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VISITA PASTORALE A VICENZA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI RAPPRESENTANTI DELLA POLITICA, DELLA CULTURA,
DELL'INDUSTRIA E DEL LAVORO DELLA PROVINCIA VICENTINA

Teatro Olimpico - Domenica, 8 settembre 1991

 

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Rivolgo a voi tutti il mio saluto. Vi ringrazio cordialmente perché voi mi offrite l’opportunità di prendere contatto col mondo del lavoro, dell’industria, della politica, della cultura, che vive ed opera nella città e nella provincia di Vicenza. Sono grato, pertanto, a coloro che hanno preparato questo incontro e saluto con affetto voi qui presenti, in questo luogo permeato di ideali richiami alla civiltà classica e al genio artistico di Andrea Palladio. Un particolare pensiero rivolgo al Signor Presidente della Regione Veneto e a coloro che, a vostro nome, mi hanno espresso i sentimenti che vi animano, mettendomi a parte dei vostri progetti e delle vostre speranze. Voi avete desiderato che, nel corso di questa mia visita alla vostra Diocesi, non mancasse l’incontro con i rappresentanti delle categorie più significative e dei componenti qualificati della vostra società attiva ed operosa.

Voi siete i rappresentanti, in particolare, di quel vasto mondo del lavoro, che, grazie alle solide virtù della gente vicentina, illuminata e sostenuta dalla fede cristiana, ha promosso ed orientato negli anni lo sviluppo della vostra terra. Penso, ad esempio, ai sistemi dell’industria tessile, che furono impiantati nel Vicentino, specialmente a Valdagno e Schio, fin dall’800; ma penso anche alle molteplici iniziative industriali, che sono venute fiorendo nel corso di questo secolo. Tutte queste attività, svolte con solerzia ed impegno, assicurano oggi alla maggior parte degli abitanti della Città e dei dintorni un tenore di vita ampiamente soddisfacente.

2. Giustamente, tuttavia, voi oggi vi preoccupate di promuovere un sempre più moderno sviluppo economico e sociale, che non mortifichi gli aspetti culturali e spirituali dell’essere umano e rispetti la natura e il suo equilibrio ecologico.

Per la verità, le aziende hanno, qui, conservato il loro inserimento locale, non sradicando i lavoratori dalla famiglia e dalla parrocchia. Una siffatta gestione aziendale, che potremmo dire familiare, ha protetto dall’alienazione ed ha consentito il formarsi di “comunità di lavoro” nelle quali, più che altrove, si fanno presenti alcune tipiche virtù indicate nell’enciclica Centesimus annus: “la diligenza, la laboriosità, la prudenza nell’assumere i ragionevoli rischi, l’affidabilità e la fedeltà nei rapporti interpersonali, la fortezza nell’esecuzione di decisioni difficili e dolorose, ma necessarie per il lavoro comune dell’azienda e per far fronte agli eventuali rovesci di fortuna” (Ioannis Pauli PP. II, Centesimus annus, n. 32).

Tutto ciò si deve probabilmente anche alla antica tradizione veneta, caratterizzata dall’amore al sacrificio, dalla laboriosità degli emigranti costretti a lavorare in Paesi stranieri per mantenere la famiglia, dalla solidarietà che lega fra loro i componenti delle vostre popolazioni raccolte attorno alle chiese parrocchiali. All’ombra del campanile, il popolo ha imparato a lavorare insieme condividendo ogni situazione di difficoltà e ogni prova. Penso alle cooperative di lavoro, il più delle volte a carattere parrocchiale, nei regolamenti delle quali figuravano anche precisi impegni morali dei soci. Penso alle prime “leghe bianche” dei lavoratori per difendere i propri diritti, modelli precursori dell’attuale organizzazione socio-assistenziale.

Negli ultimi decenni però anche il Veneto è profondamente mutato. Gli studiosi rilevano il diffondersi anche nella vostra Regione di significativi cambiamenti non solo nei comportamenti di fatto ma anche nei criteri di giudizio della gente: l’attenuarsi della pratica religiosa, l’affermarsi di modelli culturali e di stili di vita tipici di talune zone secolarizzate dell’Occidente, il venir meno di tradizionali forme di solidarietà e di altruismo, costituiscono altrettante manifestazioni di tale processo. E voi vi chiedete con giustificata apprensione se l’attenuarsi dell’ispirazione cristiana dello sviluppo non debba alla lunga rivelarsi motivo di involuzione sociale e persino economica anche per la vostra terra. In effetti, lo svigorimento del secolare patrimonio culturale, che aveva saputo coniugare la fede col vivere quotidiano, non può lasciar indifferenti quanti si preoccupano del vero benessere delle popolazioni di queste contrade.

3. Mi è nota l’attenzione con la quale in genere cercate di resistere alla incalzante tentazione di collocare il profitto al di sopra di ogni altro valore e so che vi sforzate di non ricorrere, per far fronte alla concorrenza, a ritmi operativi logoranti e ad indebite estensioni dell’attività lavorativa al fine settimana o ai giorni festivi.

Prevalgono nella vostra terra le aziende piccole e medie, molte delle quali sono nate, come già Leone XIII nella Rerum novarum cent’anni fa auspicava, dalla trasformazione dell’operaio in imprenditore. Si tratta, tuttavia, di un processo che, se da un lato esalta il primato dell’intelligenza e della volontà, dall’altro può condurre ad una esasperazione dei motivi e dei moduli individualistici, ponendo il rapido sviluppo in cima a tutte le aspirazioni. Si può allora incorrere nel rischio di collocare in seconda linea il rispetto di quei valori - tra i quali, ad esempio, il riposo, il primato della vita familiare e religiosa, la santificazione del giorno festivo - ai quali sinora gli imprenditori sono stati giustamente sensibili ed attenti.

4. Sull’attività lavorativa si ripercuotono spesso le tensioni e le inquietudini della società, perché attraverso il lavoro l’uomo instaura relazioni e stabilisce comportamenti di vita.

Abbiamo assistito, nel secolo XX, a un colossale tentativo di organizzare il lavoro e l’umana convivenza, prescindendo da Dio e da ogni rapporto col mondo dei valori trascendenti. Come conseguenza, ne è derivato lo sradicamento dell’uomo dalle culture locali prima, e la creazione artificiale di bisogni e di modelli di vita poi.

Riemerge oggi il richiamo a ciò che in passato era stato negato, o almeno trascurato. Si riafferma cioè l’esigenza di tener conto di istanze “immateriali” quali, ad esempio, il rispetto delle aspirazioni religiose della persona, la valorizzazione delle culture locali, la promozione di relazioni interpersonali serene e gratificanti: in una parola, si torna a far spazio ai bisogni dell’anima. Si rivelano illuminanti per l’ansia spirituale dell’uomo contemporaneo le parole di Cristo: “Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il Regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta” (Lc 12, 29-31).

5. Nell’enciclica Centesimus annus ho posto in evidenza come il vuoto spirituale provocato dall’ateismo sia fra le cause più rilevanti del fallimento del sistema economico marxista (Ioannis Pauli PP. II, Centesimus annus, 24-25). I valori, infatti, motivano il lavoro e, stabilendo un saldo collegamento fra le generazioni, assicurano lo sviluppo della civiltà di un popolo. Essi tuttavia, se non sono ricondotti alle profonde radici etiche comuni a tutti gli uomini, si deteriorano e scompaiono.

L’uomo, essendo alla ricerca di un proprio orientamento globale, ha bisogno di risposte decisive sul senso della vita. Quando si offuscano le più intime motivazioni spirituali, l’uomo si riduce a macchina produttiva, le culture e le etnie diventano “diversità inutili”, la politica si fa “totalizzante”, trasformandosi in una sorta di “religione secolare” (Ivi, 25).

È necessario perciò ritrovare una “cultura del lavoro” che non sia dettata semplicemente dalle istanze produttive, ma dalle esigenze globali della persona e della società civile.

6. A tal fine, è indispensabile che l’azienda diventi una autentica “comunità di lavoro” (Ivi, 32), nella quale trovino spazio e sviluppo l’iniziativa, l’imprenditorialità, la collaborazione. È necessario, per questo, salvaguardare i diritti delle persone, sui quali mi sono ampiamente soffermato nella “Centesimus Annus” (Ivi, nn. 6-9). È necessario incrementare le varie forme di partecipazione e di dialogo e riconoscere i ruoli propri di ognuno, riconducendoli a ragionevole complementarità. Nelle imprese piccole e medie ciò è indubbiamente più facile che nelle grandi, giacché queste ultime sono minacciate spesso dal rischio dell’anonimato e dell’alienazione.

“Cultura del lavoro” significa anche servizio, e non manipolazione dei consumatori. La comunità di lavoro di una azienda è tale, in effetti, se sa inserirsi armonicamente nella società civile, al cui servizio è finalizzata e rispondere ai bisogni reali della gente, senza crearne di illusori mediante le manipolazioni di certe forme scorrette di pubblicità.

“Cultura del lavoro” significa, infine, saper assumere una prospettiva etica comune da parte di imprenditori ed operai, non intendendo con ciò la codificazione di alcune regole generali del gioco, ma l’obbedienza alla verità dell’uomo che è immagine di Dio. Voi siete chiamati, così, a dar vigore a quell’anima religiosa veneta, che in passato è stata garanzia della qualità della vita e che oggi merita di essere rinsaldata e potenziata.

7. Carissimi Fratelli e Sorelle, la sfida a cui Vicenza si trova oggi di fronte è quella di offrire un contributo esemplare a questa “cultura del lavoro”. Voi potrete farlo se prevarrà sempre, in ogni aspetto della vostra programmazione politica ed economica, un atteggiamento di responsabilità e di solidarietà.

Continuate, per questo, ad essere accoglienti, aprite le vostre strutture agli immigrati, e sappiate sviluppare quelle virtù sociali, senza le quali si cade inesorabilmente nell’individualismo egoistico, nell’alienazione e nello sfruttamento. Ai fratelli, diversi per razza, cultura e religione, che vengono tra voi in cerca di lavoro, voi, cristiani vicentini, avete l’opportunità di restituire quanto hanno ricevuto da altri i vostri padri, un tempo emigrati a loro volta, e potete testimoniare il Vangelo dell’accoglienza e dell’amore. Gesù assicura il premio a chi accoglie il forestiero (Mt 25, 35). Sarà anche mediante tale integrazione che voi costruirete quella civiltà dell’amore evangelico, che prefigura in qualche modo già in questo mondo il futuro regno di Dio.

Vi auguro di aver sempre la forza di rendere operanti nella vita queste provvide ispirazioni del Vangelo e a questo fine invoco su di voi, sulle vostre famiglie e sulle vostre imprese, copiosi favori celesti.

Maria, che qui a Vicenza venerate con particolare devozione, vi protegga sempre. Di gran cuore anch’io tutti vi benedico.

Prima di lasciare il teatro “Olimpico”, Giovanni Paolo II aggiunge le seguenti parole.

Grazie per la vostra accoglienza. Devo dire che l’ambiente ci ispira più attenzione per la cultura come tale. Si è parlato molto di “cultura del lavoro” e ciò è molto giusto perché la cultura si esprime nel lavoro, perché il lavoro umano si esprime nella cultura e soprattutto nella cultura morale.

Ma questo ambiente ci ispira un altro aspetto della cultura, tutto quanto è proprio della scienza e dell’arte, luoghi dove si ricerca disinteressatamente il bene, il vero, il bello. Anche questa dimensione della cultura, che qui è tanto presente, ereditata dalle generazioni e dai secoli precedenti, deve essere promossa nell’ambiente dove ci troviamo e in questa città che ha tante tradizioni culturali accademiche, di ricerca scientifica, artistiche, teatrali. Tutto ciò è parte della vita umana, non ne è un’aggiunta, è un elemento costitutivo della vita umana: “genus humanum arte et ratione vivit”, diceva San Tommaso. Arte e ragione: anche il lavoro umano, se veramente umano, se esprime la cultura del lavoro, lo esprime grazie a quello che “genus humanum arte et ratione vivit”. Vi auguro di continuare con questi principi e vi ringrazio per la vostra accoglienza e per la vostra attenzione.

 



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