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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA AI DEGENTI OSPITI DEL CENTRO
DI RIABILITAZIONE FONDATO DA DON CARLO GNOCCHI

Domenica, 23 dicembre 1990

 

“Grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo” (Rm 1, 7).

1. Con le stesse parole augurali con cui l’apostolo Paolo salutava la primitiva comunità cristiana di Roma, mi rivolgo a voi, carissimi fratelli e sorelle, appartenenti a questo Centro di riabilitazione, che è tra i più significativi e importanti della Fondazione “Pro Juventute”, scaturita dal cuore e dal genio di quel grande sacerdote che fu don Carlo Gnocchi e che quest’anno celebra il quarantesimo anniversario della sua attività.

Insieme col card. vicario, Ugo Poletti, e con mons. Luca Brandolini, vescovo delegato per l’assistenza religiosa degli ospedali e case di cura di Roma, saluto tutti voi, cari giovani e ragazzi, e vi esprimo l’augurio sincero non solo di “Buon Natale”, ma anche di una pronta guarigione.

Rivolgo un cordiale ringraziamento a mons. Ernesto Pisoni, presidente della Fondazione e al professor Monticelli, direttore clinico e scientifico di questo Centro, per le parole di accoglienza che mi hanno indirizzato. E con loro ringrazio il direttore sanitario e tutto il personale medico e ausiliario, religioso, tecnico e amministrativo che, con competenza professionale e con profondo senso di umanità si prodiga per la cura e la riabilitazione di tutti gli ospiti di questo Centro.

2. L’odierno incontro, da voi tanto atteso e desiderato, assume un particolare significato nel contesto del Santo Natale, che ci apprestiamo a celebrare.

Con la liturgia di Avvento ci siamo preparati ad accogliere la visita del Salvatore, del “Medico celeste” che è venuto e viene ancora per sanare le ferite del corpo e dello spirito, per consolare gli afflitti con la sua presenza, per annunciare ai poveri la buona notizia della liberazione, per fare dono della vita a quanti confidano in lui.

Ebbene, ora il mistero si svela e si realizza. “Oggi saprete che il Signore viene: col nuovo giorno vedrete la salvezza”. Così ci ripete la liturgia della vigilia di Natale, nella quale, in un certo senso, siamo già entrati! Sì, il Signore viene! Ma occorre che anche noi andiamo incontro a lui. Ancora oggi a tutti gli uomini i pastori ripetono l’invito: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere” (Lc 2, 18).

Anche all’uomo di oggi, spesso indifferente e incapace di meraviglia di fronte alle grandi opere di Dio, è chiesto di “andare fino a Betlemme”, cioè di intraprendere un vero itinerario di fede, un radicale cambiamento di mentalità e di vita, per poter “riconoscere” in quel Bambino povero e rifiutato dagli uomini (“non c’era posto per loro nell’albergo”) il Figlio di Dio e il Redentore dell’uomo.

Questo è l’impegno che il Natale chiede a tutti: scuotersi dall’indifferenza, vincere lo scetticismo, superare le facili suggestioni che snaturano il volto cristiano della festa per ascoltare e credere all’annunzio, mettersi in cammino, “vedere” il Signore, adorarlo come Dio, annunciarlo con gioia a tutti come unico e vero Salvatore dell’uomo.

3. È vero: nel volto del Bambino Gesù si svela in maniera piena e definitiva l’amore di Dio Padre e Redentore che guarisce, libera e salva. Ma è altrettanto vero che in quel medesimo volto si nasconde e si manifesta il volto di ogni uomo, e soprattutto di chi è povero, indifeso, emarginato e malato. Laddove la dignità della persona umana è maggiormente violata, i diritti fondamentali lesi, i bisogni essenziali disattesi e la stessa vita minacciata, lì Gesù vuole essere riconosciuto, amato, accolto, servito.

Ecco perché l’uomo sofferente diventa “via” della Chiesa, ed è, questa, una delle vie più importanti. La Chiesa è chiamata a cercare l’incontro con l’uomo sofferente per annunciargli la parola della verità e della vita, per curare le sue ferite materiali e spirituali con l’olio della consolazione e il vino della speranza, per assicurargli un “luogo” in cui poterlo accogliere, curare, riabilitare e restituire alla sua piena dignità.

In questa prospettiva è facile rendersi conto che nella missione della Chiesa l’annuncio del Vangelo della speranza e della carità, della verità di Dio sull’uomo, sulla sua vita e sul suo destino trascendente, non può essere separato dalla testimonianza e dal servizio della carità che lo rendono più forte e credibile. La “nuova evangelizzazione” che tutti auspichiamo dal Sinodo pastorale diocesano deve prendere le mosse e continuamente rifarsi e alimentarsi alla testimonianza della carità. È questa la via che tutta la Chiesa, e particolarmente la Chiesa di Roma, è chiamata ad imboccare con nuovo coraggio e a percorrere con rinnovato impegno di opere.

4. Tale è stata, carissimi fratelli e sorelle, la via percorsa anche da don Carlo Gnocchi. Questo zelante sacerdote, nell’immediato dopoguerra, di fronte alle orribili ferite scavate nelle carni e nel cuore di tanti bambini, vittime innocenti del grande conflitto, si è dedicato alla loro cura, fino al supremo dono di sé, manifestato anche nell’offerta dei suoi stessi occhi a uno di loro. Dal suo grande cuore di Padre, di fedele ministro di Cristo e della Chiesa, di servitore dell’uomo, è nata la fondazione alla quale questo Centro appartiene.

Un’opera che è rimasta fedele al primitivo spirito di attenzione e di servizio al bambino e al giovane, malato o mutilato, come a persona fatta a immagine di Dio e perciò sempre meritevole di rispetto e di amore.

Il vostro Centro, al fine di offrire risposte sempre più adeguate alle necessità degli ospiti disabili e al progresso delle moderne tecnologie, ha saputo sviluppare notevoli capacità e relativi servizi, sia nella ricerca che nella prevenzione e cura, tanto da essere considerato un Istituto esemplare per tutti coloro che vogliono mettere la scienza e la tecnica a servizio dell’uomo.

5. Carissimi medici e operatori sanitari di questo Centro: rimanete sempre fedeli allo “stile” e allo spirito di don Gnocchi!

Mediante le cure fisiche, che voi prestate, come pure l’istruzione scolastica, la formazione professionale, lo sviluppo di attività sportive, ma anche mediante la vostra professionalità, seria e coerente sotto il profilo etico, e soprattutto con il vostro amore, illuminato e sostenuto dalla fede, voi potete contribuire alla riabilitazione piena dei ragazzi e giovani degenti e al loro pieno reinserimento nella comunità civile.

Rivolgo pure un affettuoso pensiero ai genitori e familiari, molti dei quali oggi sono qui. Comprendo il vostro dramma e i problemi umani e spirituali che il dolore e l’infermità degli innocenti suscita nel vostro cuore, come pure le gravi difficoltà che incontrate, cercando di stare accanto a loro. Non sentitevi soli e abbandonati. Molte persone sono solidali con voi. E anch’io vi seguo con la preghiera affinché la vostra fede non venga meno e non tramonti la speranza nel vostro cuore.

A tutti, perciò, chiedo attenzione, partecipazione e solidarietà nei confronti dei disabili che hanno bisogno non solo di cure efficaci, ma di accoglienza, di vicinanza, di sostegno in modo che siano abbattute tutte le barriere che una società efficientistica e produttivistica, come l’attuale, innalza spesso nei loro confronti.

6. Carissimi fratelli e sorelle, il Signore è vicino! Andategli incontro con le opere dell’amore; apritegli il cuore, nella fede, non solo per riconoscerlo come Salvatore e Signore, ma per accoglierlo in ognuno dei fratelli sofferenti, emarginati e malati, nei quali continua a farsi presente nel mondo. E allora sarà davvero Natale: un Natale di gioia e di pace, di amore e di fraternità per tutti.

Questi auguri, che accompagno con la preghiera, voglio ora suggellarli con la benedizione apostolica.

 

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