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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA ALLA MENSA
DELLA «CARITAS» DI COLLE OPPIO

Domenica, 20 dicembre 1992

 

Cari fratelli e sorelle!

1. Saluto e ringrazio tutti voi per la vostra calda accoglienza. Saluto in particolare il Cardinale Vicario Camillo Ruini e il Vescovo Ausiliare del Settore Centro, Mons. Filippo Giannini, che hanno voluto essere presenti a questo incontro. Una parola di riconoscenza rivolgo a Monsignor Luigi Di Liegro, direttore della Caritas diocesana e ai tanti Sacerdoti, Religiose e laici che prestano la loro generosa collaborazione per la realizzazione di molteplici e qualificate iniziative di carità a favore di quanti soffrono o si trovano in difficoltà. Tra tali opere di promozione umana e di servizio ai meno abbienti si distingue questa Mensa del Colle Oppio, che con il suo flusso di soccorso e di fraternità reca sollievo a un grande numero di bisognosi. Desidero altresì esprimere grato apprezzamento all’Imam Syed Ghulam Mustafa per la sua presenza all’odierno significativo incontro e per le sue espressioni deferenti e cordiali. Ringrazio coloro che hanno preso la parola e quanti hanno rallegrato questo momento di fraternità con le loro melodie tipiche ed espressive. Ringrazio le Autorità civili presenti e tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, frequentatori, collaboratori e sostenitori della Mensa del Colle Oppio.

2. È certo triste constatare che in un’epoca di generale benessere non poca gente anche in questa nostra Città soffre per mancanza di beni essenziali, come il cibo quotidiano, il tetto, il vestito, e ciò colpisce ancor più nel contesto di accresciuta dispendiosità delle feste natalizie e di fine d’anno. Vivono tra noi poveri italiani e di altre nazionalità. Molti di loro sono venuti da paesi vicini e lontani, attratti dalla prospettiva di un lavoro e di migliori condizioni di vita. Alcuni hanno potuto trovare accoglienza, un’occupazione e una decorosa sistemazione. Altri, meno fortunati, versano in condizioni di vera indigenza. Dinanzi a chi soffre non si può rimanere né indifferenti, né inattivi. I credenti, prima ancora di interrogarsi sulle responsabilità altrui, ascoltano la voce del divino Maestro, che li esorta a imitare il buon samaritano, il quale scese dal cavallo per soccorrere l’uomo attaccato dai briganti sulla strada da Gerusalemme a Gerico e per lui spese energie, tempo, denaro. Soprattutto gli offrì il suo cuore compassionevole (cf. Lc 10, 30-37). I cristiani sanno di essere chiamati a mettere in pratica l’insegnamento di Cristo: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).

3. È al perenne invito di Gesù all’amore che si fa servizio concreto al prossimo che si è ispirata la Caritas Diocesana, dando vita a questa Mensa Sociale del Colle Oppio e alle altre due di Ostia e Primavalle. Esse forniscono tutti i giorni dell’anno, compresi i festivi, pasti caldi ad alcune migliaia di persone, mirando non soltanto ad assicurare un indispensabile sostentamento materiale a quanti versano in difficili condizioni sociali, ma a creare attorno a loro un clima di accoglienza e di solidarietà, grazie anche alla collaborazione dei numerosissimi volontari e dei giovani in servizio civile. A sostenere le spese di tali provvide iniziative contribuiscono le istituzioni civiche regionali e comunali, alle quali va un sentito e grato apprezzamento. È, tuttavia, soprattutto la generosità della Diocesi, di molti fedeli e cittadini sensibili, a garantire la continuità e il potenziamento dei servizi caritativi.

4. Fratelli e sorelle carissimi, la lettura biblica proclamata poc’anzi parla di un banchetto preparato per tutti i popoli sul monte del Signore. È un simbolo della festa gioiosa che ci attende nella casa di Dio dopo questa vita, ma è anche un segno profetico del tempo messianico. Gesù è venuto a proclamare il Vangelo ai poveri, a quanti, consapevoli dei loro limiti, sentono di aver bisogno di aiuto dall’alto. Solo il povero in questo senso, chi non è orgoglioso e pieno di sé, può capire che le ricchezze di luce e di grazia ricevute da Dio domandano in cambio di offrire gratuitamente la propria esistenza agli altri. Si tratta per i credenti di un dovere individuale e insieme sociale. L’esempio viene dalla Chiesa delle origini, che si stringeva attorno agli Apostoli non solamente per ascoltarne la predicazione e celebrare l’Eucaristia, ma anche per esercitare con loro la carità. Portavano a tal fine i loro beni ai piedi degli Apostoli, perché venissero distribuiti ai poveri.

5. La Comunità ecclesiale di Roma, attraverso la Caritas e altre benemerite Associazioni realizza e gestisce in Città molteplici iniziative e progetti di promozione umana. Senza sminuire il valore di gesti generosi individuali, sempre quanto mai necessari, vorrei qui attirare l’attenzione dell’intera Diocesi sull’importanza degli impegni di carità comunitari, la cui efficacia dipende dall’adesione e dal contributo di tutti i fedeli. Un’opera come questa, ad esempio, che esprime la volontà della Chiesa romana di porre tra le sue opzioni primarie la scelta dei poveri – e tra i più poveri oggi sono da annoverare gli immigrati, talora clandestini o in esubero, impossibilitati a far valere persino i loro diritti fondamentali – s’inserisce nello sforzo dei credenti a favore di una reale crescita umana della nostra città.

Ed al riguardo tre sono le linee guida dell’impegno della Diocesi: rivendicare l’antica caratteristica di Roma come città accogliente e aperta, in coerenza con la sua storia cristiana; ripudiare ogni forma di razzismo e di xenofobia e trasmettere in permanenza un messaggio di rispetto e di accoglienza verso persone di culture e nazioni diverse; mobilitare le energie volontarie, così numerose e ricche, orientandole al servizio di quanti anagraficamente, ma non nella prospettiva della fede e della comune umanità, vengono chiamati “stranieri”. Vorrei dire di più: Roma cristiana intende sostenere una linea culturale che consideri gli immigrati non solo come poveri da accogliere, né soltanto cittadini di cui rispettare i diritti, ma come potenziali membri da integrare nella società, alla quale possono apportare energie nuove e contributi originali.

6. Carissimi fratelli e sorelle, il profeta Isaia ci ha ricordato che il Signore “strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti” (Is 25, 7). Il velo è un elemento che nasconde il viso e, se non toglie la vista di chi guarda, non lascia tuttavia vedere il volto autentico di chi è guardato. Questo velo che ci impedisce di vedere gli altri è spesso l’idea ristretta che di loro ci facciamo, è la somma delle paure e degli egoismi proiettata su di loro.

Il Bambino Gesù, di cui ci apprestiamo a commemorare l’ineffabile nascita, è venuto a liberarci. Egli ci rende capaci, se lo desideriamo, di scostare questo velo e guardare ogni individuo e ogni popolo con occhi nuovi, riconoscendo in loro i nostri fratelli.

Possa questo realizzarsi a Roma, in Italia, in Europa e nel mondo intero. È quanto domandiamo a Maria Santissima, “Salus Populi Romani”; è quanto invochiamo fiduciosi dal Redentore che viene a salvarci.

Con questi sentimenti porgo a ognuno di voi qui presenti e ai vostri familiari lontani cordiali auguri per le prossime Festività natalizie, mentre assicurando un particolare ricordo nella preghiera, tutti vi benedico.

Al termine dell’incontro, prima di visitare i locali della Mensa, Giovanni Paolo II si rivolge ancora ai presenti con queste parole di saluto e di augurio.

Manca ancora una parola: Buon Natale... È importante che ci prepariamo al Santo Natale, a questa Notte di Betlemme, a quanto è avvenuto una volta e ogni anno si rinnova. Qual è il senso di questa notte? Cosa vuol dire “Buon Natale”? Che cosa ci ha portato questo Povero? Lui era il “primogenito” tra i poveri, si è immedesimato con i poveri di tutto il mondo, con i poveri di tutti i tempi, con i poveri del nostro tempo, della fine del ventesimo secolo. E che cosa ci ha portato? Ha ricevuto doni, poveri doni, ma soprattutto ci ha portato un dono grande. Questo dono, appunto, si chiama “caritas”. La carità che ci consente sempre di vincere il male con il bene: non ci lascia vince re dal male, da qualsiasi male, ma ci fa vincere il male con il bene.

Io auguro a voi, “Caritas” romana, a tutti i presenti, ai collaboratori, a tutti i volontari, che in quest’opera siate quelli che vengono accolti, che ricevono. Auguro a tutti di ricevere, nella Notte del Natale, questo dono grande che il Figlio di Dio nato fra noi, nato uomo, fattosi uomo, ha portato per tutti i tempi e per tutti gli uomini, soprattutto per tutti i poveri. Questo dono si chiama “caritas”, la carità.

Buon Natale!

 

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