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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PELLEGRINI PROVENIENTI DALLA POLONIA

Domenica, 12 novembre 1989

 

1. Dopo la cerimonia della canonizzazione sono lieto di incontrare il gruppo dei pellegrini della Polonia ed anche dell’emigrazione, per riflettere, ancora una volta, sul significato dell’odierno avvenimento. Vi saluto e do il cordiale benvenuto a tutti voi presenti in questa casa comune di tutti i pellegrini.

Saluto in modo particolare il signor Cardinale Primate e il signor Cardinale metropolita di Cracovia, i miei confratelli nell’Episcopato, i sacerdoti, le famiglie religiose maschili e femminili, ma specialmente i figli e le figlie spirituali del santo fratel Alberto. Saluto anche i membri della delegazione venuta in rappresentanza del governo.

Probabilmente per la prima volta ha avuto luogo una tale canonizzazione: una figlia del popolo ceco, Agnese di Praga, e Adam Chmielowski, un figlio della nostra Nazione. Questi due personaggi, benché appartengano a diverse epoche della storia, parlano a noi su ciò che unisce queste due nazioni: non soltanto la vicinanza geografica e l’eredità slava, ma soprattutto il cammino, da cui venne a noi il cristianesimo. Non possiamo mai dimenticare, che lo abbiamo ricevuto, nei tempi di Mieszko, dai nostri vicini slavi del Sud. La conferma di questo legame è stato poi, nei tempi di Chrobry, il martirio di san Wojciech.

Oggi, attraverso il ricordo di questi legami storici, ci rallegriamo, insieme con il popolo e con la Chiesa di Boemia, della canonizzazione della santa clarissa Agnese di Praga; della canonizzazione che da molto tempo era aspettata - e che prende un significato particolare nel contesto della novena, con cui la Chiesa in Boemia si prepara al millennio della morte del martire san Wojciech.

2. Adam Chmielowski - fratel Alberto appartiene ai tempi più vicini al nostro secolo. Nacque nel 1845, fu partecipe dell’insurrezione del 1863, finì la vita nel Natale del 1916. Egli è il testimone partecipe della storica lotta dei Polacchi per la riconquista dell’indipendenza. Di lui ha scritto il grande Konstanty Michalski, che fratel Alberto sapeva che cosa significhi “bisogna dare l’anima”: sapeva questo dal Vangelo di Gesù Cristo.

Lo sapeva allorché, come studente diciassettenne della scuola di agricoltura, andò all’insurrezione, dalla quale tornò mutilato. E lo sapeva - negli anni della successiva ricerca di Dio sulle vie dell’attività artistica. Lo sapeva finalmente come fratel Alberto: fratello dei “gonfiati di Cracovia”, il radicale seguace di san Francesco, appassionato come lui della povertà evangelica, apostolo dei suoi tempi.

Se non pure dei nostri?

3. Ci incontriamo oggi, all’indomani dell’11 novembre, che segna l’inizio dell’indipendenza della Repubblica Polacca, dopo il lungo periodo di smembramento: il 12 novembre 1989!

Fratel Alberto mai arrivò a quella data, per cui vissero, lottarono, lavorarono e soffrirono molte generazioni di figli e figlie della nostra Nazione. Egli si trovava tra i protagonisti di quella lotta per la libertà della Patria. La conferma di ciò non è soltanto la mutilazione che subì durante l’insurrezione. Lo conferma tutta l’attività successiva e, in particolare, il lungo periodo del servizio francescano a quegli uomini, i quali si trovarono non soltanto ai margini della società, ma letteralmente “in fondo ad essa”. Sicuramente, la loro triste situazione era anche una conseguenza dei peccati personali, difetti e vizi, ma nello stesso tempo era una testimonianza delle deficienze e mancanze della società, in cui vivevano. Era una sfida morale, che non volevano accettare.

Fratel Alberto ha accettato questa sfida.

4. Che cosa ci dice la sua elevazione sugli altari oggi, nel novembre 1989?

Egli è il terzo santo polacco canonizzato in questo secolo. Il primo - santo Andrzej Bobola, prima della tremenda prova della seconda guerra mondiale. Andrzej Bobola, il martire delle grandezze e delle crisi della Repubblica delle tre Nazioni, martire dell’unione delle Chiese. Il secondo - padre Massimiliano Kolbe - il martire del fortino della fame di Oswiecim, il quale ha dato la sua vita per il fratello in casacca a righe.

E adesso - fratel Alberto.

L’anno della sua canonizzazione è anche l’anno dei rilevanti cambiamenti in Polonia. Tutti sanno di questi cambiamenti e non c’è bisogno di descriverli.

Questi rilevanti cambiamenti costituiscono nello stesso tempo - tutti lo sentiamo - una grande sfida storica, e non soltanto a livello della nostra Patria. “Il solidale” cammino della Nazione per la riconquista della sovrana soggettività nel senso politico si unisce - nell’attuale tappa - con i doveri, di cui sarebbe poco dire che sono difficili. Ma noi tutti siamo coscienti che questi doveri devono essere ripresi e sistematicamente trattati. Questi doveri sono di natura sociale-economica e, nello stesso tempo - e nella stessa radice - sono di natura etica.

Si tratta, (come già tempo fa è stato detto) di ricostruire la dimensione del bene comune nella vita della società. Secondo la dottrina sociale della Chiesa il bene comune - proprio il bene comune - è quello che assicura il bene di ogni membro della comunità. Lo assicura, infatti, in modo sovrano cioè corrispondente alla dignità della persona: partecipando alla costruzione del bene comune, ognuno è nello stesso tempo il dispensiere del bene proprio. Questa categoria “del proprio” (cioè della proprietà) appartiene ai diritti della persona umana. La società è sovrana, quando rispetta quei diritti in ogni ambito.

Riguardo all’ambito economico, vale la pena di richiamare la solidarietà come atteggiamento morale, come virtù. “Questa, dunque - come ho detto nella lettera enciclica Sollicitudo Rei Socialis - non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti” (Sollicitudo Rei Socialis, 38).

Nello stesso spirito si è espressa la Conferenza dell’Episcopato polacco nel suo comunicato del 7 ottobre dell’anno in corso: “Il bene comune richiede i sacrifici e le rinunce nelle difficoltà sociali, economiche e politiche. Dopo il periodo di pluriennali deficienze, incapacità e debolezza, non si può aspettare un immediato miglioramento della situazione. Oltre al tempo necessario, alle leggi sagge e all’amministrazione prudente, c’è anche bisogno di una dedizione sacrificata e un lavoro duro di tutti i cittadini” (Relatio, n. 3, die 7 oct. 1989).

5. La canonizzazione del nostro fratel Alberto viene nel momento della difficile svolta. Se questi, seguendo Cristo, aiutava gli uomini ad alzarsi, a riconquistare la dignità umana e la soggettività, a diventare i collaboratori del bene comune della società, non è dato a noi come segno e come patrono di questa difficile svolta?

Si parla spesso dell’aiuto da fuori. Certamente, questo pure appartiene alla solidarietà tra gli uomini, ma la Polonia dopo l’anno 1945 non poteva trarre profitto dai piani, i quali sono serviti per la ricostruzione delle nazioni dell’Europa Occidentale distrutte dalla guerra.

Però - finalmente - dobbiamo da soli alzarci dalla crisi, cercando forze ed energie in noi stessi, in ognuno ed in tutti.

Fratel Alberto era anche elemosiniere. Portava l’aiuto dai possidenti ai non-possidenti. Ma soprattutto insegnava a questi ultimi come ricostruire la loro vita con l’aiuto di Dio e con le proprie forze. Eppure era elemosiniere. Mostrava che il bene comune non è soltanto un frutto della giustizia, ma dell’amore disinteressato. Si sente che in Polonia c’è gente, che per il bene della società dà qualcosa del suo. Questo testimonia che essi hanno capito pienamente tanto il carisma del santo fratel Alberto, come il valore del bene comune. Vorrei esprimere a loro il mio apprezzamento e cordiale ringraziamento.

Spero che la “Polonia” di tutto il mondo, sempre unita da un forte legame con il Paese dei padri, dimostrerà grande comprensione per l’attuale situazione e darà un solidale aiuto ai connazionali in Polonia.

6. Mi rivolgo oggi, in modo particolare, ai figli ed alle figlie spirituali del nostro santo: albertini e albertine, il segno della continua presenza di questo “Fratello grigio” in mezzo alla nostra vita.

Mi rallegro insieme con loro di questo 12 novembre del 1989 (settantadue anni da quando egli li ha lasciati qui, sulla terra).

E me ne rallegro con tutta la Chiesa in Polonia, con tutte le diocesi, specialmente con quella di Cracovia.

Mi rallegro con tutta la Nazione. Auguro che questo santo, il quale era per tutti “buono come il pane”, aiuti tutti i Polacchi a riconquistare la bontà reciproca.

Che sia come pietra miliare nella costruzione di questa civiltà, chiamata da Paolo VI “civiltà dell’amore” - sulla nostra terra materna e dappertutto.

Dio, infatti, dona i santi sempre a tutta la Chiesa!

 

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