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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI PARTECIPANTI
ALLA RIUNIONE DI CONSULTAZIONE DELL’ASSEMBLEA SPECIALE
PER L’EUROPA DEL SINODO DEI VESCOVI

Martedì, 5 giugno 1990

 

Venerati fratelli nell’episcopato!

1. “In tutte le nazioni della terra è radicato un solo popolo di Dio, poiché in mezzo a tutte le stirpi egli prende i cittadini del suo regno, non terreno ma celeste. E, infatti, tutti i fedeli sparsi per il mondo comunicano con gli altri nello stesso Spirito Santo... In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, e così il tutto e le singole parti sono rafforzate, comunicando ognuna con le altre e concordemente operando per la pienezza nell’unità” (Lumen gentium, 13). Nel rilevare questo dinamismo di comunione, che è proprio del popolo di Dio, il Concilio Vaticano II non manca di osservare che “la Chiesa si ricorda di dover raccogliere con quel Re, al quale sono state date in eredità le genti” (Lumen gentium, 13).

2. Il 22 aprile scorso è stata annunciata un’Assemblea speciale per l’Europa del Sinodo dei vescovi. Ciò ha avuto luogo a Velehrad, in Moravia, durante la visita papale in Cecoslovacchia, resasi finalmente possibile dopo tanti anni di chiusura di tale Paese sotto i rigori totalitari del sistema marxista. Le sopra citate parole della costituzione dogmatica Lumen gentium costituiscono in certo modo la più profonda motivazione di ogni Assemblea del Sinodo dei vescovi, anche di quella che è stata annunciata a Velehrad. La Chiesa ha un suo interiore dinamismo di comunione, che si realizza a molti livelli, costituendo perciò, in definitiva, una partecipazione e un riflesso di quella sacrosanta comunione che è Dio stesso nel mistero trinitario: il Padre il Figlio e lo Spirito Santo.

Il Sinodo ha le sue radici nella struttura di comunione del collegio dei vescovi. A motivo della vocazione pastorale di ognuno e di tutti, il collegio dei vescovi rivive in sé la specifica sollecitudine degli apostoli nel “raccogliere con quel Re, al quale sono state date in eredità le genti”. Il Sinodo dei vescovi costituisce una particolare istituzione mediante la quale questa sollecitudine trova la sua espressione collegiale e la sua attuazione.

L’annuncio a Velehrad di un’Assemblea speciale per l’Europa del Sinodo dei vescovi mette in rilievo il motivo particolare di questa iniziativa, un motivo che può ben dirsi storico, non soltanto nel senso della storia umana, ma anche nel senso del “kairós” divino che già adesso si iscrive in questa storia.

3. Quanto è accaduto negli ultimi anni e particolarmente negli ultimi mesi sul continente europeo, in special modo nell’Europa centrale e orientale, appare a chi lo legge in profondità come una svolta storica in questo nostro difficile XX secolo. Si sta aprendo la prospettiva di una situazione nuova nella vita delle Nazioni. È crollata la divisione in due blocchi poggianti su contrapposti principi socio-economici e ideologici, divisione imposta come conseguenza della seconda guerra mondiale. Per i Paesi dell’Europa centrale e orientale questo evento significa l’uscita, in certo senso, dalle catacombe e, in ogni caso, l’uscita da una situazione di più o meno radicale violazione dei diritti personali, in particolare del diritto di libertà religiosa e della stessa libertà di coscienza.

Dal momento che la Chiesa, come comunione di persone e di comunità in Cristo, comporta quel reciproco “scambio di doni” di cui parla la costituzione Lumen gentium nel nuovo contesto emergono due domande principali.

Una riguarda il passato (i 50 anni dell’Europa divisa) e suona così: Quali sono “i doni propri” che le Chiese ad oriente della “cortina di ferro” portano alle Chiese dell’occidente europeo, e viceversa? Quale valore hanno le loro esperienze per la Chiesa sul piano universale?

La seconda domanda riguarda il futuro: Come si deve continuare a sviluppare questo reciproco scambio di doni per la missione della Chiesa in Europa, per l’evangelizzazione del continente alla soglia del terzo millennio?

4. Il cristianesimo sul continente europeo risale al tempo degli apostoli. Secondo il libro degli Atti, l’annuncio evangelico attraversò il confine tra l’Asia e l’Europa, innanzitutto per opera di san Paolo. Successivamente l’apostolo Pietro, lasciando Gerusalemme, rivolse i suoi passi attraverso Antiochia verso Roma, dove più tardi si trovò prigioniero anche Paolo. Da quel tempo Roma divenne la sede degli apostoli e da essa cominciò ad irraggiarsi in Europa la grande evangelizzazione, quella che, in un certo senso, può ben essere qualificata come “la prima” e che durò quasi sino alla fine del secolo XIV. L’ultimo popolo a ricevere il battesimo, insieme col suo sovrano, fu la Lituania.

L’azione evangelizzatrice, accanto al centro romano e a quelli con esso collegati (per es. l’Irlanda e l’Inghilterra), ebbe l’altro importante suo centro in Oriente, a Costantinopoli. Se tutto il primo millennio, già nel periodo delle persecuzioni, e poi dopo la loro cessazione, costituisce il tempo della cristianità unita, se ne deve dedurre che questa unità, nonostante le divisioni locali, si riferiva soprattutto al rapporto tra l’Occidente e l’Oriente greco, più tardi bizantino.

Un grande significato ebbe lo sviluppo della Chiesa nella regione dell’Asia Minore e nell’Africa, cioè intorno al Mare Mediterraneo. Tuttavia, valore primario per l’evangelizzazione dell’Europa deve essere riconosciuto alla bipolarità Roma-Bisanzio, la quale durante tutto il primo millennio si mantenne nel contesto dell’unità ecclesiale. Fu soltanto nel corso del secolo XI che venne consumandosi la pratica divisione tra Oriente e Occidente. Da quel tempo l’evangelizzazione dell’Europa porta su di sé il marchio di una divisione che, nonostante lodevoli sforzi volti a ricomporla, continua fino ai giorni nostri.

Sulla spinta delle note aspirazioni riformatrici nei confronti della Chiesa si giunse successivamente alla divisione anche in Occidente. L’Europa cristiana divenne un’Europa ecclesialmente divisa, e questo stato di cose perdura tuttora. La frattura si fece anzi ancor più profonda a causa della sottomissione al potere temporale, che impose il principio “Cuius regio, eius religio”. Questo principio costituisce la negazione del diritto alla libertà religiosa, un diritto che solo più tardi giunse a piena consapevolezza nella coscienza delle società (benché in alcune parti d’Europa, come ad es. nello Stato polacco-lituano-ruteno, sia stato sempre rispettato).

Dal momento della scoperta dell’America comincia l’espansione coloniale dell’Europa, particolarmente dei popoli situati nelle regioni prospicienti l’oceano Atlantico. Ciò non avvenne senza precisi riflessi sull’evangelizzazione. Questa, infatti, portò in sé il marchio della divisione relativamente alle due parti del continente americano: mentre l’America del Sud si ritrova oggi in maggioranza cattolica, quella del Nord è per principio protestante. La stessa divisione si riscontra anche nella colonizzazione dell’Africa e dell’Estremo Oriente.

Nel corso della storia il continente europeo ha avuto un ruolo primario nell’evangelizzazione del mondo. Tale evangelizzazione, però, mentre portava a nuovi popoli la fede nello stesso Cristo, trapiantava in essi simultaneamente la divisione tra i cristiani, pur chiamati ad essere membra di quell’unico corpo di Cristo che è la Chiesa.

Trattando il tema della nuova evangelizzazione nell’Assemblea speciale per l’Europa del Sinodo dei vescovi dobbiamo avere davanti agli occhi questa realtà. Lo sforzo per arrivare all’unità dei cristiani si è affermato gradualmente a opera del movimento ecumenico ed è noto che il Concilio Vaticano II ha voluto farne un impegno primario nel programma di rinnovamento della Chiesa cattolica.

5. Occorre avere davanti agli occhi anche il processo storico dello sviluppo della cultura (e delle culture) nel continente europeo, particolarmente quello della cultura umanistica. Secondo un’opinione assai diffusa, questo sviluppo è stato singolarmente intenso e ha avuto uno stretto legame - anche per le conseguenze nell’ambito della scienza e della tecnica - con gli elementi fondamentali del pensiero giudaico-cristiano, risalenti alle fonti bibliche, oltre che con i classici della filosofia antica, specialmente di quella greca. Per l’organizzazione della vita, invece, e per il diritto che ne è la base, la cultura europea è debitrice soprattutto alla Roma antica: allo “ius romanum” per l’aspetto civile e allo “ius canonicum” per quello ecclesiale.

Questi rapidi cenni allo sviluppo della civilizzazione europea, inducono a distinguere in modo piuttosto netto l’occidente cristiano - sia europeo sia, in seguito, americano - dalla civilizzazione asiatica, storicamente più antica di quella europea, e anche dalla civilizzazione dei popoli musulmani.

Per quanto riguarda le linee di sviluppo della cultura umanistica, per molti secoli le premesse metafisiche e gnoseologiche universalmente accettate assicurarono una visione teocentrica della realtà. Questa - specie nell’ambito della tradizione cristiana - aveva pure, com’è ovvio, una sua precisa dimensione cosmologica e antropologica. A corroborare le certezze raggiunte in tale visione della realtà conducevano non soltanto le conoscenze teologiche, ma anche quelle filosofiche, almeno fino a quando al centro della tensione filosofica restò l’oggettività dell’“esse”. Dal tempo di Cartesio, com’è noto, è venuto operandosi uno spostamento di questo centro verso la coscienza soggettiva, e delle conseguenze di tale spostamento noi tutti siamo testimoni. La filosofia è diventata prima di tutto gnoseologia (teoria cioè della conoscenza), con la conseguenza che al centro della realtà è venuto a trovarsi l’uomo come soggetto conoscitivo, ma vi è restato solo.

Anche il cosmo, e soprattutto il mondo visibile ed empirico, è diventato, con lo sviluppo delle scienze naturali, un ambito a sé stante della conoscenza umana. Se per Newton, che è chiamato il padre della moderna scienza naturale, questa conoscenza rimaneva nel contesto della religione e della rivelazione, l’ulteriore sviluppo delle scienze naturali ha abituato gradualmente le menti umane a guardare al mondo in se stesso, “come se Dio non esistesse”. L’ipotesi, all’inizio metodica, della non-esistenza di Dio, con l’andare del tempo ha portato all’idea di Dio come ipotesi. Queste correnti di pensiero si sono consolidate sotto forma di agnosticismo diffuso, specialmente tra gli scienziati. Un ulteriore passo è stato l’ateismo che, dal punto di vista filosofico, ha assunto la sua espressione più radicale nel materialismo dialettico marxista. Nella visione filosofica propria di questa corrente di pensiero, la religione costituisce una delle forme di alienazione dell’uomo, il quale, creandosi l’idea di Dio, si priva da sé di ciò che è un suo attributo e una sua proprietà. Si aliena rinunciando all’eredità di tutto ciò che è autenticamente umano.

Il marxismo è la forma estrema di questo processo intellettuale, che ha attraversato la coscienza europea (e non solo quella) tra il XIX e XX secolo.

Il positivismo filosofico non costituisce sicuramente una forma così estrema di ateismo; anch’esso tuttavia rinchiude la conoscenza umana entro limiti puramente empirici, negando all’idea di Dio, e quindi alla religione, la possibilità di una fondazione razionale.

Nel frattempo, molti europei, particolarmente dell’ambiente colto, si sono abituati a considerare la realtà “come se Dio non esistesse”. Si sono abituati anche ad agire in tale prospettiva. Il soggettivismo gnoseologico e l’immanentismo (particolarmente dai tempi di Kant) vanno di pari passo con un atteggiamento di autonomia nell’etica. L’uomo stesso diventa la fonte della legge morale, e soltanto tale legge, che l’uomo si dà da sé, costituisce la misura della sua coscienza e del suo comportamento.

6. Il quadro prospettato è evidentemente sintetico: omette per necessità, di menzionare una serie di correnti anche importanti all’interno di questo processo, le quali hanno contribuito allo sviluppo della moderna cultura europea nella sua dimensione sia teoretica che pratica. L’Europa - è chiaro - non presenta, da questo punto di vista, un’immagine monolitica. In essa si possono distinguere zone sottoposte in misura maggiore o minore ai processi delineati sopra e zone caratterizzate da una secolarizzazione più o meno avanzata, nella quale non sono assenti il materialismo teoretico e, più ancora, quello pratico.

Nel contesto dei fenomeni ora delineati, il cristianesimo resta costantemente presente nel continente europeo, ed è radicato in modo più o meno profondo nei singoli individui, ambienti o società. Per la verità, esso possiede un preciso “diritto di cittadinanza” nella storia dell’Europa, dove per la sua presenza antichissima ha potuto contribuire alla formazione stessa della cultura e della coscienza delle varie nazioni. Le correnti immanentistiche e secolaristiche nell’ambito del pensare e dell’agire non sono, tuttavia, soltanto un’intrusione successiva. Esse si sono sviluppate sulla spinta dell’evoluzione della cultura come espressione di una civiltà nella quale i successi delle scienze e della tecnica hanno dato all’uomo il senso sempre più grande del dominio e, indirettamente anche dell’indipendenza nei confronti di Colui che è il principio e il fine di tutto ciò che esiste.

Quanto questo senso di indipendenza sia nato da uno specifico “riduzionismo” dei processi della conoscenza e della volontà, e quanto esso sia all’origine del contemporaneo sottomettersi dell’uomo alla dimensione immanente (nei riguardi cioè del mondo), è un problema a parte. Il dato evidente è nella grandezza dei successi ottenuti nell’ambito del mondo visibile, nell’insieme delle conquiste realizzate dalla scienza e dalla tecnica, l’uomo trova un “alibi” in apparenza sufficiente. Egli si accontenta di ciò che può ottenere dal mondo durante la vita temporale. Gli sembra che il mondo lo serva senza renderlo, in cambio, dipendente da sé. Questo è per l’uomo sufficiente. È come se egli dimenticasse la sua caducità e il suo bisogno di trascendenza. Non sente il desiderio di aprirsi verso il regno che “non è di questo mondo” (Gv 18, 36). Sembra anche non sperimentare la verità delle parole: “Dove c’è lo Spirito del Signore, ivi c’è libertà” (2 Cor 3, 17).

7. La tragica serie di avvenimenti che si sono susseguiti in questo secolo, particolarmente a partire dall’esplosione della seconda guerra mondiale, ha forse contribuito in qualche misura ad aprire il cuore dell’uomo verso la libertà che viene dallo Spirito, quella libertà per la quale Cristo ci ha liberati.

La guerra stessa con la sua smisurata crudeltà, che nello sterminio programmato degli ebrei, come anche degli zingari e di altre categorie di persone, ha raggiunto la sua espressione più efferata, ha svelato all’uomo dell’Europa l’altro volto di una civilizzazione, che egli era incline a considerare come superiore a ogni altra. Essa ha certamente manifestato pure la disponibilità alla solidarietà e al sacrificio eroico per la giusta causa. Ma questi luminosi aspetti dell’esperienza bellica sono stati apparentemente sopraffatti dalla dimensione del male e dalla distruzione non soltanto materiale, ma anche, e soprattutto, morale. Forse nessuna guerra nella storia ha camminato di pari passo con un simile conculcamento dell’uomo, della sua dignità e dei suoi diritti fondamentali. Un’eco dell’avvilimento, e perfino della disperazione, suscitata da tale esperienza era possibile raccogliere nella domanda ripetuta spesso dopo la guerra: Come si può continuare a vivere dopo Auschwitz? A volte affiorava anche un’altra domanda: è possibile ancora parlare di Dio dopo Auschwitz?

E tuttavia noi oggi sappiamo che Auschwitz non è stata la fine. Il totalitarismo bruto della potenza nazi-socialista subì una sconfitta totale. Al suo posto rimase in una parte dell’Europa un altro totalitarismo quale forza prevalente tra i vincitori. E iniziò la storia dell’Europa divisa secondo le decisioni prese a Yalta dalle potenze vittoriose. È difficile entrare nei particolari di questa storia. Si potrebbe dire in breve che, mentre a occidente della “cortina di ferro”, dopo un’efficace ricostruzione dalle distruzioni della guerra, avanzava velocemente il processo di sviluppo democratico, basato sul riconoscimento di un sistema di diritti dell’uomo proclamati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite già nell’anno 1948, a oriente di quella linea, invece, cresceva il totalitarismo dello Stato marxista che, pur proclamando a parole gli stessi diritti dell’uomo, praticamente ne costituiva la negazione radicale.

Per lungo tempo il clima di confronto, di “guerra fredda”, tra le due superpotenze mascherò, prima di tutto in Oriente, ciò che si nascondeva dietro l’insegna del superpotere. Soltanto alla fine degli anni Ottanta tale realtà è stata svelata con la proclamazione della “perestroika”, cioè di una ricostruzione del sistema, necessaria per fermare la crescente crisi prima di tutto, ma non soltanto, economica.

All’interno delle Nazioni che, con la decisione di Yalta, erano state sottomesse alla superpotenza dell’Est come “alleate”, ma in realtà come “satelliti”, la resistenza aveva cominciato a risvegliarsi già nei precedenti decenni, per manifestarsi poi più decisamente di recente, prima di tutto nella Polonia, ma poi anche in Ungheria e in Cecoslovacchia. Queste Nazioni radicate fortemente nelle tradizioni europee, intrapresero in modo sempre più consistente ed efficace un’azione rivendicativa nei riguardi del sistema totalitario statale: era un’azione basata sulla inviolabilità dei diritti dell’uomo. Tra questi diritti un posto centrale occupava il diritto alla libertà di coscienza e di religione.

L’anno 1989 si è concluso con una serie di cambiamenti nei Paesi del cosiddetto blocco comunista. I partiti marxisti hanno perso il loro potere assoluto. Le elezioni libere stanno confermando nelle rispettive società la disapprovazione per le forme di vita politica, economica e sociale che essi avevano imposto. Tutto questo si sta realizzando sulla via di una rivoluzione pacifica - via già iniziata da “Solidarnosc” in Polonia nell’anno 1980 - senza spargimento di sangue, con una sola eccezione: quella della Romania. Il processo di democratizzazione si realizza in tutti i Paesi di quella regione, tranne che - almeno finora - in Albania.

Una delle conseguenze di questi cambiamenti è che vengono restituiti alla comunità dei credenti, cioè alla Chiesa, i diritti di cui, nel sistema del totalitarismo marxista, essa era stata in modo programmatico privata. Il grado di tale privazione è stato diverso da Paese a Paese. Comune era però il presupposto da cui si partiva: la religione, quale elemento di alienazione, doveva sparire per consentire la liberazione dell’uomo. Si può dire che l’esperienza del periodo ora conclusosi ha dimostrato esattamente l’opposto: la religione e la Chiesa si sono rivelate tra i fattori più efficaci nella liberazione dell’uomo da un sistema di asservimento totale.

8. Alla luce di questi avvenimenti i cristiani, da parte loro, debbono attentamente riflettere e chiedersi se e in quale misura il soffocamento dei diritti della Chiesa non sia stato talvolta concomitante con un’insufficiente evangelizzazione: ci si può domandare, cioè, se ci sia stata qualche carenza, ad esempio, nella catechesi da parte sia di coloro che la impartivano sia di coloro che la ricevevano.

Parimenti, i figli della Chiesa dovranno riflettere sull’integrità della loro professione cristiana, cioè sull’effettiva testimonianza, anche nella vita pubblica, di tutte le esigenze di una coerente adesione alla loro fede. È importante, infatti, che nelle Nazioni tornate alla libertà, l’affermazione, del tutto legittima, degli aspetti civili e patriottici non sia disgiunta dal rinvigorimento, nell’ambito sia individuale che comunitario, dei valori della fede e della morale cristiana.

Il criterio di fondo, che dovrà orientare la riflessione e suggerire le opportune risposte, dovrà essere quello della fedeltà all’uomo nella sua inalienabile dignità che gli deriva dall’essere stato creato e ricreato a immagine e somiglianza di Dio. Dico questo perché, se si vuol comprendere adeguatamente l’uomo nella sua realtà storica, occorre considerarlo congiuntamente nell’ordine della creazione e della redenzione. Allora la sua dignità appare in tutta la sua ricchezza, che si esplica sia nel dominio delle cose create, esercitato secondo le intenzioni del Creatore, sia nella reciproca comunione tra uomini e popoli, in nome non soltanto dell’identica umanità, ma anche, e soprattutto, della comune vocazione a costituire, in Cristo, l’unica, grande famiglia dei figli di Dio.

9. Ritorniamo, concludendo, alle due domande che sono state poste all’inizio. Sono le domande che riguardano noi, qui riuniti come vescovi e pastori della Chiesa nel continente europeo.

La prima si riferisce al passato, in special modo agli ultimi 50 anni, e suona così: Quali doni caratteristici si recano a vicenda le Chiese dell’ovest, del centro e dell’est europeo in questo momento in cui la situazione nel nostro continente subisce visibili trasformazioni? Qual è il significato delle esperienze vissute per le Chiese particolari e per la Chiesa universale? Quale, dal punto di vista dell’ecumenismo e forse anche del dialogo con le altre religioni, oltre che col mondo estraneo alla religione?

La seconda domanda ci proietta nel futuro: Come bisogna sviluppare questo reciproco dono dal punto di vista della missione della Chiesa nell’Europa e nel mondo? Dal punto di vista cioè del servizio continuo al regno di Dio mediante una nuova evangelizzazione che, mentre promuove le Chiese particolari con le loro legittime tradizioni, ne rafforzi il vincolo con la cattedra di Pietro, “la quale presiede alla comunione universale di carità, tutela le varietà legittime e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva” (Lumen gentium, 13).

Queste domande delineano la tematica della prossima Assemblea Speciale del Sinodo. Ed esse confermano in qualche modo l’opportunità di convocarla.

Tutti noi, venerati e cari fratelli, abbiamo bisogno di un contatto reciproco che ci consente di discernere più da vicino che cosa lo Spirito Santo dica alla Chiesa mediante le esperienze di ciascuna delle Chiese particolari del continente europeo. Questo riguarda anche le Chiese orientali che hanno potuto recentemente ritornare alla loro attività pubblica e piena nei rispettivi Paesi. Questo riguarda in particolare i nostri fratelli ortodossi e protestanti, di cui una presenza nella nostra Assemblea speciale per l’Europa sarà molto gradita. Anch’essi, infatti, sono partecipi delle stesse esperienze e degli stessi compiti collegati col servizio al Vangelo.

Si tratta di discernere ciò che lo Spirito di Cristo dice a noi tutti mediante le esperienze del passato e, insieme, di capire quale via egli ci mostra per il futuro. Da quasi duemila anni il cristianesimo partecipa alla storia del continente europeo. Ora che ci avviciniamo all’inizio del terzo millennio dopo Cristo, in particolare ora che la vita delle Nazioni d’Europa incomincia ad assumere una forma nuova, non può mancare la nostra presenza.

“Vegliate e pregate...” (Mt 26, 41). Dobbiamo concentrarci molto e unirci nella preghiera per ottenere una sensibilità interiore, e insieme comunitaria, alla parola che lo Spirito Santo dice alle Chiese. Dobbiamo “vegliare e pregare” invocando l’intercessione dei santi patroni d’Europa Benedetto, Cirillo e Metodio e di tutti i santi e le sante del continente; “vegliare e pregare” sotto la protezione speciale della santa Madre di Dio, verso la quale i popoli cristiani d’Europa hanno sempre nutrito profonda devozione, come testimoniano gli innumerevoli santuari a lei dedicati; “vegliare e pregare” per saper accogliere e seguire ciò che lo Spirito dice alle Chiese e per poter così condurre tutti coloro che il Signore ci ha affidato alla gioia di quella “eredità fra i santi”, di cui lo Spirito è “caparra” (cf. Ef 1, 18. 14).

 

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