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VISITA ALLA PARROCCHIA DI SAN GIOVANNI CRISOSTOMO

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 25 marzo 1990

 

Alla popolazione del quartiere  

“Vogliamo considerare questa visita pastorale come coronamento e suggello di quanto è stato fatto, ma soprattutto come un rilancio vigoroso per camminare più in fretta, vincendo ritardi e quietismi colpevoli. È questo che noi vorremmo promettere oggi, è questo forse quello che lei attende da tutti noi”. È presentata al Papa, attraverso le parole del parroco, Monsignor Severino Marchesini, la comunità di San Giovanni Crisostomo a Monte Sacro Alto, dove Giovanni Paolo II si reca in visita pastorale nel pomeriggio trascorrendovi intense ore di preghiera e di festa. A dargli il primo “benvenuto” sono i fedeli e gli abitanti del quartiere, che lo accolgono al suo arrivo dinanzi alla chiesa, insieme con il Cardinale Vicario Ugo Poletti e con il Vescovo ausiliare del Settore Nord, Monsignor Salvatore Boccaccio. Il Papa si sofferma a lungo a salutare e a benedire le persone presenti lungo la strada, prima di sostare al centro del grande cortile di ingresso della parrocchia, dove Monsignor Marchesini gli rivolge un devoto indirizzo di saluto. Rispondendo alle espressioni del parroco, Giovanni Paolo II pronuncia il seguente discorso.  

Ringrazio per le belle parole che mi ha rivolto mons. parroco: sono state molte belle, molto accorate. Esse ci ispirano. Ringrazio anche il cardinale vicario: mi segue dappertutto, in tutte le parrocchie, o piuttosto mi precede. Egli conosce tutto, conosce meglio di me ciò che riguarda le parrocchie romane: fa parte della sua missione. Ringrazio anche mons. Boccaccio, vescovo del settore, che è un uomo di spirito gioioso e ottimista, e spero che anche la vostra parrocchia partecipi di questo ottimismo del vostro vescovo di settore. Nella vostra comunità la Chiesa di Roma cerca di ringraziare e di lodare l’Eterno Pastore per questo grande vescovo e dottore della Chiesa che era san Giovanni Crisostomo, “bocca d’oro”. Era patriarca Costantinopolitano e tra i grandi nella fede e nell’opera pastorale: erano grandi davanti alla Chiesa e grandi anche davanti agli imperatori di questo mondo. Grazie a Dio la Chiesa di Roma commemora la sua presenza nella Chiesa universale, perché ci vuole sempre questo respiro d’Oriente e d’Occidente che si incontrano. Poi ringrazio per il ricordo di Paolo VI che vi ha visitato più di vent’anni fa, quasi all’inizio del vostro cammino come parrocchia. È venuto qui con il suo genio spirituale, come un vescovo di Roma, come un successore tra i tanti successori di Pietro, e sempre è presente in questa Cattedra, per dare a Roma, alla Chiesa universale, una continuità nella successione apostolica. Questo è il compito specifico di Roma, questo è il privilegio di Roma. Ma c’è anche una grande esigenza che si pone dinanzi a Roma: quella di avere questa successione apostolica, questo ministero petrino inscritto profondamente nella propria storia bimillenaria.

Con queste riflessioni vi saluto tutti, tutti i presenti qui davanti alla chiesa e tutti quelli che sono nel quartiere. Alcuni li vedo, ma saluto anche quelli che non vedo, quelli che stanno lontani: tutti sono ugualmente vicini perché la parrocchia esiste proprio per farci tutti vicini, vicini a Gesù e vicini tra di noi, per farci fratelli come ha fatto fratelli Gesù Cristo i dodici apostoli e poi, attraverso di loro, tanti altri di generazione in generazione. Ecco, deve farci vicini, la parrocchia, deve renderci fratelli e ci deve aiutare ad andare da fratelli nel mondo, in questo mondo tanto diviso, tanto diversificato. Sempre dobbiamo cercare la fraternità, i contatti, la comprensione, perché finalmente questo mondo cammina con i suoi principi temporali, principi di questo mondo, ma insieme cammina alla luce di principi superiori che sono i principi della Provvidenza divina, di Dio Padre, del suo regno.

La parrocchia avvicina come fratelli tutti i suoi membri, tutti i fedeli, ma li avvicina nella prospettiva eterna, nella prospettiva del regno di Dio che è già in questo mondo, si trova in noi e tra noi, e sempre diventa più vicino, sempre costituisce l’oggetto della nostra preghiera, come ripetiamo nel “Pater noster”: “Adveniat regnum tuum”. Sappiamo che questo regno è già fra noi, questo regno è soprattutto in Gesù Cristo e attraverso Gesù Cristo è fra noi. Ma si deve avvicinare attraverso la storia umana. Noi tutti dobbiamo contribuire a questo avvicinamento, alla realizzazione di questo regno di Dio: tutti e ciascuno di noi, dovunque. Io auguro alla vostra parrocchia, nel suo trentesimo anniversario, di contribuire a questo avvicinamento del regno di Dio nel vostro quartiere, nella vostra comunità e, attraverso questa comunità, nella Chiesa di Roma, nella Chiesa universale, in tutto il mondo. Voglio dare a tutti voi, insieme al cardinale vicario e a tutti i vescovi qui presenti, una benedizione per esprimere così quello che ci unisce davanti alla santissima Trinità.  

Ai bambini  

Radunati nel cortile interno della Chiesa, tantissimi bambini della parrocchia, accompagnati da genitori, catechisti e insegnanti, accolgono il Santo Padre cantando e agitando in segno di saluto dei vivaci “fiori” di carta bianchi e gialli. Sul palco allestito da un lato del cortile, una piccola “delegazione” di bimbi delle diverse classi dà il benvenuto a Giovanni Paolo II. È il parroco a presentargli brevemente i gruppi presenti. Successivamente, i bambini offrono al Papa alcuni doni simbolici, tra i quali un quadro eseguito da loro, un fascio di fiori, delle colombe di pane, un grande uovo pasquale, una copia del giornalino parrocchiale e il ricavato della sua vendita. Insieme con i ragazzi sono anche alcune religiose Francescane missionarie, che lavorano nella scuola “Paolo VI”. Visibilmente commosso e toccato dall’affetto dei piccoli, il Santo Padre si rivolge loro con queste parole.  

Sono molto contento del discorso che ha fatto il vostro collega perché mi ha dato il benvenuto, ma per la verità mi ha anche un po’ rimproverato. Mi ha rimproverato dicendomi: “Per tanti anni si è dovuto aspettare la tua venuta”. E questo mi porta a fare un esame di coscienza perché compiendo le visite alle parrocchie di Roma mi vedo certo non molto avanti, ma piuttosto indietro, perché ci sono tante altre parrocchie ancora da visitare. Il vostro rimprovero è giusto: dobbiamo pensare con il cardinale vicario e con i vescovi ausiliari come pentirci, come correggerci per questo ritardo nelle visite alle parrocchie di Roma. Il vostro mons. parroco ha presentato tutti i bambini presenti, i ragazzi, le ragazze e i loro genitori, i loro catechisti, le suore, le altre insegnanti di religione, che aiutano i genitori a insegnare la fede ai loro bambini. Cosa posso rispondere a tutto questo? Soprattutto una cosa: i bambini non si possono non amare. In questo Gesù ci ha dato un esempio perfetto. Non si possono non amare i bambini. E noi dobbiamo amarli, tutti. Quando li vediamo ci portano una gioia, una consolazione, una speranza. Gesù vi ama certamente, in modo speciale. Siete privilegiati da lui, anche attraverso i suoi sacramenti, anzitutto il battesimo. Del battesimo nessuno di voi si ricorda perché eravate troppo piccoli. Ma tutti capiscono bene quanto sia grande il momento della prima Comunione, anticipato dal momento della prima Confessione. E tutti i bambini si preparano per un periodo adeguato a questo momento. Quando poi diventano più grandi, si preparano alla Cresima. Così Gesù ha privilegiato la vostra età anche attraverso i suoi sacramenti, vale a dire attraverso la sua grazia, perché ogni sacramento ci dà la grazia; e come lui stesso è vissuto e cresciuto non solo negli anni ma anche e soprattutto nella grazia di Dio e degli uomini, così anche voi dovete crescere. Che ciascuno di voi possa crescere non solo negli anni ma anche nella grazia di Dio e degli uomini. Io vorrei aggiungere a questa osservazione un augurio per voi piccoli, un augurio che vi spetta per tutta la vita: il bene dell’amore divino, dei privilegi di Gesù che voi accumulate nei vostri primi anni della vostra vita consapevole, deve accompagnarvi attraverso tutta la vita. Dovete crescere, dovete diventare adulti, dovrete diventare anche voi insegnanti, maestri, genitori, professionisti, sacerdoti, forse qualcuno può diventare anche un Papa, non si sa; ma voi dovete crescere rimanendo sempre, come diceva Gesù, “bambini”, Figli di Dio. Così ci ha detto: agli apostoli, a noi tutti adulti, ha detto che dobbiamo essere come bambini, interiormente, nell’ordine della grazia di Dio. Anticipando in un certo senso i vostri anni futuri, io dico a voi: mantenete sempre questa innocenza, questa semplicità, questa grazia che adesso si accumula nei vostri cuori per il futuro, per tutta la vita e non perdete mai questo grande tesoro. Ecco, questi sono gli auguri che ho voluto riservare alla parte più giovane della vostra parrocchia. E vi ringrazio per i doni che mi offrite.  

Agli anziani  

Il gruppo degli anziani costituisce, nella parrocchia di San Giovanni Crisostomo, una delle realtà più significative e operose. Per questo il Papa riserva loro un incontro particolare in una delle sale parrocchiali al termine della celebrazione eucaristica.  

Ecco, ci troviamo insieme noi tutti che abbiamo la stessa età, più o meno, a parte questi giovanissimi bambini. Essi dicono a tutti noi che dobbiamo diventare come bambini, davanti a Dio, come figli di Dio. Io auguro a tutti gli anziani di questa parrocchia di trascorrere bene la loro età, un’età di piena maturità spirituale, di sapienza, perché questo contraddistingue l’età matura. Nella Sacra Scrittura l’anzianità è stata sempre considerata come un’età degna di grande stima; oggi questo forse è un po’ diminuito nella valutazione degli ambienti moderni e non c’è tutta questa stima per l’età anziana. Invece dovrebbe esserci, perché certamente tutti i giovani devono la loro vita soprattutto ai più anziani, ai genitori; e i genitori ai loro genitori, cioè ai loro nonni. Quest’intuizione l’hanno a volte i più piccoli che amano i nonni. Io auguro tutto il bene possibile ai vostri coetanei, ai miei coetanei, ai coetanei del vostro parroco, di questa bella parrocchia di San Giovanni Crisostomo e auguro anche a voi di fare apostolato, perché c’è l’apostolato proprio di ogni età e la vostra età ha un suo apostolato che proviene appunto dalla maturità, dalla sapienza, dalla maturità spirituale, dall’esperienza della vita, che vi consentono di poter indicare ai giovani come andare o come non andare, purché essi ascoltino.

Ecco questo è un apostolato. Ma c’è poi l’apostolato della preghiera: voi potete certamente occuparvi un po’ di più con la preghiera, con Dio che si avvicina a noi nella nostra vita attraverso i nostri anni ed è sempre davanti alla nostra porta: non si sa mai quando viene, ma si avvicina e una volta arriverà. Bisogna sempre essere pronti a incontrarlo, a incontrarlo come lui vuole essere incontrato dai suoi figli.  

Ai gruppi parrocchiali  

“Portate nel mondo il gusto di Dio”: questa frase, scritta a caratteri cubitali, campeggia su una parete della grande sala dove il Santo Padre incontra i rappresentanti del Consiglio pastorale e di tutti i gruppi che operano nella realtà della parrocchia. Accolto dalle note del canto “Madonna Nera”, eseguito da un piccolo coro di giovani, Giovanni Paolo II fa il suo ingresso nel locale dopo essersi soffermato per qualche istante ad ammirare, in una delle stanze vicine, un’artistica “Via Crucis” in terracotta bronzata, opera dello scultore Attilio Veronese, che gli è stata offerta perché venga destinata alla erigenda parrocchia romana di S. Ugo. A presentare al Papa le diverse esperienze associative è, come di consueto, il parroco. Questo il saluto rivolto da Giovanni Paolo II ai presenti.  

Nella conversazione dei giorni scorsi, il vostro parroco mi ha ripetuto quello che ha detto poco fa: la parrocchia potrebbe dare molto di più. La parrocchia non è un ente astratto, essa è una comunità cristiana, formata da persone concrete che hanno ricevuto i sacramenti del Battesimo, della Confermazione, dunque, cristiani che portano in loro il sigillo di Cristo, la presenza di Cristo. Allora se si chiede alla parrocchia di dare un po’ più di sé, o anche molto di più, lo si chiede alle persone della comunità. Io ho davanti a me in questo momento le persone delle diverse comunità, delle associazioni, dei movimenti, dei gruppi parrocchiali, e ciascuno di questi gruppi ha una sua finalità specifica. Poi tutti convergono nel Consiglio pastorale dove le forze vive della parrocchia sono rappresentate per lavorare insieme con il pastore, con il parroco, per portare avanti l’evangelizzazione. Si tratta della Chiesa, dell’avvenire, di un’evangelizzazione continua. Ogni parrocchia, ogni comunità cristiana, ogni Chiesa nel mondo può progettare il suo futuro, può, pur essendo già evangelizzata, dire di sé: “Non sono evangelizzata a sufficienza”. Perché essere evangelizzati vuol dire essere anche evangelizzanti, evangelizzatori. Anzi, noi diventiamo più evangelizzati essendo evangelizzatori, prendendo maggiori responsabilità nei confronti del Vangelo, diventando apostoli. Questa è la formula perenne del cristiano, una formula riscoperta di nuovo dal Concilio Vaticano II e definita in modo preciso nei suoi documenti, in particolare in quello sulla costituzione della Chiesa, e poi anche attraverso numerosi decreti tra i quali quello sull’apostolato dei laici. Di recente abbiamo avuto l’esortazione post-sinodale Christifideles laici, la quale ripropone lo stesso argomento, ripropone questo legame tra l’essere evangelizzati, perché battezzati, e diventare evangelizzatori, diventare coloro che prendono parte attiva nella diffusione del Vangelo, che vedono nel Vangelo il proprio programma di vita non solamente per ciascuno di loro, ma anche per gli altri che sono più lontani, indifferenti, che non sentono il gusto divino. Io penso che sia questa la parola chiave: portare al mondo il gusto di Dio. Il problema del cristianesimo del nostro tempo, ma non solo del nostro tempo, è stato sempre questo: avere il gusto di Dio, portarlo negli ambienti, nella società, o perdere questo gusto divino. Attraverso questo gusto divino il mondo diventa cristiano, evangelizzato, diventa il regno di Dio.

Oggi sembra che in larghi settori della nostra società questo gusto divino sia poco avvertito. Questo fatto va insieme con il fenomeno della secolarizzazione: l’uomo sembra quasi soddisfatto del secolo, del mondo. Alle persone, agli ambienti sociali sembra che quello che il mondo con il suo progresso scientifico-tecnico dà all’uomo sia tutto ciò a cui egli può aspirare. Invece il Vangelo capovolge questa soddisfazione mondana, secolaristica, e sempre si apre verso Dio. Ma per aprirsi verso Dio, bisogna avere, attraverso questo gusto del temporale che è giustificato, un gusto ancora più profondo che corrisponde alla piena dimensione dell’uomo. Come diceva sant’Agostino: “Non è quieto il mio cuore fin quando non trova la sua dimora in te”. Ecco, possiamo dire che la civiltà moderna, la società moderna vive con un gusto del reale molto diminuito perché è chiaro che il mondo e il suo progetto di secolarizzazione, anche se molto progredito e molto sviluppato, non può risolvere il problema dell’uomo che trascende il mondo, è superiore al mondo. Una prova di ciò, un argomento direi drammatico, tragico, è la morte. Ecco, quello che alla fine ci può offrire il mondo è la morte.

Dal punto di vista del secolarismo, di tutti questi progetti secolaristici espressi, in diverse forme, l’ultima parola è sempre la morte, la distruzione dell’uomo. Il Vangelo ci porta un’altra prospettiva: la vita, la risurrezione. “Ego sum resurrectio et vita”. Allora, preghiamo molto per riscoprire sempre di più e per far scoprire agli altri questo gusto del divino, gusto del Vangelo, gusto del sacramento, gusto del soprannaturale. È questo certamente il compito fondamentale delle comunità cristiane e di ogni cristiano. Naturalmente nella vostra parrocchia è la stessa cosa. Il vostro patrono, san Giovanni Crisostomo, era certo un grande protagonista dei suoi tempi, un grande protagonista di questo cammino, di questo sforzo evangelico, di questa scoperta del gusto divino nel mondo. Cerchiamo anche noi di renderlo possibile a nostra volta.

La prima condizione per approfondire questo gusto di Dio è la preghiera. Essa ci dà il gusto di Dio. Talvolta la preghiera sembra non darci questo gusto divino, sembra difficile, proviamo quasi uno scontro con la nostra natura, con la nostra sensibilità, con la nostra immaginazione, con le nostre forze umane nella preghiera. Dobbiamo vincere tutto questo: alla fine la preghiera sempre ci apre verso Dio e ci porta a questo gusto divino. Allora anche per evangelizzare gli altri ambienti, le parrocchie, si deve soprattutto insegnare la preghiera. Come i discepoli di Gesù, chiediamogli soprattutto questo: “Insegnaci a pregare”. Gli apostoli avevano capito che tutto quello che lui aveva detto poteva essere assorbito dalla loro intelligenza, dalla loro volontà, dal loro cuore solo quando avrebbero imparato a pregare.

Queste riflessioni vogliono essere una risposta alle parole del vostro parroco e anche a quelle del vostro oratore e della vostra oratrice. Vi ringrazio per l’impegno apostolico che in questa parrocchia fa di ciascuno di voi e anche dei vostri gruppi un lievito evangelico.  

All’Associazione sportiva e al gruppo scout  

Nella palestra della scuola parrocchiale “Paolo VI”, il Papa si congeda dalla comunità di San Giovanni Crisostomo incontrando i membri dell’Associazione sportiva, culturale e ricreativa e il folto gruppo degli “Scouts”. A rivolgergli un saluto a nome dei fedeli impegnati nelle attività e nell’organizzazione del tempo libero in parrocchia è uno dei responsabili dell’Associazione. Alcuni piccoli Scouts fanno dono al Santo Padre dei berretti, dei fazzoletti e delle insegne dei vari gruppi, mentre a voce alta i ragazzi si presentano al Papa con le loro caratteristiche espressioni di saluto. Queste le parole rivolte ai presenti da Giovanni Paolo II.  

Sono tanto contento di incontrare in questo ambiente tanti giovani con i loro assistenti, genitori, educatori, tutti. Cristo ci ha insegnato a essere uomini pieni, di un’umanità piena. L’integrità umana comporta sempre questi due aspetti: la vita spirituale e la vita corporale. Anzi, questo vuol dire che lo spirito anima il corpo. Allora, bisogna naturalmente coltivare lo spirito attraverso il corpo, ma anche il corpo attraverso lo spirito. Per esempio, una disciplina, o un’autodisciplina, che si mostra nel comportamento corporale, si vede nel modo cioè di comportarsi, nel suo corpo, nei suoi passi, nei suoi sguardi, in tutto quello che si dice autodisciplina. Questo si manifesta nel corpo, ma ha la sua matrice nello spirito. E così alla tradizione cristiana mostrataci da Cristo appartiene un’armonia, l’integrità della nostra umanità, anima e corpo, spirito e corpo, educata, coltivata e che cresce. Il corpo cresce da se stesso, se tutto procede normalmente nella vita. Ma anche la crescita del corpo domanda qualche sollecitudine, domanda i diversi mezzi per mantenere la castità, per mantenere le forze fisiche, anzi si impara, per esempio, a praticare la ginnastica, come fanno qui, in questo centro sportivo, i ragazzi e le ragazze. Lo stesso fanno con i loro metodi gli scouts, cominciando dai più piccoli, dai lupetti alle coccinelle. E tutto questo sempre appartiene alla conformazione dell’uomo integro. Questo uomo integro però è anche cristiano perché Cristo ha rivelato, come insegna il Vaticano II, l’uomo all’uomo stesso. Ci ha mostrato la pienezza di essere uomo. Ci ha rivelato la nostra vocazione soprannaturale. E in questa vocazione soprannaturale, divina, trova la sua completezza anche la nostra umanità, questa visione cristiana dell’uomo e della sua vocazione.

Io auguro a voi giovani come anche agli educatori di questi giovani, genitori, insegnanti: abbiate sempre presente questa dimensione piena, cristiana della vocazione umana per inserirla poi nella pratica, nella vita, per inserirla nella formazione dei giovani, dei bambini. Vorrei concludere augurandovi buona Pasqua. È un augurio che si ripete spesso quando si avvicina la festività pasquale; ma questo augurio dice molto di più di quanto si pensa. Buona Pasqua vuol dire: vi auguro di avere parte del Cristo crocifisso e risorto, di avere ciascuno la sua parte, di formare la propria vita in questa prospettiva pasquale, vuol dire avere parte di Cristo crocifisso, Cristo vittima che si è offerto completamente per gli altri ed è risorto. Con questo augurio voglio concludere: augurandovi buona Pasqua, auguro a ciascuno di voi una partecipazione consapevole e possibilmente più piena al mistero pasquale di Gesù Cristo. Vi auguro anche una buona prosecuzione nei vostri impegni, nei vostri esercizi che svolgete in questa palestra.

 

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