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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA E UNGHERIA
(13-20 AGOSTO 1991)

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO
TEOLOGICO INTERNAZIONALE

Monastero di Jasna Gora - Giovedì, 15 agosto 1991

 

I. Theo-logia cioè “Boho-slowie”

1. “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1, 1-2).

La bella parola slava “Boho-slowie” è l’esatto corrispondente di “Theo-logia” in greco. Alla luce delle parole della Lettera agli Ebrei ora riportate, non basta tradurre la parola “Boho-slowie” (cioè Theo-logia) come “parola su Dio” e, di conseguenza, “scienza su Dio”. Fondamentale e originale è la parola di Dio stesso: Dio ha parlato per mezzo dei profeti . . . alla fine ha parlato per mezzo del Figlio. Profeta è l’uomo che parla a nome di Dio, appoggiandosi sull’autorità della verità che è Dio stesso. Il Figlio parla forse soltanto a nome di Dio che è suo Padre? Il Figlio è il Verbo consostanziale al Padre e per questo le sue parole hanno una loro autorità propria, quella della stessa Verità divina. Nelle sue parole è contenuta la pienezza dell’autorivelazione di Dio: colui che parla di Dio è “il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre” (cf. Gv 1, 18), e dice ciò che ha ricevuto dal Padre (cf. Gv 8, 28.40; 15, 15). Dato che la teologia (“boho-slowie”) è la parola su Dio, la scienza su Dio, allora questa è nello stesso tempo la parola e la scienza generata dal Verbo di Dio stesso. Mai dobbiamo dimenticarlo, quando indaghiamo circa i singoli aspetti della “scientificità della teologia”. Per ogni scienza e per ogni specie di “scientificità” rimane fondamentale il rapporto con la realtà nella verità. Ogni veracità umana (scientifica) nella teologia si trova di fronte alla preminenza della verità divina. Per questo S. Tommaso intendeva la teologia come una scienza subordinata alla scienza di Dio e dei beati nei cieli: “Sacra doctrina est scientia, ex principiis superioris scientiae, quae Dei et beatorum propria est, derivata” (S. Tommaso, Summa theologiae, I, q. 1, art. 2).

Questo è il concetto corretto, nella fede, di quella Realtà che può raggiungere la sua definitiva chiarezza, cioè la pienezza della visione beatifica, soltanto come frutto definitivo della fede.

2. Le parole della Lettera agli Ebrei mostrano la via con cui la parola di Dio giunge all’uomo. Se il Figlio unigenito stesso, cioè il Verbo consostanziale al Padre, è l’apice e la pienezza di tale via, allora Dio ha parlato in questo Figlio quando Questi assunse l’umanità. In questo modo anche in Lui il parlare di Dio ha un carattere umano. Tanto più questo riguarda tutti i profeti, che preparavano la venuta del Figlio e questa pienezza dell’autorivelazione di Dio, che il Verbo raggiunge nel mistero dell’Incarnazione.

Il Dio-Uomo è, secondo le parole della Lettera “ad Hebraeos”, il termine del cammino. Contemporaneamente però Egli è il nuovo e definitivo inizio della via che si chiama “teologia” cioè “bohoslowie”. Il posto dei profeti, che hanno preparato l’accoglienza del verbo Incarnato, è stato preso dagli apostoli, e con loro dalla Chiesa, edificata “sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti” (Ef 2, 20). Così, dunque, l’ulteriore cammino della teologia, cioè del “bohoslowie”, si congiunge con la storia della Chiesa come Popolo di Dio, che partecipa alla triplice missione del Verbo Incarnato: alla missione sacerdotale, profetica e regale. Il Concilio Vaticano II ha messo in risalto questa verità in un nuovo modo.

3. Il passaggio dall’espressione greca “theo-logia” a quella slava “bohoslowie” possiede un particolare significato storico (N.B. il termine greco theo-logia è entrato nell’uso senza alcun cambiamento nel vocabolario cristiano del latino e della Chiesa latina). Però tale passaggio ha un significato storico particolare a motivo dell’origine greca (bizantina) di coloro che per primi furono i messaggeri della Parola di Dio nei confronti dei popoli slavi nella loro lingua. Si tratta, in questo caso, dell’opera dei santi fratelli di Salonicco, i quali, invitati dal sovrano dello Stato della Grande Moravia, Rostislavo, giunsero come missionari ai popoli (in maggioranza Slavi) di quella terra nel secolo IX.

Dobbiamo ancora una volta renderci conto del lavoro compiuto dai santi Cirillo e Metodio. Essendo greci, hanno prima imparato la lingua degli Slavi per annunziare poi in tale lingua la parola del Vangelo di Dio. Dopo di essi allo stesso modo operarono i numerosissimi missionari in diversi luoghi della terra. Tutti divennero dapprima discepoli dei popoli che essi dovevano istruire, per poter così in seguito diventare per loro i maestri della Parola di Dio, nelle rispettive lingue. S. Ireneo va ancora oltre, quando scrive che il Verbo eterno stesso, assumendo la natura umana, in un certo senso imparò prima ad essere uomo, per istruire successivamente gli uomini di come debbano diventare figli di Dio partecipando mediante la grazia alla natura divina (cf. S. Irenaei, Adversus haereses, III,20,3: SC 34,344).

Oggi un tale modo di agire viene chiamato “inculturazione”; tuttavia la dimensione piena di un tale procedimento viene presentata proprio da S. Ireneo.

Se esso si lascia comprendere ed esprimere nell’ordine della cultura, tuttavia nella sua essenza esso è “theologia”, cioè “bohoslowie”. Sì, anzi è la sostanza stessa della teologia.

4. È una felice coincidenza che il nostro incontro odierno (e tutto il Congresso teologico che lo ha preceduto) possa fare riferimento al rinnovamento cirillo-metodiano, iniziato già verso la fine dello scorso secolo da Leone XIII, e in seguito alla tradizione degli incontri a Velehrad, che hanno preparato (per il centenario dell’Enciclica leoniana) la proclamazione dei due fratelli di Salonicco a Compatroni d’Europa insieme con san Benedetto. Aggiungerei ancora che tutti questi fatti hanno preparato - nella nuova situazione politico-culturale - la convocazione proprio a Velehrad del Sinodo dei Vescovi europei, la Domenica in Albis del 1990. Dio che ha parlato per mezzo dei profeti, per parlare alla fine per mezzo del Figlio; Dio che continua a parlare mediante il ministero della Chiesa del Verbo Incarnato, edificata sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, iscrive la sua trascendente Parola di Verità nell’immanenza dell’esistenza umana in continuo mutamento. La iscrive nella storia degli uomini e dei popoli; in questo modo questa storia riveste la forma di storia della salvezza. La Parola di Dio non ritorna vuota (cf. Is 55, 1) a colui che la pronuncia; ma, divenuta opera di seminatori, che seminano nel pianto e nella sofferenza, fruttifica con la gioia dei mietitori (cf. Sal 126, 5-6).

II. La testimonianza, cioè il “martyrion” (“martyrium”)

5. La teologia è frutto di un intimo rapporto mediante la fede con il mistero di Dio quando questa intimità assume forma del pensare metodico. Tuttavia anteriore allo stesso pensare metodico del teologo è la testimonianza. La teologia nasce dalla testimonianza, ed anzitutto da quella testimonianza che proviene dal Figlio, dal Cristo. Egli è il testimone oculare del mistero di Dio, e allo stesso tempo il “Testimone fedele” (cf. Ap 1, 5). Cristo è testimone del mistero di Dio, essendone allo stesso tempo il soggetto e la definitiva rivelazione. Anzi: essendo Egli stesso questo mistero rivelato.

Dalla pienezza della sua testimonianza Cristo chiama i testimoni.

Dice agli apostoli: “mi sarete testimoni . . .” (At 1, 8), annunziando loro la venuta dello Spirito di verità: “egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio” (Gv 15, 26-27). La presenza accanto a Cristo, la partecipazione agli eventi della sua vita, della sua morte e risurrezione, costituiscono la qualificazione umana del testimone. Tuttavia essa non è sufficiente quando si tratta di testimoniare il mistero del Dio vivente. La testimonianza degli apostoli deve essere radicata nella testimonianza dello Spirito Santo, Spirito di verità, perché soltanto lui scruta le profondità di Dio (cf. 1 Cor 2, 10). Ciò è stato confermato nel giorno di Pentecoste; e da allora continua nella missione apostolica della Chiesa. Tutti i battezzati sono chiamati a tale testimonianza, particolarmente mediante la Confermazione, sacramento che rende capaci di testimoniare nella potenza dello Spirito Santo. La storia della Chiesa è la storia dei testimoni di Cristo. Alcuni tra di loro ebbero un’importanza particolare nel rendere presente, nelle singole epoche, il mistero del Dio vivente, rivelato in Cristo.

6. Il Congresso dei teologi dei paesi dell’Europa centrale e orientale, tenutosi a Lublino, ha costituito soprattutto una registrazione di testimonianze: testimonianze sulla vita della Chiesa in condizione di oppressione, la quale, secondo le premesse ideologiche della filosofia marxista, combatteva la religione, proponendosi di sradicarla, come una fondamentale forma di alienazione dell’uomo. Si combatteva contro la religione e contro la Chiesa (le Chiese) per liberare l’uomo. Era questa l’ateizzazione programmata e allo stesso tempo “amministrativa” (come l’ha definita il Cardinale Stefano Wyszynski). Nelle condizioni di una tale limitazione e violazione della libertà religiosa, come fondamentale diritto dell’uomo, agli uomini viventi in mezzo alle rispettive società era possibile solo o un atteggiamento di apostasia o di conformismo. Nelle medesime condizioni divenne però possibile anche l’atteggiamento della scelta consapevole della verità di Cristo; atteggiamento che ha avuto il carattere di una particolare testimonianza.

È noto che il termine greco per dire testimonianza, la parola “martyrion” (eventualmente “martyria”) - in latino “martyrium” -, indica anche la persecuzione per la verità fino al sacrificio della vita. Tale è stata, prima di tutto, la testimonianza - il martyrium - di Cristo stesso. Proprio in quel dare la vita in sacrificio offerto sulla croce è contenuta la pienezza della rivelazione di Dio che è amore (la pienezza dell’autorivelazione di Dio). Il martyrium umano, la testimonianza data a Cristo a prezzo di persecuzioni e persino della morte, possiede un fondamentale significato per la vita della Chiesa; rende presente in modo particolare il mistero divino, di cui la Chiesa vive e con il quale vivifica il mondo. Questo si è confermato anche in quel particolare “luogo” del martyrium, che ha coinvolto il continente europeo negli ultimi decenni. Parallelamente al martyrium “orientale” venne compiuto anche quello “occidentale”, legato al razzismo hitleriano, che durò di meno, ma è stato ugualmente crudele.

Il Congresso dei teologi, che si è concentrato sulla registrazione delle testimonianze, assume una funzione fondamentale anche dal punto di vista teologico. La testimonianza è una particolare conoscenza, è una intimità con il mistero, nel senso globale ed esistenziale. Non dimentichiamo che tra le fonti scritte del cristianesimo si trova il “martyrologium” che, nel corso della storia della Chiesa, costantemente viene aggiornato secondo le diverse aree geografiche. Il nostro secolo ha bisogno di un nuovo “martyrologium” prima di tutto forse per il nostro continente. In esso si troveranno (accanto ad altri uomini che diedero la vita per la verità professata) i numerosi cristiani, uniti con la Tradizione riconosciuta dell’Oriente e dell’Occidente.

Anche se il “martyrologium” nella sua forma esterna è un registro elementare di persone e di eventi, tuttavia il suo profondo contenuto permette di scoprire le radici stesse di ciascuna teologia. Il “martyrologium” parla dei fatti dell’esperienza cristiana, che sono particolarmente colmi, particolarmente impregnati del contatto con il mistero divino e con la presenza di questo stesso mistero.

Cristo, annunziando ai suoi discepoli le persecuzioni che li attendevano a motivo del suo nome, aggiungeva: “abbiate fiducia; io ho vinto il mondo” (Gv 16, 33); e l’evangelista Giovanni scrive su tale vittoria che è “la nostra fede” (cf. 1 Gv 5, 4). Tale vittoria consiste soprattutto nell’esperienza stessa della testimonianza (“martyrium”). Essa è l’esperienza dell’azione di Dio nell’uomo, della forza dello Spirito Santo che gli “viene dato” (cf. At 1, 8). In qualche modo il riflesso di questa vittoria si manifesta all’esterno e si incide nella storia della Chiesa e nella vita delle società.

III. Teologia e antropologia

7. La testimonianza (il “martyrium”) costituisce un particolare “locus theologicus” non solo in considerazione del mistero di Dio, che si esprime e si rende presente in esso, ma anche in considerazione della verità sull’uomo la quale, mediante la testimonianza, acquista una particolare chiarezza. In questa luce riesce più facile comprendere le parole del Vaticano II sulla rivelazione dell’uomo all’uomo stesso fatta da Cristo (cf. Gaudium et spes, 22). Se tale rivelazione riguarda la vocazione dell’uomo - la vocazione definitiva e soprannaturale - allo stesso tempo essa riguarda colui che è chiamato, cioè l’uomo. Troviamo, dunque, qui la risposta alla domanda: chi è l’uomo? Che cos’è che decide della sua umanità, che cos’è che decide della dignità della persona che gli è propria, a somiglianza di Dio stesso?

Cristo risponde alla domanda di Pilato se sia re dichiarando: “Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18, 37). Questa risposta è importante a motivo dell’umanità di Cristo, e anche a motivo dell’umanità di ogni uomo, specialmente se prendiamo in considerazione ciò che segue: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. L’uomo è chiamato ad essere “dalla verità” - a “vivere nella verità”. Questo fondamentale status dell’essere uomo si esprime nel dare testimonianza alla verità. Anche da questo punto di vista Cristo rivela l’uomo all’uomo: gli fa conoscere che cosa vuol dire essere uomo; gli fa capire grazie a che cosa l’uomo merita il nome e la dignità di uomo. Lo status del testimone, cioè di colui che rende testimonianza alla verità, è lo status fondamentale dell’uomo. Questa è un’affermazione d’importanza essenziale non soltanto nella dimensione del cristianesimo come fede, ma anche del cristianesimo come cultura, come umanesimo.

È opportuno unire questa affermazione ad un’altra, riguardante la libertà. Cristo dice ai suoi ascoltatori (e anche ai suoi avversari): “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8, 32). L’uomo rende testimonianza alla verità conosciuta. Come effetto della conoscenza egli diventa testimone della verità. Allo stesso tempo l’uomo, proprio in relazione alla potenzialità conoscitiva a lui propria, è libero. La libertà della volontà presuppone la capacità di conoscere la verità riguardo al bene. Senza conoscere la verità riguardo al bene l’uomo sarebbe in balia di molteplici costrizioni psicologiche, in una vita comandata dagli istinti. Egli non sarebbe libero (così come non sono liberi gli animali inferiori a lui) e non sarebbe capace di libertà. Potrebbe persino non sapere di non essere libero, considerando tali o altre costrizioni come libertà. La vera libertà è unita strettamente ed organicamente alla verità: la verità costituisce la radice della libertà. Solo attraverso il riferimento alla verità l’uomo può decidere di se stesso, può anche scegliere tra i beni che viene a conoscere (i valori), può, infine, optare tra il bene e il male. Ciò costituisce la sostanza stessa dell’ethos umano.

Le parole di Cristo “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” raggiungono il centro nevralgico della libertà umana: l’uomo è libero perché possiede la capacità di conoscere la verità - e allo stesso tempo l’uomo diventa libero in quanto si lascia guidare dalla verità nelle sue decisioni, opzioni e in tutto il suo agire: in quanto si lascia guidare dalla verità riguardo al bene. Qui ci stiamo avvicinando a quel “più segreto sacrario” dell’uomo, che è la coscienza (come si esprime il Vaticano II, cf. Gaudium et spes, 16). Poiché non c’è libertà senza verità, anche lo “status di testimone”, di colui, cioè, che rende testimonianza alla verità, è allo stesso tempo immanente e costitutivo per tutta la moralità umana. Si potrebbe dire per tutta la praxis (attività) umana nell’aspetto dell’ethos. Questo è un aspetto essenziale per l’uomo, in esso si decide il vero dramma della sua umanità. Cristo ha rivelato l’uomo all’uomo anche (e forse prima di tutto) proprio da questo punto di vista.

8. Tornando sul terreno del contemporaneo martyrium nell’ambito della storia d’Europa, si può dire che su di esso si è formata una particolare forma della teologia della liberazione. Occorre costatarlo non soltanto in considerazione della lotta per i più fondamentali diritti dell’uomo (la libertà di religione, la libertà di coscienza e altri), che si è svolta qui, adoperando mezzi radicalmente “poveri”, in conflitto con la prepotenza dello stato totalitario. Occorre costatarlo anche in considerazione dell’autenticità evangelica della liberazione stessa, perché di questo si trattava in tale lotta. Possono darne testimonianza prima di tutto coloro che a prezzo di grandi sacrifici e abnegazioni sperimentarono quella “libertà per la quale ci ha liberati Cristo” (cf. Gal 5, 1).

IV. “Scambio di doni”

9. Il Sinodo dei Vescovi europei, che si svolgerà verso la fine dell’anno corrente, è stato invitato ad intraprendere (conformemente alle parole del Concilio) quel particolare “scambio di doni” tra le Chiese e le comunità (cf. Lumen gentium, 13), che riveste un’importanza essenziale per l’unità di comunione della Chiesa e di tutto il mondo cristiano.

Il Congresso dei teologi, che oggi conclude i suoi lavori a Jasna Gora (in concomitanza con la Giornata Mondiale dei Giovani) ha reso un importante servizio, in questo campo, al Sinodo e anche alle Chiese sul nostro continente.

Di tutto cuore desidero ringraziare tutti coloro che hanno collaborato in quest’opera pionieristica. E, se mi è consentito, aggiungo anche una invocazione per il proseguimento di questo importante lavoro:

Nos cum Prole Pia benedicat Virgo Maria”.



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