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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
IN OCCASIONE DELL’VIII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
DEL SINODO DEI VESCOVI

Sabato, 27 ottobre 1990

 

È con gioia che adempio, in comunione con tutti voi, cari confratelli nell’Episcopato, al mio dovere di rendere grazie al Signore, innanzitutto per l’istituzione stessa del Sinodo, e poi per lo svolgimento e l’attività di questa VIII Assemblea Generale ordinaria.  

I

1. Infatti, venticinque anni ci separano dalla decisione presa da Papa Paolo VI, mio Predecessore di venerata memoria, in occasione dell’ultima sessione del Concilio Vaticano II, di istituire il Sinodo dei Vescovi. Questa decisione è stata veramente un atto provvidenziale. Nel quarto di secolo trascorso, abbiamo potuto provarne l’efficacia ed apprezzarne le virtù.

Il Sinodo dei Vescovi risponde alle necessità della Chiesa quando il Successore di Pietro deve assolvere, con l’aiuto dei suoi confratelli nell’Episcopato, in una situazione complessa e soggetta a continui mutamenti, i compiti che derivano dal suo mandato apostolico di Pastore Universale. In questo modo il Sinodo costituisce un’attualizzazione e un’illustrazione della natura collegiale dell’ordine episcopale (cf. Lumen gentium, 22-23; e Nota Praevia, Christus Dominus, 4-10), di cui il Concilio Vaticano II ha preso, per così dire, una rinnovata coscienza.

Rispetto a quelle di un Concilio, le competenze di un Sinodo sono, per loro natura, più limitate. In compenso, la sua organizzazione è più agevole. L’attuale situazione del mondo esige talvolta una presenza ed un’azione dei rappresentanti del Collegio che, in quanto successore del Collegio degli Apostoli, ha ricevuto la missione di ammaestrare e di governare la Chiesa. Il Sinodo è in grado di rispondere a queste esigenze.

Tutti, e il Papa in primo luogo, siamo infatti consapevoli che è grazie al Sinodo che un certo numero di problemi cruciali hanno potuto essere affrontati e hanno trovato una risposta collegiale in cui è la Chiesa stessa, nella sua dimensione universale, che ha fatto sentire la sua voce.

D’altra parte, nelle condizioni così diverse in cui la Chiesa di Cristo esercita oggi la sua missione, il Sinodo è al servizio dell’unità della Chiesa, mistero di comunione che riflette in sé il mistero trinitario di Dio stesso.

Il Sinodo costituisce una singolare esperienza di comunione episcopale nella universalità, che rafforza il senso della Chiesa universale, la responsabilità dei Vescovi verso la Chiesa universale e la sua missione, in comunione affettiva ed effettiva attorno a Pietro.

Grazie alla istituzione del Sinodo si rende possibile con scadenze periodiche, far sentire la voce delle diverse Chiese particolari ed ascoltare esperienze dei fratelli nell’episcopato, come è accaduto in questo Sinodo nel quale, per la prima volta, hanno partecipato rappresentanti di alcuni Paesi dell’Est.

2. Per sua natura, il Sinodo esercita una funzione consultiva. Tuttavia, in casi determinati, può essergli conferito un potere deliberativo dal Sovrano Pontefice, cui spetta di ratificarne le decisioni (cf. Apostolica sollicitudo, e CIC, can. 343). L’esperienza dei Sinodi precedenti ci chiarisce il senso di questa distinzione tra consultivo e deliberativo. L’estesa consultazione che l’istituzione sinodale ha permesso, in occasione di ogni assemblea, non è mai rimasta senza frutti, neppure sul piano delle decisioni. Per la loro struttura di lavoro, i Sinodi non sono in grado di pubblicare immediatamente un documento che assuma forma deliberativa. Ciò nonostante, il documento post-sinodale si ispira, e si potrebbe dire che contenga ciò che è stato programmato in comune. Si può quindi affermare che le proposte sinodali assumano indirettamente l’importanza di decisioni. Poiché, quando, in seguito ad un Sinodo, il Papa ne pubblica il documento corrispondente, egli si premura di esprimere tutta la ricchezza delle riflessioni e delle discussioni che hanno portato alle proposte sinodali come pure il parere, per quanto possibile, dell’Assemblea Sinodale.  

II

3. Durante i lavori di questa VIII Assemblea Generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, lo Spirito Santo ci ha permesso di essere al servizio di una causa di grandissima importanza per la vita di tutta la Chiesa: la formazione sacerdotale. È la seconda ragione che ci spinge a rendere grazie.

Il tema di quest’anno costituisce la risposta a una richiesta sorta dal Sinodo del 1987 sulla vocazione e la missione dei laici. Infatti molti laici espressero lo stretto legame fra l’argomento dell’anno 1987 e quello di quest’anno: ricordo almeno la voce del signor Patrik Keagan. Più si sviluppa l’apostolato dei laici, e più fortemente viene percepito il bisogno di avere dei sacerdoti e sacerdoti che siano ben formati, sacerdoti santi. Così la vita stessa del Popolo di Dio manifesta l’insegnamento del Concilio Vaticano II sul rapporto tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale o gerarchico. Poiché nel mistero della Chiesa la gerarchia ha un carattere ministeriale (cf. Lumen gentium, 10).

Più si approfondisce il senso della vocazione propria dei laici, più si evidenzia ciò che è proprio del sacerdote.

4. Così è la vita stessa della Chiesa ad indicare quale sia la via per uscire dalla crisi sull’identità del sacerdote. Questa crisi era nata negli anni immediatamente successivi al Concilio. Si fondava su una errata comprensione, talvolta persino volutamente tendenziosa, della dottrina del Magistero conciliare. Qui indubbiamente sta una delle cause del gran numero di perdite subite allora dalla Chiesa, perdite che hanno gravemente colpito il servizio pastorale e le vocazioni al sacerdozio, in particolare le vocazioni missionarie. È come se il Sinodo del 1990, riscoprendo attraverso tanti interventi che abbiamo ascoltato in quest’Aula, tutta la profondità dell’identità sacerdotale, sia venuto a infondere la speranza dopo queste perdite dolorose. Questi interventi hanno manifestato la coscienza del legame ontologico specifico che unisce il sacerdote a Cristo, Sommo Sacerdote e Buon Pastore. Questa identità sottende alla natura della formazione che deve essere impartita in vista del sacerdozio, e quindi lungo tutta la vita sacerdotale. Era questo lo scopo proprio del Sinodo.

5. Ma prima di sviluppare questo punto, vorrei soffermarmi su un problema che deve ricevere tutta la nostra attenzione, poiché l’avvenire dipende per buona parte da esso: voglio parlare del problema delle vocazioni. Durante questo Sinodo, il Dicastero direttamente interessato è intervenuto per illuminarci a questo proposito.

È necessario affrontare il problema nella sua totalità, in modo analitico e in modo sintetico, aiutandosi, all’occorrenza con gli studi scientifici.

Possiamo, è vero, constatare nell’insieme un certo aumento delle vocazioni. Ma la loro diffusione è molto diversa: in una parte si soffre di una drammatica mancanza di vocazioni, in un’altra se ne presentano in abbondanza. Da qui sorgono degli interrogativi: cos’è che caratterizza le vocazioni? Da dove provengono? Da quali fattori dipendono? Cosa cercano i giovani nel sacerdozio?

Molti Padri sinodali, alcuni auditori, hanno ricordato l’urgenza dell’opera delle vocazioni; alcuni ci hanno informati dei risultati incoraggianti che hanno ottenuto.

Ma la prima risposta che la Chiesa dà sta in un atto di fiducia totale nello Spirito Santo. Siamo profondamente convinti che questo fiducioso abbandono non deluderà se, peraltro, restiamo fedeli alla grazia ricevuta. Questa grazia, non bisogna cessare di domandarla con insistenza, come ci insegna Cristo: “Pregate dunque il padrone della messe” (Mt 9, 38).

La preghiera per le vocazioni deve essere costantemente incoraggiata ed intensificata. Tutto il Popolo di Dio deve sentirsi impegnato in questo. La mancanza di sacerdoti è certamente la tristezza di ogni Chiesa. Ma non è anche un invito ad un esame di coscienza? Dobbiamo porci la domanda: non sarà forse legata al fatto che, da parte nostra, abbiamo rattristato lo Spirito Santo (cf. Ef 4, 30)?

6. È vero che altre questioni, gravi, vengono poste quando la mancanza di sacerdoti è avvertita in modo tragico, come ad esempio dinanzi al fenomeno angoscioso costituito dall’offensiva di alcune sette.

Alcuni si sono domandati se non sia il caso, in tali circostanze, di pensare all’ordinazione di viri probati. Questa soluzione non è da prendersi in considerazione e al problema posto occorre rispondere con altri mezzi. Come è noto, la possibilità di fare appello a dei viri probati è troppo spesso evocata nel quadro di una propaganda sistematica ostile al celibato sacerdotale. Tale propaganda trova il sostegno e la complicità di alcuni mass media.

Occorre quindi cercare, senza indugio, altre soluzioni a questo angoscioso problema pastorale. Non dovrebbe forse ogni Vescovo, e con lui tutta la sua diocesi, prendere più profondamente coscienza della missione comune che gli spetta nell’evangelizzazione del mondo intero? Il Concilio Vaticano II, dopo Fidei donum, ha ricordato le esigenze dell’“universale comunione di carità” (Lumen gentium, 23).

Sarà incoraggiata quindi l’intensificazione dell’aiuto che le diocesi più ricche di sacerdoti daranno a quelle che ne sono carenti. Dinanzi alla grave minaccia che, tra l’altro, rappresentano alcune sette, si veglierà affinché le comunità di fedeli in cui la Messa, attualmente, non può essere celebrata ogni domenica a causa della carenza di un numero sufficiente di sacerdoti disponibili, possano vivere e rafforzarsi attraverso l’ascolto della Parola di Dio, l’accesso alla Santa Comunione, la preghiera e l’unione fraterna.

7. Il Sinodo ha confermato, senza possibilità di equivoci, la scelta del celibato sacerdotale, che è propria del rito latino.

Questa scelta, che risale ad un lontano passato, è rivelatrice di una profonda intuizione spirituale e teologica, che ha percepito nella consacrazione sacramentale al sacerdozio ministeriale il fondamento di un dono, di un carisma liberamente ricevuto ed autenticato dalla Chiesa: il dono della castità nel celibato in vista di una dedizione esclusiva e gioiosa della persona del sacerdote al suo ministero di servizio e alla sua vocazione di testimone del Regno di Dio. Non è forse significativo che a questo proposito molti Padri sinodali abbiano affiancato l’impegno del celibato alla pratica degli altri consigli evangelici?

Riaffermando senza equivoci la sua fedeltà al celibato sacerdotale, ed approfondendone i motivi, il Sinodo, a nome di tutta la Chiesa, ha compiuto un grande atto di fede nella grazia dello Spirito Santo. Sappiamo infatti che è lo Spirito Santo che guida la Chiesa.

8. Il Sinodo si è quindi rivolto con attenzione ai problemi relativi alla formazione, sia che si tratti della formazione al sacerdozio, sia di quella che deve accompagnare il sacerdote lungo tutta la sua vita (formazione permanente). Le riflessioni del Sinodo hanno portato una serie di suggerimenti preziosi.

È stata così sottolineata la necessità di una formazione integrale, che non trascuri alcun aspetto: formazione umana, dottrinale, spirituale, pastorale, che tenga conto delle circostanze, spesso difficili, in cui deve essere esercitato il ministero. La testimonianza dei pastori delle Chiese che hanno subìto recentemente una lunga persecuzione ha contribuito a dare ai dibattiti una nota di gravità e anche di fiducia nella Provvidenza di Dio: questo soffio di speranza è certamente una delle grazie di questo Sinodo. Nelle avversità e nell’estrema privazione, Dio non abbandona la sua Chiesa.

Una sorta di notevole unanimità si è verificata riguardo all’esigenza di una solida formazione spirituale. Parallelamente, è stata sottolineata la necessità di formare bene i formatori, a cominciare con dei direttori spirituali. Occorre aggiungere che di pari passo con la formazione spirituale, la formazione dottrinale deve essere oggetto della sollecitudine dei vescovi. Il professore di teologia ha il compito di insegnare la dottrina della fede, che è la fede della Chiesa. Deve essere lui stesso un uomo di fede, che predichi con l’esempio. Deve comunicare ai giovani che gli vengono affidati l’amore per la Chiesa, essa stessa mistero di fede, e la docile accettazione della parola del Magistero.

9. La riflessione, che ha interessato sia l’eccessiva solitudine di alcuni sacerdoti, sia le esigenze della formazione permanente, è stata l’occasione per meditare su una dottrina che il Concilio Vaticano II aveva rimesso in evidenza, la dottrina riguardante la realtà del “presbyterium” (cf. Lumen gentium, 28; Presbyterorum ordinis, 7-8). Viene rivolto un invito ai vescovi e ai sacerdoti affinché vivano questa realtà che è fonte di una ricca spiritualità e di una feconda azione pastorale.

10. I problemi ricordati riguardano la Chiesa universale. La riflessione deve essere continuata e proseguita secondo gli orientamenti elaborati dall’Assemblea Sinodale, in vista dell’applicazione alle diverse situazioni delle Chiese locali. Questa prosecuzione si iscrive normalmente nella logica dell’attività sinodale. Quest’ultima non darà tutti i suoi frutti se non nelle realizzazioni che avrà ispirato ed orientato.

11. Ritengo opportuno e desidero manifestare la mia gratitudine a tutti coloro che hanno contribuito al buon esito del Sinodo:

- Ai Padri sinodali,
- Ai collaboratori e agli auditori,
- Ai tre Presidi Delegati e all’Arcivescovo Schotte, Segretario Generale del Sinodo,
- Al Relatore Generale, al Segretario speciale e ai suoi collaboratori,
- Al Consiglio della Segreteria Generale, che, dopo l’ultimo Sinodo ha preparato l’Ottava Assemblea,
- A tutti coloro che, non solo hanno preparato il lavoro dei Padri, ma hanno partecipato al susseguirsi delle sessioni affinché tutto riuscisse felicemente.

In primo luogo a coloro, uomini e donne, che con le loro preghiere e i loro sacrifici hanno accompagnato il Sinodo. Domani, durante la celebrazione dell’Eucaristia, affideremo al Padre, per mezzo del Figlio nello Spirito Santo, gli auspicati effetti dei lavori sinodali.

Lo invocheremo perché renda più fruttuosi questi lavori nella vita della Chiesa universale e di tutte le Chiese del mondo. Da Lui infatti, e da Lui solo, Padre della luce, discende “ogni buon regalo e ogni dono perfetto” (Gc 1, 17).

 

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