità”. Un altro segno è “dedicarsi senza riserve, né sotterfugi all’annuncio di Gesù Cristo”. Altri segni di questo amore sono “il rispetto della situazione religiosa e spirituale” degli altri; una “attenzione a non ferire” quelli che sono deboli nella fede; e infine “lo sforzo di trasmettere ai cristiani, non dubbi e incertezze nati da una erudizione male assimilata, ma alcune certezze solide, perché ancorate nella Parola di Dio” (cf. Pauli VI Evangelii Nuntiandi, 79).

6. La pratica di questo amore si applica a tutti i tipi di attività che costituiscono il ministero della parola. Questo comprende la predicazione e l’istruzione catechistica che hanno una capitale importanza. C’è l’esposizione della dottrina nelle scuole, nelle università, nelle conferenze e convegni di ogni specie. Ci sono poi le pubbliche dichiarazioni con cui la Chiesa prende posizione sui fatti che accadono per mezzo della stampa e degli altri mezzi di comunicazione sociale (cf. Christus Dominus, 13).

Occorre in particolare ricordare la formazione che i giovani ricevono nelle scuole cattoliche e nei programmi catechistici. I giovani sono alla ricerca di una fede e di ideali per cui vivere. Nel loro desiderio di mettere alla prova l’autorità degli adulti, essi fanno in fretta a cogliere l’eventuale discrepanza tra le parole e le azioni. Per questo la Chiesa è giustamente attenta che gli insegnanti siano eccezionali non solo per la capacità di insegnamento, ma anche per la dottrina e la vita cristiana. Si possono forse applicare qui più che in altri ambiti della formazione le parole del mio predecessore Paolo VI: “L’uomo moderno ascolta più facilmente i testimoni degli insegnanti, e quando ascolta gli insegnanti, lo fa perché sono testimoni” (Pauli VI “Allocutio ad sodales Pontificii Consilii pro Laicis ad Audientiam generalem partecipantes”, die 2 oct. 1974: Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974] 895 s). Se gli insegnanti sono in pace con la loro fede cattolica, questo verrà comunicato agli studenti a maggior vantaggio per la Chiesa. In caso contrario, anche questo lascerà un segno. So che voi cercate modalità per provvedere alla formazione e la cura pastorale dei docenti, affinché essi abbiano le risorse e l’incoraggiamento necessario per essere fedeli testimoni della loro fede cattolica davanti ai loro studenti. A causa dell’aumento delle iscrizioni e la diminuzione delle vocazioni religiose, l’educazione cattolica, in Australia e non solo lì, diventa sempre più compito dei laici. Desidero lodare i molti insegnanti delle scuole cattoliche nel vostro Paese, per i quali il lavoro è realmente una forma di apostolato, e incoraggio tutti i Vescovi a continuare negli sforzi per promuovere la formazione cristiana di studenti ed insegnanti.

7. Un altro ambito di lavoro per il ministero della parola sono i mezzi di comunicazione sociale, specialmente la stampa cattolica. I mass-media non servono solo alla comunità cattolica, ma aiutano a formare la pubblica opinione nei confronti della Chiesa e dei suoi insegnamenti. Una stampa cattolica fermamente impegnata a promuovere la fede svolge un servizio insostituibile. Lo fa fornendo una attenta informazione, una opinione ben formata e sforzandosi di dialogare nella fedeltà con gli insegnamenti della Chiesa. I cattolici hanno il diritto di aspettarsi un simile impegno da parte dei media cattolici. Da parte vostra, voi farete certo il possibile non solo per salvaguardare l’integrità della fede e dei principi morali, ma anche perché la fede dei cattolici sia approfondita e fatta conoscere più ampiamente attraverso i media cattolici. Partecipi del ministero della parola, gli operatori dei mezzi di comunicazione sociale hanno diritto alla formazione e alla cura pastorale necessaria per aiutarli a compiere la loro responsabilità fedeli alla Chiesa.

Cari fratelli, come “moderatori” del ministero della parola nelle vostre diocesi, voi siete sempre alla ricerca del modo migliore per promuovere e incoraggiare una solida istruzione e formazione cristiana. Impegnandovi in questo compito con zelo e vigilanza, voi confidate nell’azione perenne dello Spirito Santo che guida e consacra la Chiesa nella verità, così che possa compiere il suo ufficio dottrinale. Possiate voi e i membri delle vostre Chiese locali sempre sperimentare l’abbondanza dei doni dello Spirito per edificare il corpo di Cristo e trasformare il mondo conforme al Vangelo. A ciascuno di voi imparto di cuore la mia apostolica benedizione.

 

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