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VIAGGIO APOSTOLICO IN TANZANIA, BURUNDI, RWANDA E YAMOUSSOUKRO

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AD UN GRUPPO DI FUNZIONARI NELLO STADIO DI NYAMIRAMBO

Kigali (Rwanda) - Sabato, 8 settembre 1990

 

Signore e Signori,
Intellettuali del Rwanda al servizio della Nazione,

1. Vi ringrazio vivamente per aver organizzato questo incontro. Grazie in particolare, a Monsignor Ruzindana nonché al vostro rappresentante, per le loro parole di benvenuto e le loro presentazioni. Sono felice di potermi rivolgere all’insieme del mondo cristiano della cultura e della funzione pubblica, la cui influenza è notevole sulla vita degli uomini e delle donne del Rwanda.

Vorrei anzitutto rendere grazie a Dio per il dinamismo e la vitalità delle vostre comunità. La rapida crescita del Popolo di Dio tra voi, l’esperienza della fede, il senso comunitario, sono motivi di gioia, di speranza e di fiducia.

Rendo qui un sentito omaggio alle generazioni di missionari che hanno coraggiosamente lavorato per gettare i semi del cristianesimo. Essi hanno contribuito alla vostra scoperta di Gesù Cristo e alla vostra presa di coscienza della luce che il Vangelo proietta sull’uomo.

2. Nell’avvicinarsi del centenario dell’evangelizzazione del vostro Paese, è normale voler fare un bilancio. E conviene ringraziare Dio per i doni ricevuti che hanno portato i frutti che vediamo intorno a noi: il popolo cristiano esiste; è vivo, ben disposto e generoso. D’altronde, nonostante le prove che avete conosciute, da un certo tempo beneficiate della pace civile. Vi è una buona intesa tra il Governo e la Chiesa. Inoltre, la vostra Nazione è rispettata nel mondo internazionale. Ma è ancora una giovane Nazione nella quale ci si sforza di promuovere il senso del bene comune e un servizio alla patria onesto e disinteressato.

Anche la Chiesa è giovane. Essa è chiamata a svilupparsi, ad assumere tutte le sue responsabilità, a dare la sua testimonianza specifica, nel rispetto delle persone.

Si può dire che in Rwanda un buon numero di cristiani sono arrivati a trovare un’armonia tra la loro fede e la maniera rwandese di vedere e di fare le cose. Si è prodotta, in un certo senso, una inculturazione spontanea. Certo, è vostro compito perseguire l’intima trasformazione dei vostri autentici valori culturali con la loro integrazione nel cristianesimo. Così, per dirlo in altri termini, il cristianesimo si radicherà più profondamente nella vostra cultura.

Sarà anche, nell’ambito del continente africano, uno degli obbiettivi dell’Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, la cui preparazione è in corso. Vi incoraggio a entrare in questo grande movimento sinodale che interessa ciascuno e ciascuna di voi. Fate in modo che le vostre riflessioni e le vostre esperienze, riunite e confrontate, giungano ai Vescovi delegati a questa Assemblea sinodale, affinché possano discernere meglio le vie della Chiesa per il compimento della sua missione nei Paesi africani.

3. Un nuovo slancio deve dunque essere dato all’opera mai compiuta dell’evangelizzazione, ed è importante che le forze vive della Chiesa - di cui voi fate parte - abbiano a cuore l’acquisizione di una profonda conoscenza del Vangelo. Lo studio del messaggio di Cristo apporterà alla vostra vita maggiore unità e vi darà una più grande serenità.

Cari fratelli e sorelle, sforzatevi di arrivare all’unità interiore della vostra personalità, in modo tale che non vi sia differenza e rottura tra la vostra vita di cristiani e la vostra vita di cittadini. Non ci dovrebbero essere due vite parallele: da una parte la vita che si definisce “spirituale” e, dall’altra, quella che si chiama “temporale”, ossia la vita di famiglia, il lavoro, i rapporti sociali, l’impegno politico, le attività culturali.

Il Concilio Vaticano II ha espressamente esortato “i cristiani, che sono cittadini dell’una e dell’altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo Spirito del Vangelo” (Gaudium et spes, 43). E ancora: “Il laico, che è simultaneamente fedele e cittadino, deve continuamente farsi guidare dalla sua unica coscienza cristiana” (Apostolicam actuositatem, 5).

4. Nell’esortazione Christifideles laici, che vi invito a meditare, sono state sviluppate tre idee fondamentali, esse precisano i tratti della vostra vocazione di laici.

La Chiesa è un mistero, essa si collega al mistero unico di Dio: essa è chiamata a vivere la comunione stessa di Dio. All’interno di questa comunione ecclesiale si rivela l’identità dei fedeli laici: una identità conferita dal battesimo, che trova il suo prolungamento nella Confermazione e la sua realizzazione nell’Eucaristia, i sacramenti dell’iniziazione cristiana. La dignità battesimale, comune a tutti coloro che hanno ricevuto questo sacramento, fonda la loro eguaglianza. Gli intellettuali non formano una classe a parte dal punto di vista ecclesiale. La loro appropriata formazione li aiuta a porsi generosamente a servizio della comunità cristiana, essendo la loro intelligenza illuminata dai doni spirituali ricevuti. La vocazione battesimale laica si esprime particolarmente con il suo carattere secolare, che si deve comprendere nel suo senso teologico, cioè come partecipazione all’opera della creazione e alla liberazione dall’influsso del peccato. I laici sono chiamati alla santità nel mondo, una santità che passa attraverso l’orientamento evangelico della loro azione per la santificazione del mondo.

5. I fedeli laici, a motivo della loro dignità battesimale, nella Chiesa sono dei soggetti attivi e responsabili. Il luogo della loro partecipazione è la Chiesa particolare, concretamente prima di tutto la parrocchia. Questa è una comunità di fede, una comunità eucaristica, una comunità strutturata. L’impegno apostolico nella parrocchia deve tendere all’approfondimento della comunione ecclesiale dei suoi membri e allo sviluppo del loro apostolato missionario.

A voi, cari fratelli e sorelle nella fede, l’impegno di svolgere il ruolo che vi compete nell’evangelizzazione, nell’animazione della comunità ecclesiale e anche nella sua gestione pratica.

6. Voi siete corresponsabili nella missione della Chiesa. Il Vangelo è da annunciare e da vivere, per promuovere la dignità della persona, per aiutare gli uomini e le donne uniti da una medesima comunità di destino a vivere da membri solidali di tutta la società, nell’amore e nella pace.

Il vostro primo spazio d’impegno sociale, è la famiglia. La salute della società si radica nella famiglia. È importante, per il Paese, che la sua gioventù sia vigorosa e laboriosa, dedicata al bene comune e animata d’ideale. È nella famiglia che l’essere umano si investe delle disposizioni fondamentali che determinano il suo comportamento di adulto. I genitori, per primi risveglino il senso civico dei figli; la prima partecipazione alla vita nazionale si fa nella famiglia.

I fedeli devono partecipare anche alla “politica”, ossia all’azione multiforme, economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale che ha lo scopo di promuovere il bene comune. Fate in modo che i valori cristiani siano presentati, da voi, al centro dei grandi dibattiti che pongono in causa l’avvenire del Paese!

7. Si tratta dunque per voi, cari fratelli e sorelle, di acquisire più maturità, di vivere meglio la vostra vocazione personale, al fine di portare sempre più frutto. “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli” (Gv 15, 8).

Negli anni che hanno seguito il Concilio, sono state prese delle iniziative per offrire ai fedeli rwandesi dei mezzi di formazione, per permettergli di adempiere meglio alla loro missione di battezzati. So che sono stati organizzati dei programmi di approfondimento cristiano; vi incoraggio a prendervi parte.

8. Prima di concludere, vorrei dirvi una parola di solidarietà. Perché avete ricevuto maggiormente e perché avete più peso di altri, dovete sentirvi ancor più responsabili nei confronti dei vostri fratelli e sorelle meno favoriti e praticare una solidarietà attiva all’interno della vostra società.

La solidarietà vi aiuterà a vedere l’altro non come uno strumento, ma come un “simile”, che si deve far partecipare al banchetto della vita, al quale tutti gli uomini sono egualmente invitati. Essa stimolerà la vostra azione per far fronte alle sfide che conosce la vostra società.

In piena giustizia, dovrete prendere delle misure per allontanare il flagello della fame e della grande povertà, per valorizzare la vostra terra nelle migliori condizioni, per assicurare al maggior numero di persone una formazione generale e professionale soddisfacente, per sviluppare i servizi sanitari, specialmente di fronte al pericolo dell’Aids. Dicendo questo, ricordo soltanto alcuni dei compiti in cui è richiesta la vostra competenza. Attraverso tutto il servizio pubblico di cui siete responsabili, dovete operare la solidarietà attiva e generosa che permetterà alla comunità rwandese di superare le difficoltà e di svilupparsi.

9. In questa festa della Natività di Maria Vergine, che segna per il mondo l’aurora della salvezza, chiedo alla Madre di tutti noi di vegliare sui suoi figli del Rwanda e di aiutare particolarmente voi, responsabili del Paese, a porre i vostri talenti a servizio di tutti i vostri compatrioti.

Di gran cuore vi imparto la mia Benedizione apostolica.

Il Santo Padre rispondendo ad alcune osservazioni ha poi detto:

Debbo aggiungere qualche parola, soprattutto riguardo agli interrogativi che sono stati posti. Penso che il mio discorso contenga, almeno nel suo fondamento, la risposta. Non è questa evidentemente la circostanza adatta per studiare i dettagli dei vari problemi.

Debbo sottolineare che evidentemente gli intellettuali hanno delle esigenze e delle sfide maggiori, a causa della qualità della loro osservazione, e dei doni che hanno ricevuto. Doni di una formazione intellettuale di cui gli altri non hanno beneficiato. Allo stesso tempo, la posizione di un intellettuale cattolico pone delle esigenze, come quella di approfondire tutta la dottrina della Chiesa. Tutta la dottrina della Chiesa sia per quanto riguarda i suoi principi, sia per quanto riguarda la realizzazione e l’applicazione pratica nella vita.

Il Concilio Vaticano Il ci ha lasciato una ricchezza fondamentale, enorme; evidentemente questa ricchezza ha caratteri universali, è stata concepita per una Chiesa Universale. Ora è compito di ogni Chiesa particolare o locale, diciamo della Chiesa di ogni Nazione, effettuare una sua propria lettura della ricchezza contenuta in questi documenti. Possiamo dire che il Concilio Vaticano II, con i suoi documenti e la sua dottrina ha preparato il nostro ingresso nel III millennio. Il programma pratico della Chiesa è di prepararsi ovunque, quindi anche in Rwanda. È impegno specifico dei Vescovi, dei Pastori, degli specialisti, anche di quelli laici, conoscere e realizzare questa ricchezza universale contenuta nei documenti e nel Magistero del Vaticano Il, cercando incessantemente le sue radici, che vanno fino alla Parola di Dio. Esse sono contenute nella Rivelazione, in tutta la Rivelazione e nelle Sacre Scritture. È quindi obbligo di voi intellettuali, e per intellettuali intendo anche il clero e lo stesso Papa, studiare innanzitutto queste fonti della nostra saggezza cristiana.

Il nostro primo argomento di studio è la parola di Dio. Quelli che hanno saputo comprenderla sono i Santi di Dio. Coloro che hanno potuto realizzare e promuovere il Regno di Dio su questa terra. Essi sono santi. Il vostro portavoce ha espresso il desiderio di santi Rwandesi canonizzati per il Rwanda. È questo anche il mio desiderio, un grande desiderio. Non soltanto un desiderio, ma anche una speranza.

Non esiste un monopolio delle beatificazioni, delle canonizzazioni. Esiste soltanto un problema di maturazione. È evidente che le Chiese che esistono da più di duemila anni vengono per prime, nonostante i tanti errori della società. Alcuni si mostrano più maturi in questa fase di preparazione alla santità. D’altra parte sono convinto che essi si trovino anche fra voi che siete qui riuniti, tra il vostro popolo del Rwanda, tra i vostri matrimoni, le vostre famiglie, ne sono convinto. Uno dei desideri che porto nel mio cuore è poter beatificare o canonizzare al più presto possibile; c’è un grande bisogno di canonizzare una coppia.

Canonizzare una coppia fu tipico del passato, del primo secolo della Chiesa Cristiana, e anche del Medioevo; ma noi ci ispiriamo al modello contemporaneo. Tutto ciò che devo augurarvi è che queste coppie canonizzate provengano dal Rwanda. E, questo sarà, se possibile e al più presto possibile, un segno della maturità della vostra Chiesa, della maturità spirituale della vostra Chiesa. Le difficoltà della vita pratica esistono ovunque. Perché tale è la condizione umana, e, senza alcun dubbio, anche quella di coloro che vengono beatificati e canonizzati. È qualcosa di insito nella nostra vita. Penso che la vita pratica sia il luogo dove attuare quotidianamente il Cristianesimo.

L’obbiettivo principale è risolvere questi difficili problemi. Per la risoluzione di questi problemi, per l’attuazione del cristianesimo, per la vita pratica di ogni giorno, per aiutare gli altri, esiste tra le numerose citazioni del Vaticano II una citazione che forse potrei ripetervi non del tutto esattamente a memoria e che contiene uno dei principali argomenti di questo Concilio e del Cristianesimo attraverso i secoli: l’uomo è l’unica creatura che Dio ha voluto per se stesso.

L’uomo si realizza soltanto donandosi disinteressatamente a Dio e al prossimo. Auguro a tutti voi, cari fratelli, di poter riflettere su questa forma di antropologia, su questo grande discorso sull’uomo, sull’essere umano che detiene questo potere, e di poterlo realizzare per il bene del Rwanda. Grazie.

Il Papa ha successivamente pronunciato le seguenti parole:

Approfitto dell’opportunità per riprendere l’argomento di cui ho parlato dopo il mio discorso. Ho detto che bisogna ascoltare la parola di Dio e meditare su di essa con umiltà. Vorrei ancora una volta dire con grande soavità “in ginocchio”. Perché si tratta, cari amici, di un dialogo con il Padre nostro che è nei cieli, che ci ha rivelato la sua paternità attraverso suo Figlio. Sono misteri superiori che toccano noi tutti, anche i più poveri. Noi siamo inseriti, incarnati in questo grande mistero della bontà eterna della misericordia ed è necessario conservare tra noi questa fiducia. Ancora uno speciale grazie ai cori per i loro canti, e a quanti hanno contribuito alla preparazione e al successo di questo incontro.

Dio vi benedica.

 

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