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VIAGGIO APOSTOLICO DI GIOVANNI PAOLO II
IN ANGOLA E SÃO TOMÉ E PRÍNCIPE

DISCORSO A «BRACCIO» DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE
 DELL’ANGOLA E DI SÃO TOMÉ E PRÍNCIPE

Luanda (Angola) - Domenica, 7 giugno 1992

 

Devo passare alla lingua italiana, perché per parlare così a braccio, non ho tanta esperienza della lingua portoghese. Volevo dire qualcosa che non sostituisce il discorso che avrebbe dovuto essere letto e che è stato trasmesso a tutti i membri della Conferenza. È un discorso piuttosto circostanziato.

Oggi è la festa di Pentecoste. Devo confessare che per questa grande solennità ho qualche rimorso di coscienza, perché alcuni dicono che la solennità è tanto importante quanto Pasqua e Natale e che il Papa dovrebbe celebrarla in San Pietro. In questo modo si diminuisce l’importanza della festività.

Io ho peccato dall’inizio, sin dal primo anno del mio Pontificato, il 1979, quando ho voluto e dovuto andare a celebrare la prima Pentecoste in Polonia. Non si poteva fare altrimenti, perché se si è potuto entrare nel Paese, si doveva mantenere il programma previsto e stabilito. La celebrazione di quella giornata, a Gniezno, la sede primaziale in Polonia, la culla della Chiesa del mio Paese, mi ricorda quella odierna, davanti alla folla a Luanda. Celebrando qui ho visto sempre più un legame. Ho celebrato la solennità della Pentecoste a Gniezno in un periodo in cui era tutto ancora fissato nei due blocchi: c’era il muro di Berlino e vigeva il “Trattato di Yalta”. Per la prima volta ho parlato della Pentecoste slava e ho citato tutti i popoli, cominciando dal mio, dove più di mille anni fa è arrivato Cristo, ed hanno ricevuto il battesimo storico. Tra questi era anche la Russia, o la “Rus’”. La Polonia ha ricevuto il battesimo nel 966 e la “Rus’” di Kiev nel 988, 22 anni dopo.

Naturalmente quell’omelia ha suscitato inquietudini e proteste, alcune da parte dei governanti. Era il 1979. Ma poi le cose sono andate come sono andate. Dal 1979 si è passati al 1989 e, finalmente, nel 1992, siamo qui. È lo stesso processo. I luoghi geografici sono diversi, ma è lo stesso sistema che programmava un ateismo ideologico. Dall’altra parte c’è la Chiesa, che non programma, ma che segue la Parola di Dio, segue le promesse di Cristo. Celebrando oggi l’Eucaristia che concludeva il V Centenario dell’evangelizzazione dell’Angola mi sono sentito molto commosso, a causa di questo legame che è insieme storico e personale, perché tutto ciò tocca anche questo povero Papa.

In questo processo si trova anche la Madonna di Fatima. È un’altra data, un altro luogo geografico, ma è lo stesso mistero e la stessa storia europea, e non solo. È la storia della salvezza, che passa attraverso il suo Cuore immacolato così come a Fatima. Volevo dirvi questo. Il discorso che vi ho lasciato lo potrete leggere, ma queste sono le cose personali e forse ancora più spirituali e più profonde. Non potevo non dirvele, perché ho vissuto tutto questo durante la celebrazione. Vedendo tutto questo ho pensato a Gniezno e a tutto il processo che si è svolto in questi tredici anni, dal 1979 al 1992. Questo ci porta una consolazione. Ci fa capire che c’è una guida dei popoli. Che c’è una Provvidenza e che c’è anche la Madre di Cristo che in questo processo ha ottenuto una missione speciale, sotto la Croce, come oggi. “Ecco tuo Figlio”. L’unico Figlio che rappresenta diverse generazioni, diversi Paesi, diverse epoche, diverse razze, diversi Continenti. Devo dirvi alla fine che la celebrazione era molto bella, molto dignitosa. Grazie a Dio, abbiamo ancora l’Africa, dove la liturgia è così profondamente e spontaneamente vissuta. Quest’Africa che si voleva che digerisse il cosiddetto “veleno hegeliano”. Ma in Africa pochi sanno chi era Hegel. Forse più vicino era Cartesio. Si voleva che digerisse questa ispirazione cartesiana. Ma grazie a Dio, non è stato così. È rimasta africana, è rimasta angolana. Dentro questa sua identità, è rimasta cristiana e speriamo che sarà sempre più cristiana.

Così si vede anche la dimensione propria della giornata di oggi, della Pentecoste. Quando gli Apostoli parlavano le diverse lingue, tutti sentivano che parlavano le loro lingue. Anche gli angolani avrebbero sentito la loro lingua. È arrivato il tempo, il momento, è arrivato il “kairós”. Gli angolani hanno sentito la loro lingua nel Cenacolo, nella giornata di Pentecoste. Vi ringrazio per questo invito. Forse dovrò correggermi. Non farò più queste visite nella festività di Pentecoste, per essere più al servizio della Santa Sede e di San Pietro, dove affluiscono i pellegrini. Oggi ho trovato una risposta, perché la Pentecoste è solennità dove comincia un grande movimento, un grande dinamismo. Forse questo spiega perché il Papa ha celebrato la sua prima Pentecoste a Gniezno e la quattordicesima a Luanda. Così si vede come la Chiesa è sempre in cammino.

 



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