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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI MEMBRI DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA

Lunedì, 28 gennaio 1991  

 

1. La ringrazio vivamente, Monsignor Decano del Tribunale della Rota Romana, per le belle espressioni di saluto e di augurio con cui ha interpretato i sentimenti comuni di stima, di affetto e di impegno al servizio della Chiesa.

Estendo a tutto il Collegio dei Giudici Rotali, agli Ufficiali, ai membri dello studio rotale e al gruppo degli Avvocati il mio saluto cordiale.

Considero questo incontro annuale come un’occasione propizia per esprimere a tutti voi il mio apprezzamento per il lavoro delicato svolto a servizio dell’amministrazione della giustizia nella Chiesa e per sottolineare qualche aspetto riguardante un’istituzione così importante, delicata e complessa, qual è il matrimonio. Desidero oggi soffermarmi a considerare con voi le implicazioni che su di esso ha il rapporto tra fede e cultura.

2. Il matrimonio è un’istituzione di diritto naturale, le cui caratteristiche sono iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna. Fin dalle prime pagine della Sacra Scrittura, l’Autore sacro presenta la distinzione dei sessi come voluta da Dio: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen 1, 27). Anche nell’altro racconto della creazione, il Libro della Genesi riferisce che il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gen 2, 18).

La narrazione prosegue: “Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa”” (Gen 2, 22). Il vincolo che viene a crearsi tra l’uomo e la donna nel rapporto matrimoniale è superiore ad ogni altro vincolo interumano, anche a quello con i genitori. L’Autore sacro conclude: “Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gen 2, 24).

3. Proprio perché realtà profondamente radicata nella stessa natura umana, il matrimonio è segnato dalle condizioni culturali e storiche di ogni popolo. Esse hanno sempre lasciato una loro traccia nell’istituzione matrimoniale. La Chiesa, pertanto, non ne può prescindere. L’ho ricordato nell’Esortazione apostolica Familiaris consortio: “Poiché il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia riguarda l’uomo e la donna nella concretezza della loro esistenza quotidiana in determinate situazioni sociali e culturali, la Chiesa, per compiere il suo servizio, deve applicarsi a conoscere le situazioni entro le quali il matrimonio e la famiglia oggi si realizzano” (Ioannis Pauli PP. II, Familiaris consortio, 4).

È nel cammino della storia e nella varietà delle culture che si realizza il progetto di Dio. Se da una parte la cultura ha segnato a volte negativamente l’istituzione matrimoniale, imprimendovi deviazioni contrarie al progetto divino, quali la poligamia e il divorzio, dall’altra in non rari casi essa è stata lo strumento di cui Dio si è servito per preparare il terreno ad una migliore e più profonda comprensione del suo intendimento originario.

4. La Chiesa, nella sua missione di presentare agli uomini la dottrina rivelata, ha dovuto confrontarsi continuamente con le culture. Fin dai primi secoli il messaggio cristiano, nell’incontro con la cultura greco-romana, trovò un terreno per vari aspetti favorevole. In particolare il diritto romano, sotto l’influsso della predicazione cristiana, perse molto della sua asprezza, lasciandosi permeare dall’humanitas evangelica ed offrendo, a sua volta, alla nuova religione un ottimo strumento scientifico per l’elaborazione della sua legislazione sul matrimonio. La fede cristiana, mentre introduceva in essa il valore dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale, trovava nella riflessione giuridica romana sul consenso lo strumento per esprimere il principio fondamentale che sta alla base della disciplina canonica in materia. Questo principio fu ribadito con fermezza dal Papa Paolo VI nell’incontro che ebbe con voi il 9 febbraio 1976. Egli affermava allora, tra l’altro, che il principio “matrimonium facit partium consensus”: “summum momentum habet in universa doctrina canonica ac theologica a traditione recepta, idemque saepe propositum est ab Ecclesiae magisterio ut unum ex praecipuis capitibus, in quibus ius naturale de matrimoniali instituto nec non praeceptum evangelicum innituntur” (Insegnamenti di Paolo VI, XIV [1976] 99). Esso è pertanto fondamentale nell’ordinamento canonico (CIC, can. 1057 § 1).

Ma il problema delle culture si è fatto particolarmente vivo oggi. La Chiesa ne ha preso atto con rinnovata sensibilità durante il Concilio Vaticano II: “Tra il messaggio della salvezza e la cultura -afferma la Costituzione Gaudium et spes -esistono molteplici rapporti. Dio, infatti, rivelandosi al suo popolo fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio incarnato, ha parlato secondo il tipo di cultura proprio delle diverse epoche storiche” (Gaudium et spes, 58). Nella linea del mistero dell’Incarnazione, “la Chiesa, che ha conosciuto nel corso dei secoli condizioni d’esistenza diverse, si è servita delle differenti culture per diffondere e spiegare nella sua predicazione il messaggio di Cristo a tutte le genti, per studiarlo ed approfondirlo, per meglio esprimerlo nella vita liturgica e nella vita della multiforme comunità dei fedeli” (Ivi). Ogni cultura però deve essere evangelizzata, deve cioè confrontarsi col messaggio evangelico e farsene permeare: “Il Vangelo di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura dell’uomo decaduto, combatte e rimuove gli errori e i mali derivanti dalla sempre minacciosa seduzione del peccato” (Gaudium et spes, 58). Le culture, diceva Paolo VI nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, “devono essere rigenerate mediante l’incontro con la buona novella” (Pauli VI, Evangelii nuntiandi, 20).

5. Tra gli influssi che la cultura odierna esercita sul matrimonio se ne devono rilevare alcuni che traggono la loro ispirazione dalla fede cristiana. Per esempio il regresso della poligamia e di altre forme di condizionamento, a cui la donna era sottoposta dall’uomo, l’affermarsi della parità tra l’uomo e la donna, il crescente orientamento verso una visione personalistica del matrimonio, inteso come comunità di vita e di amore, sono valori che fanno ormai parte del patrimonio morale dell’umanità.

Al riconoscimento della pari dignità dell’uomo e della donna s’accompagna inoltre il riconoscimento sempre più ampio del diritto alla libertà di scelta sia dello stato di vita che del proprio partner nel matrimonio.

La cultura contemporanea, tuttavia, presenta anche aspetti che destano preoccupazione. In alcuni casi sono gli stessi accennati valori positivi che, avendo perso il vitale collegamento con l’originaria matrice cristiana, finiscono per apparire elementi disarticolati e scarsamente significativi, che non è più possibile integrare nel quadro organico di un matrimonio rettamente inteso e autenticamente vissuto.

In particolare, nel mondo occidentale, opulento e consumista, tali aspetti positivi rischiano di essere distorti da una visione immanentistica ed edonistica, che svilisce il senso vero dell’amore sponsale. Può essere istruttivo rileggere dall’angolatura del matrimonio quanto dice la Relazione Finale del Sinodo Straordinario dei Vescovi circa le cause esterne che ostacolano l’attuazione del Concilio: “Nelle nazioni ricche cresce sempre più un’ideologia, caratterizzata dall’orgoglio per i progressi tecnici e da un certo immanentismo, che porta all’idolatria dei beni materiali (il cosiddetto consumismo). Ne può conseguire una certa qual cecità verso la realtà e i valori spirituali” (Relatio finalis, I,4). Le conseguenze sono nefaste: “Questo immanentismo è una riduzione della visione integrale dell’uomo, che conduce non alla sua vera liberazione ma ad una nuova idolatria, alla schiavitù delle ideologie, alla vita in strutture riduttive e spesso oppressive di questo mondo” (Ivi, II, A,1). Da tale mentalità consegue spesso il misconoscimento della sacralità dell’istituto matrimoniale, per non dire il rifiuto della stessa istituzione matrimoniale, che apre la strada al dilagare del libero amore.

Anche là dove viene accettata, l’istituzione è non raramente deformata sia nei suoi elementi essenziali che nelle sue proprietà. Ciò avviene, ad esempio, quando l’amore coniugale è vissuto in egoistica chiusura, come forma di evasione, che si giustifica e si esaurisce in se stessa.

Ugualmente la libertà, pur necessaria per quel consenso in cui sta il fondamento del matrimonio, se assolutizzata, porta alla piaga del divorzio. Si dimentica, allora, che, di fronte alle difficoltà del rapporto, è necessario non lasciarsi dominare dall’impulso della paura o dal peso della stanchezza, ma saper trovare nelle risorse dell’amore il coraggio della coerenza con gli impegni assunti.

La rinuncia alle proprie responsabilità, peraltro, anziché portare alla realizzazione di sé, matura una progressiva alienazione da sé. Si tende, infatti, ad addebitare le difficoltà a meccanismi psicologici, il cui funzionamento viene inteso in senso deterministico, con la conseguenza di uno sbrigativo ricorso alle deduzioni delle scienze psicologiche e psichiatriche per reclamare la nullità del matrimonio.

6. Com’è noto, vi sono tuttora nel mondo popoli presso i quali non è scomparsa del tutto la consuetudine della poligamia. Orbene, anche tra i cattolici c’è chi, in nome del rispetto della cultura di tali popoli, vorrebbe in qualche modo giustificare o tollerare una simile prassi nelle comunità cristiane. Nei miei viaggi apostolici non ho mancato di riproporre la dottrina della Chiesa sul matrimonio monogamico e sulla parità di diritti tra l’uomo e la donna. Non si può ignorare, infatti, che presso tali culture resta ancora da fare non poco cammino nel campo del pieno riconoscimento della pari dignità dell’uomo e della donna. Il matrimonio è ancora, in larga misura, frutto di accordi tra famiglie, che non tengono nel debito conto la libera volontà dei giovani. Nella stessa celebrazione del matrimonio le consuetudini sociali rendono talvolta difficile determinare il momento dello scambio consensuale e del sorgere del vincolo matrimoniale, dando adito ad interpretazioni non consone con la natura pattizia e personale del consenso matrimoniale.

Anche per quanto concerne la fase processuale, non mancano negligenze nei confronti della legge canonica, a giustificazione delle quali si invocano consuetudini locali o particolarità proprie della cultura di un certo popolo. In proposito, converrà ricordare che negligenze di questo genere non significano semplicemente omissione di leggi formali processuali, ma rischio di violazione del diritto alla giustizia, spettante ai singoli fedeli, con conseguente degrado del rispetto per la santità del matrimonio.

7. La Chiesa, pertanto, pur con la debita attenzione alle culture di ogni popolo e ai progressi della scienza, dovrà sempre vigilare perché agli uomini di oggi venga riproposto integralmente il messaggio evangelico sul matrimonio, qual è maturato nella sua coscienza attraverso la secolare riflessione condotta sotto la guida dello Spirito. Il frutto di tale riflessione è oggi consegnato con particolare dovizia nel Concilio Vaticano II e nel nuovo “Codice di Diritto Canonico”, che del Concilio è uno dei più rilevanti documenti di attuazione.

Con cura materna la Chiesa, attenta alla voce dello Spirito e sensibile alle istanze delle culture moderne, non si limita a ribadire gli elementi essenziali da salvaguardare, ma facendo uso dei mezzi posti a sua disposizione dagli odierni progressi scientifici, si studia di recepire quanto di valido è venuto emergendo nel pensiero e nel costume dei popoli.

Nel segno della continuità con la tradizione e dell’apertura alle nuove istanze si pone la nuova legislazione matrimoniale, fondata sui tre cardini del consenso matrimoniale, dell’abilità delle persone e della forma canonica. Il nuovo Codice ha recepito le acquisizioni conciliari, particolarmente quelle relative alla concezione personalistica del matrimonio. La sua legislazione tocca elementi e protegge valori, che la Chiesa vuole garantiti a livello universale, al di là della varietà e mutabilità delle culture entro le quali si muovono le singole Chiese particolari. Nel riproporre simili valori e le procedure necessarie per la loro salvaguardia, il nuovo Codice lascia, peraltro, un notevole spazio alla responsabilità delle Conferenze episcopali o dei Pastori delle singole Chiese particolari, per adattamenti consoni alla diversità delle culture e alla varietà delle situazioni pastorali. Si tratta di aspetti che non possono considerarsi marginali o di scarsa importanza. Per questo è urgente procedere alla predisposizione delle norme adeguate che, in proposito, il nuovo Codice richiede.

8. Nella sua fedeltà a Dio e all’uomo, la Chiesa agisce come lo scriba divenuto discepolo del Regno dei cieli: “Estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13, 51). In adesione fedele allo Spirito, che la illumina e la sorregge, essa, quale popolo della nuova Alleanza, in tutte le “lingue si esprime e tutte le lingue nell’amore intende e abbraccia” (Ad gentes, 4).

Mentre invito tutti voi, operatori della giustizia, a guardare al matrimonio alla luce del progetto di Dio, per promuoverne con i mezzi di cui disponete l’attuazione, vi esorto a perseverare generosamente nel vostro lavoro, convinti di rendere un importante servizio alle famiglie, alla Chiesa, alla stessa società.

Il Papa vi segue con fiducia ed affetto, e con questi sentimenti vi imparte l’apostolica benedizione.

 

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