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VIAGGIO APOSTOLICO IN MADAGASCAR, LA RÉUNION, ZAMBIA E MALAWI

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI SACERDOTI, AI RELIGIOSI E AI SEMINARISTI
NELLA CATTEDRALE «LIMBE»

Blantyre (Malawi) - Giovedì, 4 maggio 1989

 

Cari fratelli e sorelle, cari amici in Cristo,

1. È con affetto e gratitudine che saluto ciascuno di voi e tutti i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i seminaristi del Malawi. Sono appena giunto nel vostro Paese e già sento che i vostri cuori risplendono dell’amore di Cristo. Sono profondamente commosso al ricordo di quanto è stato fatto nel corso degli anni grazie agli sforzi dei primi missionari: uomini e donne generosi come voi, che hanno portato la buona Novella della salvezza per amore verso Cristo e verso gli altri, che hanno ascoltato il comandamento del Signore “perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15, 16).

Molti di voi vengono dall’estero e risiedono da lungo tempo in Malawi. Voi avete accolto di cuore l’esortazione del Vangelo a lasciare genitori, parenti e patria per mettere mano all’aratro senza volgervi indietro (cf. Lc 9, 62). Prego affinché i molti sacrifici tornino a gloria di Dio. Possiate ricevere l’eredità riservata a coloro che hanno fatto del Signore la loro scelta e il loro calice (cf. Sal 16, 5-6).

Altri tra voi sono parte di un numero crescente di vocazioni malawiane al sacerdozio e alla vita religiosa. Mi unisco a tutta la Chiesa nel rendere lode a Dio per questa messe, che manifesta la crescente maturità e profondità con cui il Vangelo viene accolto e vissuto nelle famiglie e nelle comunità di questo Paese. Queste speciali vocazioni rappresentano la più rigogliosa fioritura di un seme piantato e nutrito da coloro che sono venuti prima di voi.

2. Il mio incontro con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i seminaristi è un momento importante di ogni visita pastorale, e quello di oggi non fa eccezione. Il nostro incontro di questa sera mi offre una speciale opportunità di confermarvi nella fede, di incoraggiarvi nella perseveranza e nella speranza, e di ricordare l’amore che Cristo ha per ciascuno di voi. Sono venuto come Vescovo di Roma, come successore di Pietro, come Pastore della Chiesa universale, ma sono qui dinanzi a voi come un fratello, come un compagno di lavoro nella vigna del Signore, che come voi è stato chiamato a predicare il Vangelo di misericordia e di amore del Signore e a manifestare agli altri questo amore.

La nostra presenza insieme in questa cattedrale ci ricorda allo stesso tempo il mistero della comunione gerarchica, che è al centro della vita e della missione della Chiesa. Nessuno di noi lavora da solo nella vigna del Signore. I Vescovi esercitano il loro ministero quali membri del Collegio Episcopale insieme e con il successore di Pietro, che è sorgente e fondamento di unità (cf. Lumen Gentium, 18. 22). I sacerdoti, sia diocesani che religiosi, sono collaboratori e coadiutori dei loro Vescovi, insieme ai quali costituiscono un solo presbiterio al servizio della Chiesa locale; sono fratelli fra loro in virtù della loro ordinazione e della loro missione comune (cf. Lumen Gentium, 28). E tutti i religiosi, uomini e donne, sono chiamati a rispettarsi l’un l’altro e a rispettare i loro pastori (cf. Perfectae Caritatis, 6); essi devono fare riferimento ai Vescovi per tutto ciò che riguarda l’unità della Chiesa locale e le realtà di apostolato che operano al suo interno (cf. Christus Dominus, 35).

3. Cari fratelli e sorelle: l’“anima” della comunione ecclesiale e di questi rapporti all’interno della Chiesa si fonda sul comandamento che abbiamo udito poco fa nel Vangelo. Gesù dice ai suoi discepoli: “Che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15, 12). Oggi Gesù dice le stesse parole ai suoi discepoli del Malawi e in tutto il mondo e le rivolge in modo speciale a noi, sacerdoti e religiosi della sua Chiesa. Perché noi dobbiamo essere per il gregge gli esempi della buona Novella della salvezza che proclamiamo nelle nostre rispettive vocazioni e attraverso di esse: dobbiamo essere esempi di amore. Altrimenti, come ci ricorda giustamente san Paolo, non saremo altro che “un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna” (1 Cor 13, 1).

Cristo parla di amore nel contesto della sua opera redentrice: “dare” la vita per i suoi amici. Riguardo a ciò, san Giovanni scrive: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1 Gv 3, 16). Dobbiamo amare come Cristo ci ha amati. Dobbiamo vedere il nostro sacerdozio e la nostra consacrazione religiosa come un “dare” la vita per la salvezza dei nostri amici, vale a dire, di ogni persona umana.

Per noi l’imitazione di Cristo comprende la libera scelta del celibato, che “è sempre stata considerata dalla Chiesa “quale segno e stimolo della carità”; segno di un amore senza riserve, stimolo di una carità aperta a tutti” (Pauli VI, Sacerdotalis Coelibatus, 24). L’esempio di amore di Cristo è anche la fonte della speciale consacrazione che è propria dei religiosi e delle religiose. Nelle parole del Concilio Vaticano II: essi seguono “Cristo che, vergine e povero, redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza spinta fino alla morte di croce. Così essi, animati dalla carità che lo Spirito Santo infonde nei loro cuori, sempre più vivono per Cristo e per il suo Corpo che è la Chiesa” (Perfectae Caritatis, 1).

Cari fratelli e sorelle, vi esorto a meditare spesso sull’amore di Cristo che è la sorgente e l’obiettivo delle vostre rispettive vocazioni. Cercate sempre i modi per approfondire la vostra fedeltà a questo amore con il vostro sguardo rivolto a lui - l’eterno Sacerdote, il Pastore e lo Sposo delle vostre anime. Perché è l’amore che porta il popolo alla comunione con il Signore nella Chiesa. È una vita di sacrificio e dono di sé che conferma la verità del messaggio che predichiamo.

4. Il testo del Vangelo di questa sera presenta un altro aspetto dell’amore di Cristo che ha importanti conseguenze per i sacerdoti e i religiosi. I discepoli sono amici di Cristo, perché “ciò che ha appreso dal Padre lo ha fatto conoscere a loro” (cf. Gv 15, 15). Il suo amore per loro lo ha portato a rivelare i misteri vivificanti del Regno di Dio. L’amore ha fatto di lui il loro Maestro.

Da questo e da altri passaggi del Vangelo, sappiamo che Cristo ha affidato a quelli che amava il compito di essere maestri dopo di lui, “di andare e portare frutti, frutti che rimangono”. Egli ha affidato alla Chiesa la sacra missione del Magistero nel suo nome fino ai confini della terra, e nell’adempiere a questa missione, sacerdoti e religiosi hanno sempre avuto un ruolo speciale.

Se vogliamo sapere come insegnare, dobbiamo anche sapere come amare: “come Cristo ci ha amati”. Egli veniva spesso chiamato “maestro” (cf. Gv 1, 38) e insegnava con autorità - non un’autorità che imponeva, ma che gli altri gli riconoscevano perché l’aveva ricevuta autenticamente da Dio. Questo modo di insegnare ci ricorda gli anziani dei villaggi africani, a cui la gente si rivolge per essere guidata e ammaestrata. Questi anziani condividono volentieri la loro conoscenza e la loro esperienza, per questo sono rispettati.

Cristo ha fatto conoscere tutto ciò che ha appreso dal Padre (cf. Gv 15, 15). Sin dalla prima Pentecoste questa conoscenza è stata trasmessa e condivisa da coloro che avevano il compito ufficiale di insegnare, ma anche da altri, soprattutto nelle famiglie e nelle scuole. Sappiamo per esperienza che ciò significa essere ammaestrati dai genitori, per i quali l’insegnamento e l’amore sono inseparabili. È soprattutto dal loro esempio che noi apprendiamo il significato della vita umana e della virtù. Così come il loro insegnamento è spesso silenzioso o limitato a piccoli gesti, anche la nostra positiva influenza sugli altri può essere tanto maggiore nelle opere che spesso passano inosservate o in atti che nulla hanno di straordinario. I sacerdoti e i religiosi che sono stati “ammaestrati” in Cristo possono fare cose meravigliose - “mirabilia Dei” - attraverso l’amore che trasforma ogni azione, per quanto umile e abitudinaria, in un esempio vivo del Vangelo. È questo genere di amore che traspare dagli amici di Cristo che conduce gli altri a lui.

Questa sera desidero incoraggiare tutti voi ad essere maestri secondo il cuore di Cristo, sia nell’impartire l’insegnamento formale che nell’influenza che esercitate all’esterno con il vostro esempio. Egli si è fatto conoscere attraverso l’amore affinché voi a vostra volta lo portiate agli altri. Siate certi che tanto più resterete fedeli alla vostra speciale vocazione nella Chiesa, tanto più efficacemente insegnerete agli altri l’amore di Cristo.

5. Adesso vorrei rivolgere qualche parola ai seminaristi i quali, Dio volendo, un giorno parteciperanno alla vita di servizio di cui ho parlato questa sera. Voi siete i futuri pastori e i maestri del Popolo di Dio. Anche voi siete amici di Cristo.

I vostri anni di formazione in seminario rappresentano un prezioso periodo di crescita e di sviluppo nel vostro rapporto personale col Signore. Prima di dare la vita nel nobile e stimolante servizio al Vangelo, avete bisogno di approfondire con lo studio e la preghiera la vostra comprensione del mistero di Cristo e della sua Chiesa. Il sacerdozio è un impegno permanente col quale siete chiamati ad amare come Cristo ci ha amati, vale a dire dando la vostra vita ed insegnando come ha fatto Cristo. Se persevererete in questo impegno di amore non soltanto nel giorno dell’ordinazione, ma durante tutta la vostra vita, potete star certi che la grazia di Dio non vi abbandonerà mai. Nel servizio al Signore sperimenterete l’abbondanza della gioia e della pace.

Affido in modo particolare a voi giovani le parole di chiusura del Vangelo di questa sera: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15, 16). Sì, il dono della vocazione al sacerdozio non è qualcosa che dovete cercare per voi stessi. Non ha nulla a che vedere con lo status o il privilegio secondo l’ottica del mondo. Se siete veramente chiamati a questa vocazione, il vostro grande privilegio sarà quello di dare le vostre vite con Cristo, l’eterno sacerdote. Che Dio aiuti tutti voi a discernere la sua volontà, affinché possiate andare e “portiate frutto e il vostro frutto rimanga”.

Su tutti voi - sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi del Malawi - invoco l’effusione dei doni dello Spirito per la costruzione del corpo di Cristo, la Chiesa. E in questa cattedrale dedicata a Maria, la regina dei cuori, madre dell’Amore divino, affido il vostro lavoro quotidiano alla sua potente protezione. Fiducioso nelle sue preghiere per voi e per tutti coloro che fanno conoscere e amare suo Figlio nel mondo, imparto di cuore la mia benedizione apostolica.



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