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VIAGGIO APOSTOLICO IN TANZANIA, BURUNDI, RWANDA E YAMOUSSOUKRO

DISCORSI DI GIOVANNI PAOLO II
AI MEMBRI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL RWANDA

Kigali (Rwanda) - Domenica, 9 settembre 1990

 

Cari fratelli nell’episcopato,

1. Dopo aver incontrato il Popolo di Dio nel corso del mio viaggio in Rwanda, sono particolarmente lieto di trovarmi ora con voi, Pastori di questo caro popolo, al cui servizio vi dedicate con tutte le vostre forze.

Ringrazio vivamente Monsignor Joseph Ruzindana, Vescovo di Byumba e Presidente della Conferenza Episcopale del Rwanda, del suo cordiale indirizzo. Sono sensibile ai sentimenti di affetto e di devozione che mi sono stati espressi e rendo grazie a Dio di aver potuto testimoniarvi, a mia volta, la mia sollecitudine pastorale venendo fra di voi. Sono molto felice di poter valutare personalmente il vostro lavoro pastorale e sono sicuro che i momenti passati insieme in una celebrazione intensa e gioiosa della fede contribuiranno a rinforzare ancora i nostri legami e a stimolare il vostro zelo.

2. Alle soglie del terzo millennio della Redenzione, il Rwanda festeggerà il centenario della sua evangelizzazione. Per voi è una data significativa. Siete, a giusto titolo, fieri di come la Chiesa si è radicata vigorosamente nel vostro Paese e questo suscita in voi uno slancio di gratitudine verso Colui dal quale viene ogni dono eccellente.

Rendendo grazie per quello che è stato fatto, siete anche decisi a portare avanti, nella scia dei vostri predecessori, l’evangelizzazione in profondità della vostra patria.

Evangelizzare significa portare la Buona Novella in tutti gli ambienti umani per trasformarli dall’interno: la Chiesa chiama gli uomini alla conversione del cuore e chiede che ciascuno agisca nella società guidato da una coscienza che rinnova e fortifica l’incontro con il Salvatore.

3. In questo processo, sarà opportuno fare una riflessione approfondita sull’inculturazione che costituisce un elemento indispensabile e urgente dell’evangelizzazione. Il ruolo di questa inculturazione nella missione della Chiesa è stato chiaramente definito dai documenti del Concilio Vaticano II e da parecchie esortazioni apostoliche promulgate negli ultimi vent’anni. Il decreto Ad gentes ne ha sottolineato l’importanza in questi termini: “Il seme, cioè la parola di Dio, germogliando nel buon terreno irrigato dalla rugiada divina, assorbe la linfa vitale, la trasforma e la assimila per produrre finalmente un frutto abbondante. Indubbiamente, come si verifica nell’economia dell’incarnazione, le giovani Chiese, che han messo radici in Cristo e son costruite sopra il fondamento degli Apostoli, hanno la capacità meravigliosa di assorbire tutte le ricchezze delle nazioni, che appunto a Cristo sono state assegnate in eredità (cf. Sal 2, 8). Esse traggono dalle consuetudini e dalle tradizioni, dal sapere e dalla cultura, dalle arti e dalle scienze dei loro popoli tutti gli elementi che valgono a render gloria al Creatore, a mettere in luce la grazia del Salvatore e a ben organizzare la vita cristiana” (Ad gentes, 22). Allo scopo di far entrare nel “mirabile scambio” dell’Incarnazione del Cristo tutto quello che è vero, bello e buono di questa eredità, saranno necessari studi teologici rigorosi per apprezzare costumi, tradizioni, saggezza, scienze e arti.

4. La mobilitazione di tutte le vostre forze vive in vista di una rinnovata evangelizzazione si inserisce nel quadro di un’altra mobilitazione, più generale, quella di tutte le Chiese particolari di questo continente, allo scopo di preparare l’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Cari fratelli, vi invito a sensibilizzare le vostre famiglie diocesane alla preparazione di questa Assemblea affinché, grazie alle loro preghiere e alla loro partecipazione alla riflessione comune, il volto della Chiesa in Africa, e in Rwanda in particolare, corrisponda sempre meglio al disegno di Cristo e la sua azione salvatrice sia ancora più riconosciuta.

5. L’impegno di tutti, pastori e fedeli, nella preparazione di questi due grandi eventi futuri, il Sinodo dei Vescovi per il continente e il centenario in Rwanda, dovrebbe avere come risultato positivo, fra gli altri, il rafforzamento all’interno delle vostre comunità in questa unità della quale avete tanto bisogno.

Bisogna mirare all’unità fra di voi, costi quel che costi. So che è una delle vostre grandi preoccupazioni pastorali e che lavorate per promuoverla, come testimonia l’importante documento “Cristo nostra unità”, che avete pubblicato e rivolto alle vostre famiglie diocesane.

Sicuramente, è con il dinamismo trasfigurante della fede cristiana che riuscirete a sradicare i pregiudizi etnici, le conseguenze di una mentalità feudale, come anche quelle di una mentalità servile. Come dice Cristo: “Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive” (Mc 7, 21). Lavorate senza sosta alla conversione del cuore, affinché ogni abitante del Rwanda comprenda che il prossimo che Gesù chiede di amare non è solamente l’uomo appartenente al nostro stesso ceto sociale, ma ogni uomo incontrato lungo la strada. Si tratta dunque di purificare il nostro sguardo sugli altri. È un’impresa che dura tutta la vita. Per condurla a buon fine, appoggiatevi alla forza del messaggio evangelico. Meditate queste parole di Cristo: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5, 37). Esse vi aiuteranno a respingere ogni ambiguità, che sarebbe di ostacolo all’unità fra tutti gli esseri umani e fonte di discordia fra gli individui.

È bene naturalmente che l’esempio di unità parta dall’alto perché sia un incoraggiamento per il clero, i religiosi e i fedeli ad animare insieme la vita della Chiesa, e per tutti i popoli a unire i loro sforzi a livello sociale, economico e politico per il bene di tutta la nazione.

In vista di un’azione ecumenica ancora più proficua, per quanto riguarda il Rwanda, vi incoraggio ad approfondire il patrimonio che abbiamo in comune con le altre comunità cristiane in scambi nei quali la specificità cattolica sia chiaramente presente. Infine, di fronte ai fratelli e alle sorelle che professano altre religioni, vogliamo, nel rispetto delle loro credenze, portare avanti il dialogo e la proclamazione del Vangelo.

6. Nella prima lettera di S. Pietro, la missione dei Vescovi è così descritta: “pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo . . . non spadroneggiando, ma facendovi modelli del gregge” (1 Pt 5, 2-3). Il pastore ha il compito di riunire e di guidare. Anche il Vescovo ha la missione di riunire e di guidare. Lo fa quando presiede l’Eucaristia, sacramento che edifica la Chiesa. Lo fa quando manda i battezzati nel mondo a compiere la loro missione di testimoni del Vangelo.

L’autorità che esercitate in qualità di Vescovi è quella di un padre, che cerca di amare, di comprendere e, per questo, si avvicina ai suoi collaboratori, e al suo popolo; un padre che si preoccupa di essere disponibile, in particolare per i suoi sacerdoti, conoscendo i loro desideri e le loro necessità, come il buon pastore del Vangelo conosce ognuna delle sue pecore. Spetta al Vescovo consigliare, incoraggiare, aiutare con bontà e semplicità di cuore coloro che hanno delle responsabilità affinché le assumano per il bene della Chiesa.

La vostra sollecitudine si soffermi, in modo particolare, sui religiosi e le religiose, che hanno offerto la vita al Signore per il servizio della Chiesa mediante i voti di castità, povertà e obbedienza. Affinché le persone consacrate diano il meglio di se stesse nel servizio ecclesiale, abbiate a cuore di aiutarle e incoraggiarle a vivere in perfetta armonia secondo il loro proprio carisma. La fecondità della loro testimonianza è funzione della fedeltà alla loro condizione di vita. È compito vostro promuovere la vita religiosa in quanto tale, cioè come scuola di santità, e di favorire la comprensione e la buona intesa tra le diverse famiglie religiose, così come fra di esse e il clero.

Il sostegno delle vocazioni deve essere oggetto di una particolare sollecitudine da parte vostra. Grazie a Dio i giovani rispondono numerosi all’appello divino e danno prova di grande generosità. Apprezzo lo sforzo considerevole che fate a sostegno dei giovani che si interrogano sulla loro vocazione, offrendo loro la vita di comunità nei vostri seminari minori. Capisco che questo sia per voi un compito gravoso i cui frutti non sempre appaiono chiaramente a breve scadenza, ma approvo tanto più la vostra tenacia. Sperando che non vi sia rifiutato un sostegno dall’esterno, vi incoraggio a vegliare su queste istituzioni che, molto spesso, hanno dato risultati positivi.

Per quanto riguarda i seminaristi maggiori, seguite i loro cammini con attenzione. Insieme ai vostri sacerdoti, sappiate mostrarvi vicini. Non esitate a fare i sacrifici necessari per procurare loro gli educatori di cui hanno bisogno per prepararsi adeguatamente al sacerdozio attraverso uno sviluppo spirituale costante e per acquisire una buona cultura.

7. Anche la formazione dei fedeli laici deve essere considerata fra le priorità del vostro ministero e deve trovare il suo posto nei programmi di azione pastorale.

I cattolici del Rwanda hanno sete di conoscere la loro fede. Ciò va tutto a loro vantaggio. Per meglio assumersi i loro doveri di cristiani nel mondo, hanno bisogno di approfondire ciò che hanno ricevuto durante i primi anni di formazione. È importante prepararli a rendere testimonianza, davanti a tutti coloro che lo chiedono, della speranza che è in loro, per riprendere le parole di San Pietro (cf. 1 Pt 3, 15). Ciò è tanto più indispensabile in quanto le sette possono generare confusione nelle credenze dei cattolici, specialmente quando la loro conoscenza della fede è ridotta. Una solida formazione, data con fiducia nella grazia divina e con fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, garantirà in essi la salvaguardia della fede, la fortificherà e farà dei fedeli laici dei missionari convinti e impegnati.

8. Nel quadro della formazione di un laicato capace di assumersi le proprie responsabilità, esiste un ministero al quale è necessario prestare un’attenzione particolare: l’attività pastorale dell’élite del Paese di cui ho incontrato ieri numerosi rappresentanti.

Nei limiti del possibile, rendete disponibili sacerdoti competenti per guidare le persone colte nell’approfondimento della loro fede. Invitate questi cristiani formati a impegnarsi attivamente nella vita della loro parrocchia. Incoraggiateli a portare i valori del Vangelo nei grandi dibattiti dove si discute dell’avvenire del Rwanda, come anche nella loro vita professionale quotidiana, impegnata sia nel campo della cultura, che in quello dell’amministrazione, dell’informazione o della salute. Sarà bene aiutarli a comprendere la portata delle loro responsabilità nella sfera delle realtà temporali, secondo lo spirito del Concilio Vaticano II che chiede “che si faccia una chiara distinzione fra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori”. Perché “la Chiesa che . . . in nessuna maniera si confonde con la comunità politica . . ., è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana” (Gaudium et spes, 76).

9. Vorrei anche dirvi che condivido le vostre inquietudini di fronte alle gravi difficoltà del vostro popolo.

Penso al flagello dell’Aids che richiede da parte dei cristiani un doppio sforzo, del quale ho già parlato parecchie volte: sia per restare vicini ai malati senza discriminazioni, con una carità ispirata a quella di Cristo e con tutte le risorse disponibili per assisterli efficacemente; sia per illuminare giovani e adulti sui valori morali che, spesso, sono in causa nella trasmissione di questa malattia; bisogna richiamarli a un modo di vivere degno e fedele ai precetti evangelici, per non compromettere né la loro vita, né quella del prossimo.

Cambiando argomento, dico che la vostra agricoltura è un “problema scottante”, per riprendere le vostre parole. In certi luoghi si è abbattuta la carestia e, per continuare a nutrire una popolazione numerosa, bisogna lottare contro l’impoverimento del terreno.

Gli abitanti del Rwanda penano ad affrontare tali problemi; i mezzi materiali sono onerosi; le formazioni specializzate ancora difficili da trovare. Rinnovo l’augurio che si sviluppi una solidarietà internazionale che vi venga in aiuto.

Auguro che gli abitanti del Rwanda continuino ad affrontare coraggiosamente le difficoltà di questi tempi, con il dinamismo della speranza e la fiducia in Dio che ama gli uomini.

Che la Chiesa investa la sua grande forza morale per stimolare in ognuno la preoccupazione per il benessere fisico e spirituale del fratello! Infine che, tutti insieme, facciamo salire al Signore le nostre suppliche affinché ci venga in soccorso!

Insieme a voi, prego il Signore del cielo e della terra e gli domando di liberarci dalle tristezze presenti. Insieme a voi supplico la Madonna di accordare a tutti gli abitanti del Rwanda, uomini e donne, come amorevolissima madre, la salute dell’anima e del corpo.

Cari fratelli, con tutto il cuore vi benedico, insieme alle vostre comunità diocesane.

 

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