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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA CHIUSURA DEI SANTI ESERCIZI SPIRITUALI

Cappella «Redemptoris Mater» in Vaticano
Sabato, 18 febbraio 1989

 

Sia lodato Gesù Cristo.

Dobbiamo concludere questi giorni benedetti. Dobbiamo, come al solito, cantare anche il “Magnificat” per esaltare, ancora una volta, la “misericordia Eius a progenie in progenies”. Noi siamo certamente una nuova progenie, una nuova generazione alla quale è stata offerta questa misericordia infinita di Dio, su cui abbiamo tanto ascoltato e tanto meditato durante questi giorni. Anzi, possiamo applicare questa progenie alle settimane, agli anni. Grazie a Dio, ogni anno si ripete questa esperienza spirituale in Vaticano, all’inizio della Quaresima, e ogni anno diventiamo più esperti di quella misericordia infinita di Dio, offertaci in Gesù Cristo.

Tutti vogliamo ringraziare il nostro predicatore, che ci siamo permessi di strappare un po’ dalla sua sede, dai suoi impegni episcopali nell’arcidiocesi, e che è venuto fra noi per offrirci queste sue riflessioni come guida delle nostre, durante gli esercizi spirituali. E lo abbiamo sentito e seguito. Sì, abbiamo sentito nelle sue conferenze una splendida esegesi patristica. Si è visto subito che il suo maestro principale era sant’Ambrogio; non sono mancati anche gli altri padri della Chiesa, ma si è visto abbastanza bene che il Cardinale di Bologna viene da Milano.

Lo ringraziamo per questa esegesi patristica, che è non solamente propria di una volta, di un sant’Ambrogio, ma anche di oggi. E si vede come questa esegesi costituisca veramente il fondamento della teologia: della teologia spirituale e della teologia pastorale. Essa è capace - o, diciamo piuttosto, la Parola di Dio, la Sacra Scrittura è capace, attraverso questa esegesi, della quale i padri ci hanno lasciato il modello - di incontrare l’uomo in ogni epoca, in ogni generazione; di incontrarlo in ogni situazione; di parlare a lui con la stessa forza che è nascosta nella sua fonte, che è la Parola di Dio. E durante questa settimana soprattutto abbiamo sperimentato i benefici di questa esegesi, sì, patristica, ambrosiana, ma nello stesso tempo moderna, molto attuale, fino alle situazioni particolari che si possono conoscere, identificare, possiamo dire giungendo fino a questa situazione unica ed irripetibile che è ciascuno di noi: l’uomo nella sua propria situazione.

Allora ringraziamo per questa esegesi, per queste prediche, per questo cammino comune che il Cardinale Giacomo Biffi ha voluto fare con noi. Ringraziamo tutti coloro che hanno guidato i nostri canti, le nostre preghiere durante questa settimana. E ci ringraziamo vicendevolmente, tutti e ciascuno, per la tacita, silenziosa partecipazione, che è anch’essa una predica, che ci parla a modo suo e con una sua propria efficacia.

Vogliamo allora cantare il “Magnificat”, come si fa ogni anno in questo giorno il quale, poi, essendo un sabato, è specialmente dedicato a colei che ci ha lasciato queste parole; vogliamo ringraziare con lei il Signore “quia fecit mihi magna”, per tutte le cose che ci ha fatto, per questa settimana di preghiera, di silenzio, di contemplazione - silenzio contemplativo -, per questa settimana di solitudine, forse in qualche caso relativa, ma speriamo sufficiente. Per tutto questo, “quia fecit mihi magna”, cantiamo il “Magnificat”.

 

© Copyright 1989 - Libreria Editrice Vaticana

 


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