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INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON IL CLERO ROMANO PER L
’INIZIO DELLA QUARESIMA

Giovedì, 25 febbraio 1993

 

Il Sinodo romano sta vivendo la sua ultima fase, o forse la penultima. Da quando esso è cominciato ci siamo sempre interessati ed informati anche a proposito del suo svolgimento. Si è visto come il Sinodo sia uscito dalla realtà parrocchiale e si sia esteso a tutti gli altri settori della realtà ecclesiale di Roma, per arrivare al confronto con i problemi direi extraecclesiali, quelli che appartengono alla identità di Roma, identità storica, culturale, sociale, socio-economica, ecc. Adesso è entrato nella fase della sintesi definitiva. Il Sinodo certamente, non deve solo analizzare e descrivere: alla fine deve darci un progetto, dottrinale e pastorale insieme, per il futuro.

Devo dire che con grande interesse ho ascoltato queste sintetiche relazioni che hanno portato in questa nostra assemblea, i contenuti, le problematiche ed anche l’atmosfera dei diversi Circoli Minori sinodali, che ora lavorano in vista della preparazione del Documento finale. Questo è il ritmo dei Sinodi svolti ai diversi livelli: dal Sinodo dei Vescovi a quelli diocesani, provinciali o nazionali che si svolgono nella Chiesa. E devo dire che se ne fanno molti. Lo posso costatare parlando con i Vescovi di tutto il mondo.

Dopo il Concilio il movimento sinodale si è molto intensificato. E una cosa comprensibile perché tra Concilio e Sinodo c’è identità, l’identità della natura anche se c’è una diversità di livelli.

Tutto quello che si fa ora nei Circoli Minori, è molto interessante perché è ancora più denso, più esistenziale, più progettuale: non solamente analitico dunque ma anche progettuale. Suscita progetti per il futuro della Chiesa in Roma. Le relazioni che ci hanno presentato i 6 confratelli in questo incontro ci hanno detto molto. Naturalmente la ricchezza degli incontri dei Circoli Minori penso che sia ancora più grande di quella che è possibile esprimere in una relazione. Ma già queste relazioni ci hanno offerto una testimonianza di cosa siano veramente questi Circoli Minori e di quale lavoro svolgano. Anche nel Sinodo dei Vescovi la fase più costruttiva è quella dei Circoli Minori, dei Circoli linguistici. Ma nel Sinodo Romano non ci sono Circoli linguistici perché tutti parlano italiano. Anche i musulmani che abitano qui. In questo momento voglio ringraziare Monsignor Clemente Riva per l’informazione che ci ha dato a questo proposito, sui musulmani, sulla moschea, ecc. Queste informazioni corrispondono anche ad un grande problema, un problema mondiale, un problema culturale, un problema religioso a cui il Concilio Vaticano II ci ha aperto e dobbiamo vedere bene anche le strade in questa direzione.

Allora come prima cosa ringrazio per queste relazioni, ed anche per le altre voci in questa discettazione odierna. Vorrei poi fare una constatazione, per me molto importante. Io nella mia esperienza in Polonia, a Cracovia, ho costatato, prima ho provato e poi ho costatato, che probabilmente un Sinodo è il modo migliore, il mezzo migliore per attuare il Concilio, attuare la Chiesa nella sua tappa postconciliare. Perché tutto quello che è stato il Concilio è rimasto nei documenti. Ma non può rimanere nei documenti. Deve diventare la vita della Chiesa, deve diventare l’esistenza della Chiesa. Il modo più opportuno e più efficace per diventare vita, realtà vissuta della Chiesa è probabilmente il Sinodo. Sinodo, come dice la parola stessa, è camminare insieme, incontro. E se ci sono tanti Sinodi nella Chiesa oggi, in tante diocesi, in tante province, su tanti argomenti ciò testimonia la stessa constatazione: il Sinodo è probabilmente il modo più efficace per attuare, per rendere vivo quello che ha stabilito il Concilio Vaticano II, come magistero. Io penso che oltre a questa constatazione generica ve ne sia un’altra più specifica. Io mi ricordo, non posso mai dimenticarlo, che il primo Sinodo che ho convocato nella mia vita dopo il Concilio, abbastanza presto, a Cracovia è stato dovuto ad una iniziativa dei laici. Essi hanno rivolto una domanda al loro Vescovo, che per alcuni era stato anche un collega degli studi universitari: “Ecco, il Concilio è terminato. E adesso cosa faremo?”. Ascoltandoli ho intuito che essi chiedevano un Sinodo, un Sinodo diverso però da quelli che si facevano prima, un Sinodo pastorale con la partecipazione dei laici; una partecipazione larga ed efficace. Fu un’intuizione perché non c’era ancora una norma del Diritto Canonico in questo senso. Ma questa intuizione ha toccato il punto centrale dell’esistenza della Chiesa locale ed anche di quella universale. Se noi dobbiamo camminare insieme dobbiamo in questo cammino dopo il Vaticano II, dopo la “Lumen Gentium”, coinvolgere i nostri fratelli laici. Essi lo chiedono e non lo chiedono solo per un’ambizione. Lo chiedono per un motivo più profondo, per un motivo di fede perché vogliono che la Chiesa sia la nostra Chiesa, vuol dire anche la loro Chiesa, cioè non solo la Chiesa del Clero ma anche la Chiesa di tutto il Popolo di Dio. E, secondo le informazioni che molte volte mi danno i confratelli Vescovi, soprattutto quelli che stanno più vicini alla tappa sinodale di Roma, si vede che veramente questi laici hanno molto da dire, molto da proporre. Ma soprattutto si vede che amano la Chiesa, che in essa vedono una grande possibilità per loro di vivere meglio come persone, come famiglie, anche di vivere meglio come società. Vedono le crisi delle società e vogliono opporsi, vogliono creare situazioni contrarie a queste crisi, situazioni positive, quasi degli anticorpi nel corpo della società che è un po’ corrotto.

E qui veramente tocchiamo da vicino non solo quello che è la Chiesa vicina, ma quello che è la Chiesa nel mondo, Lumen gentium. La Chiesa che è sempre nel mondo. Ma come trasformare questo mondo?

Questo ce lo dicono in parte i nostri fratelli laici perché loro sono nel mondo. Anche noi siamo nel mondo, ma ci stiamo in un altro modo. Loro sono nel mondo con i suoi problemi mondani, terreni, e possono riferire questi problemi, possono presentarli, ma possono anche chiederne le soluzioni e presentarne le soluzioni. Questo è il terzo punto del quale volevo parlarvi. Il primo era l’importanza delle relazioni dei Circoli Minori, il secondo punto era una riflessione generale sul Sinodo postconciliare ed infine il terzo punto è l’impegno dei laici nel Sinodo romano ed anche il compito che essi hanno nel futuro della nostra Chiesa di Roma, un compito, una possibilità, una speranza.

Quando sono arrivato qui tra voi sono stato quasi tentato di salutarvi con una parola che ho imparato anni e anni fa; una parola in latino: “Parochus supra Papam”. Mi ricordo sempre questa parola perché è interessante; non è assolutamente uno scherzo, è anche una verità. Tutti facciamo Chiesa, tutti attraverso i nostri carismi, attraverso i nostri ministeri facciamo Chiesa, costituiamo il Corpo di Cristo; e allora il parroco nella sua comunità, ristretta o qualche volta già troppo grande, può conoscere più direttamente la Chiesa come porzione del popolo di Dio e la può modellare o meglio la può servire più da vicino. Naturalmente è necessario anche un Papa, come è necessario un Vescovo nella Diocesi per servire la comunità ecclesiale, che non è solamente parrocchia. Ma la parrocchia è in un certo senso il modello della comunità di base della Chiesa, il modello! Si cercano anche altri modelli, altre soluzioni, altre strade e giustamente perché sono utili anch’esse. Ma la parrocchia ed il parroco rimangono insostituibili. Allora ripeto: “Suscipe parochum supra Papam”. E all’inizio di questa Quaresima vi auguro quello che di vero c’è in questa locuzione “parochus supra Papam”. Vi auguro che sia così. Voglio ancora ringraziarvi per quello che ciascuno di voi, carissimi confratelli, fa in questa Chiesa di Roma, dove ci sono tante parrocchie, in numero sempre crescente, e forse ci sono possibilità e necessità di farne crescere ancora. Vi ringrazio soprattutto per le visite parrocchiali che posso fare, sono ben organizzate e in genere molto fruttuose. Queste mi lasciano vivere almeno una volta a settimana ed anche se parzialmente, la realtà di questa Chiesa di cui sono Vescovo ed anche sposo, anche se sono uno sposo troppo lontano. Ma anche per questo speriamo che “gratia supplet”. “Supplet”, grazie anche attraverso i miei collaboratori nel ministero episcopale di Roma, il Cardinale Vicario, l’Arcivescovo Vicegerente e tutti i Vescovi Ausiliari che fanno il lavoro pastorale per la Chiesa di Roma più direttamente. Grazie!

 

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