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VISITA PASTORALE A TORINO

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON SACERDOTI E I RELIGIOSI DEL PIEMONTE
NELLA BASILICA DI SANTA MARIA AUSILIATRICE

Valdocco (Torino) - Sabato, 3 settembre 1988

 

Cari presbiteri e religiosi di Torino e del Piemonte.

1. Il ritrovarci qui insieme in questa Basilica mariana dove si venerano le spoglie mortali di san Giovanni Bosco, risveglia in me riflessioni e speranze da condividere con voi. Siete un gruppo di discepoli scelti da Cristo stesso per testimoniare e comunicare le ricchezze del suo ministero salvifico agli altri. La vostra è una vocazione privilegiata nel Popolo di Dio. Dalla sua autenticità sgorgano abbondanti frutti per tutti i fedeli; da una sua crisi sarebbero compromesse sia la vita delle comunità ecclesiali sia l’indispensabile lievito che esse devono inserire nella convivenza sociale.

Mi è gradito esprimere il mio più cordiale saluto a voi tutti qui presenti e anche a tutti i confratelli che non hanno potuto essere qui per motivi pastorali; un pensiero di particolare affetto ai sacerdoti ammalati e a quelli che si trovano in difficoltà.

Desidero riflettere con voi, in modo particolare, sulla vocazione dei presbiteri: ciò che meditiamo su di essi serve anche alle altre persone consacrate.

Il Concilio Vaticano II ricorda che ai presbiteri è “concessa da Dio la grazia per poter essere ministri di Cristo Gesù”; il fine a cui tendono con il loro ministero e con tutta la loro esistenza è “la gloria di Dio Padre”, facendo “avanzare gli uomini nella vita divina” (Presbyterorum Ordinis, 2).

Per raggiungere questo scopo fondamentale essi hanno bisogno di molte virtù e di una vera metodologia di santità. La possiamo veder descritta nelle ardenti parole dell’apostolo Paolo ai Filippesi: “Tutto ciò che è vero, tutto ciò che è onesto, tutto ciò che è giusto, tutto ciò che è santo, tutto ciò che è degno d’amore, tutto ciò che merita rispetto, qualunque virtù, qualunque lodevole disciplina: questo sia vostro pensiero” (Fil 4, 8).

Ma sarà possibile un compito tanto alto?

Certo: il nostro ministero sacerdotale è assolutamente superiore alle forze personali di ognuno di noi; non sono semplicemente le nostre qualità umane che spiegano l’efficacia ministeriale. Ci conforta il meditare che siamo “consacrati” a tale ministero; ossia, che il Padre stesso ha preso l’iniziativa di permearci con la potenza dello Spirito di Cristo per inviarci, molto più in là delle nostre forze, ad essere autentici ministri della Parola di Dio, santificatori mediante l’Eucaristia e gli altri sacramenti, ed educatori della fede nel popolo dei credenti.

Tutto questo comporta vari compiti, anche di ordine culturale e promozionale; infatti la buona novella portata da Cristo non si aggiunge artificialmente dal di fuori alla realtà umana, ma deve essere seminata e coltivata al suo interno, deve crescere dal di dentro come parte costitutiva dell’uomo integrale, e come energia indispensabile della storia. Sarà sempre una tragedia per l’umanità la separazione del Vangelo dalla cultura.

Se così numerosi e difficili sono i compiti da affrontare, vi è da chiedersi come il presbitero possa armonizzare le molteplici attività del suo ministero con le esigenze della sua testimonianza in una vera unità, in una più alta sintesi di vita.

Il Concilio Vaticano II ce ne dà la risposta: i presbiteri dovranno avere costantemente la coscienza e la consapevolezza di essere sempre e ovunque “ministri di Cristo”, attenti e docili alla volontà del Padre. “Nello stesso esercizio pastorale della carità troveranno il vincolo della perfezione sacerdotale che realizzerà l’unità nella loro vita e attività” (Presbyterorum Ordinis, 14).

La riflessione ci aiuta certamente ad approfondire questo aspetto della vita sacerdotale; ma soprattutto ci incoraggiano ad esso i modelli vivi, collaudati dalla santità ministeriale riconosciuta autenticamente dalla Chiesa con la canonizzazione.

Ecco allora la grande figura di san Giovanni Bosco prete: il vostro carissimo Arcivescovo, vi ha già fatto riflettere su di lui come “sacerdote di Cristo e della Chiesa”. Effettivamente, don Bosco è stato innanzitutto e soprattutto un vero prete. La nota dominante della sua vita e della sua missione è stato il fortissimo senso della propria identità di sacerdote prete cattolico secondo il cuore di Dio. Non per nulla il nome che lo designa più correntemente è stato e resta, semplicemente, quello di “don” Bosco.

Rivelatrice è la sua dichiarazione del dicembre 1866 al presidente del Consiglio dei ministri Bettino Ricasoli che l’aveva convocato a palazzo Pitti: “Eccellenza, sappia che don Bosco è prete all’altare, prete in confessionale, prete in mezzo ai suoi giovani, e come è prete in Torino, così è prete a Firenze, prete nella casa del povero, prete nel palazzo del re e dei ministri” (“Memorie biografiche”, VIII, 534).

Non possiamo guardarlo, senza commuoverci della sua intensa convinzione che Dio lo voleva prete, senza essere presi da ammirazione di fronte alla penetrante intelligenza dei valori genuini della consacrazione sacerdotale. Oggi come ieri, egli parla efficacemente a noi sacerdoti per dire quanta debba essere la nostra riconoscenza, congiunta al senso di responsabilità, dinanzi al dono inestimabile ricevuto a beneficio della Chiesa e del mondo.

Il suo concetto del prete era tale che, per quanto messo a disagio da lodi ed esaltazioni rivolte alla sua persona, dava segni di gradire le manifestazioni di onore che gli venivano tributate, talora da intere popolazioni, ogni volta le giudicasse dirette non alla sua persona, ma al suo sacerdozio.

2. Certamente il ministero sacerdotale non si identifica con la persona del prete. Però nella storia della salvezza possiamo vedere come l’elezione da parte di Dio di alcuni inviati a una determinata missione, comporta uno stretto, intimo e vitale coinvolgimento della loro persona con il ministero ricevuto. Mosè tratta con Dio “come un uomo suole parlare al proprio amico” (Es 33, 11); e per gli apostoli e i sacerdoti del nuovo testamento questa intimità giunge fino all’identificazione nel Cristo. La ragione di questo mutuo profondo rapporto sta nel fatto che Iddio non solo chiama e invia, ma anche consacra e dà forza per la missione. E la consacrazione tocca e pervade la persona in tutta la sua esistenza.

Adeguare la propria persona a questo ministero, percorrere ogni giorno con maggiore chiarezza e intensità questo processo spirituale di identificazione, rappresenta in sintesi l’itinerario dell’unità di vita e della santità del sacerdote ministeriale.

Credo proprio che la prima grande intuizione di don Bosco riguarda questo aspetto, che comporta la totale dipendenza dell’essere sacerdotale dalla iniziativa di Dio. Una concezione tanto profonda si spiega con la presenza in lui di speciali illuminazioni dello spirito di verità e dalla direzione spirituale e dall’esempio di un altro mirabile santo torinese, don Giuseppe Cafasso, grande formatore di ottimi sacerdoti.

Essere collaboratore degli apostoli per consacrazione divina è la grande certezza che rese don Bosco tanto forte e determinato nella sua missione e gli fece comprendere sempre meglio che il compito del prete, della sua persona e del suo magistero, consiste nel rendere presente e nel prolungare l’azione stessa del Cristo: adorare, redimere, annunciare, e usare tutti i mezzi per far conoscere ed accettare l’amore tenerissimo del Padre.

Nessuna divisione, in lui tra il tempo da dare a Dio e quello da offrire alle opere, ai giovani, agli impegni dell’apostolato. Egli consegnò se stesso all’azione santificante di Dio mediante la dedizione incondizionata al mandato del Signore, e la contemplazione che si affina nel sacrificio.

3. Logica conseguenza della forza della consacrazione del sacramento dell’Ordine è, nel sacerdote, una chiara e costante consapevolezza di essere “ministro di Cristo” e, quindi “amministratore dei misteri di Dio” (1 Cor 4, 1). Il sacerdote non potrà vivere la propria consacrazione che lo fa portatore della presenza del Signore nel mondo, se non coltiva con sollecitudine quotidiana il primato della vita sacramentale in se stesso e nel popolo cristiano.

Oggi occorre sottolineare vigorosamente questa realtà: il sacerdote è colui che trasmette la vita divina agli uomini. Potrà essere anche debole, imperfetto, certamente mai pari alla grande fiducia che Dio gli ha fatto, chiamandolo ad essere suo ministro. Ma la sua forza, la sua ricchezza sta primariamente qui: divinizzare gli uomini, santificarli, nutrirli di Dio. “Finis veri sacerdotii . . . - sono parole di san Massimo il Confessore - tum imbui deitate, tum imbuere” (S. Maximi Conf. “Eph.”, 31: PG 91, 626).

“Imbui deitate”: essere pieni di Dio, nella vita interiore, nella Eucaristia, nella Confessione frequente, per passare indenni attraverso i richiami del peccato, che possono far giungere anche a noi la loro voce lusingatrice.

“Imbuere deitate”: dare Dio Trinità al Popolo, che è suo; richiamarlo alla mensa della Parola e della Eucaristia, nelle celebrazioni domenicali e festive accuratamente preparate; esortarlo alla pratica della Confessione, mezzo divino di purificazione e di ascesi; proporgli l’ideale della santità nella vita familiare, ove ritrovino il loro posto il rispetto della vita, il sacrificio e la donazione di sé, la forza di reagire all’edonismo raggelante e funesto; suscitare ideali di generosità nei giovani, e coltivare le vocazioni.

4. Nel sacerdozio ministeriale consacrazione e missione non costituiscono due poli in antitesi, ma si fondano nel superiore equilibrio della carità pastorale, che porta vitalmente con sé una mirabile grazia di unità.

La missione, infatti, è per il prete una componente della stessa consacrazione; e l’azione ministeriale è, a sua volta per lui, una concreta manifestazione di interiorità. Il Signore consacra e invita; l’azione apostolica è frutto della carità pastorale.

Fervidamente convinto del valore della missione, don Bosco sostenne instancabilmente, con l’esempio e con la parola, che il sacerdote è mandato per la salvezza delle anime. “Ogni parola del prete - amava ripetere - deve essere sale di vita eterna e ciò in ogni luogo e con qualsivoglia persona. Chiunque avvicina un sacerdote deve riportare sempre qualche verità, che gli rechi vantaggi all’anima” (“Memorie biografiche”, VI, 381; III, 74).

Nella sua concezione, l’impegno sacerdotale non conosce esclusione di persone, e coinvolge tutti: lo testimonia la vastità dei suoi orizzonti di azione, che vanno dall’area della gioventù maschile a quella della gioventù femminile, comprendono i ceti popolari senza ignorare gli altri, e si estendono sino ai non cristiani.

Tuttavia il suo nome resta inconfondibilmente legato a quel particolare carisma di educazione che lo fa giustamente chiamare il “santo dei giovani”. E tale particolarità impone ai sacerdoti motivi di riflessione che oggi rivestono una drammatica urgenza.

Certo, non ogni sacerdote è chiamato da Dio ad essere apostolo dei giovani con una intensità pari a quella di don Bosco. Ma ciascuno deve interpretarsi come educatore di chiunque avvicini, ed ognuno deve intendere l’educazione dei giovani come sua ineludibile responsabilità personale: giacché il prete rappresenta il Signore, che ama i giovani; e rappresenta la Chiesa, il cui interesse per la formazione giovanile è obbedienza, come dice il Concilio Vaticano II, al “mandato ricevuto dal suo divino Fondatore, che è quello di annunciare il mistero della salvezza a tutti gli uomini e di edificare tutto in Cristo” (Gravissimum Educationis, prooemium).

5. Don Bosco è stato un grande devoto della Madonna; come tutti qui a Torino, venerò con filiale amore la Consolata; e durante i tempi difficili degli attacchi alla Chiesa e ai suoi pastori, rilanciò la devozione a Maria Ausiliatrice che egli chiamò anche “Madre della Chiesa” (cf. G. Bosco, “Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice”, Torino 1868, p. 45).

Questo tempio lo volle appunto a dimostrazione della assoluta certezza dell’intervento di Maria nelle vicissitudini della storia e a lei dedicò l’Istituto di suore che, come “monumento vivo”, volle che si chiamassero “Figlie di Maria Ausiliatrice”.

La sua vocazione sacerdotale ebbe sempre come stella polare, fin da fanciullo, la Madonna, e la sua efficacia ministeriale e la sua audacia apostolica ebbero la loro profonda e autentica radice in questa sicura fiducia in lei.

Per l’intercessione, dunque, e con l’aiuto della beata Vergine, che ci sorride da questo grande quadro, nel quale ella è circondata dagli apostoli, i primi collaboratori e ministri della nuova alleanza, ci sia concesso di ricevere docilmente e custodire gelosamente l’alto messaggio di fedeltà alla identità sacerdotale, che si sprigiona dalla figura di questo santo conterraneo.

Che don Bosco, guidandoci a Maria, ci aiuti a riconoscere, stimare e sviluppare la nostra consacrazione apostolica di sacerdoti del Signore.

Eminenza, la ringrazio per avermi introdotto in questo incontro con i sacerdoti della sua arcidiocesi di Torino e con gli altri sacerdoti di tutto il Piemonte, e la invito, come anche gli altri Vescovi qui presenti, ad offrire a questi nostri fratelli nella consacrazione sacerdotale una benedizione come gesto di ringraziamento, di solidarietà e di incoraggiamento. Questa benedizione sia anche per le vostre parrocchie, per le vostre comunità, per le persone a voi affidate, per le vostre famiglie. Grazie.

 

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