Index   Back Top Print

[ IT ]

VIAGGIO PASTORALE IN LITUANIA, LETTONIA ED ESTONIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI RAPPRESENTANTI DEL
MONDO ACCADEMICO E
DELLA CULTURA NELL
’ATENEO DELLA CAPITALE

Riga (Lettonia) - Giovedì, 9 settembre 1993

 

Illustri Signori, gentili Signore!

1. Come ieri al parco Meca, anche questa mattina al Santuario di Aglona, da dove rientro, ho incontrato numerosi rappresentanti del popolo lettone: giovani, lavoratori, famiglie, esponenti di ogni condizione ed età. Nelle loro voci, e soprattutto nella loro preghiera, ho avvertito il palpito di un popolo che ha sofferto e sperato, ed è oggi finalmente sulla strada di una convivenza libera e serena.

Quasi a conclusione della mia visita, ho la gioia di incontrarmi con voi, rappresentanti del mondo accademico e culturale; mondo a me particolarmente caro, essendo stato io stesso, per anni, docente universitario, impegnato come voi nell’esperienza esaltante della ricerca scientifica e in quella non meno suggestiva della formazione culturale dei giovani. Qui, dunque, nell’“Alma Mater Rigensis”, mi sento come di casa, e spero che così mi sentiate anche voi, gentilissimi nell’offrirmi la vostra amicizia, e nell’accogliermi in modo deferente e cordiale. Grazie!

Poche cose sono tanto decisive nella vita dell’umanità come il servizio del pensiero. Parlo di “servizio” nel senso più alto di questo termine, consapevole come sono di quanto sia ricorrente nella storia il tentativo del potere di “asservire” gli intellettuali e di quanto insidiosa sia per questi la tentazione di cedere a forme di comodo “servilismo”. Il “servizio del pensiero” a cui faccio riferimento è essenzialmente servizio alla verità. In forza di tale altissimo ed esigente ideale, l’intellettuale autentico, vero pellegrino della verità, è chiamato a svolgere la funzione di coscienza critica nei confronti di ogni totalitarismo o conformismo.

A questa sua vocazione critica non si oppone, evidentemente, la cordiale apertura alla società e ai suoi bisogni. Tale apertura è anzi indispensabile per evitare un narcisismo del pensiero, da cui facilmente deriverebbero chiusure e intolleranze ideologiche. Quante guerre sono scoppiate e quanto sangue s’è versato in nome di ideologie pensate a tavolino, e non sufficientemente umanizzate dal contatto vivo con gli uomini, con i loro drammi e i loro veri bisogni. Il pensiero è il più grande tesoro, ma anche il più grande rischio dell’umanità. Esso va coltivato con un atteggiamento che non esito a definire “religioso”: la ricerca della verità, infatti, anche quando concerne realtà limitate del mondo e della storia, rimanda sempre a un “di più” che sconfina nel trascendente, ed è dunque come l’atrio di accesso al Mistero.

2. Vi saluto con particolare stima e deferenza, illustri docenti e ricercatori di questa Università. Nel desiderio di stabilire con voi un dialogo su un tema di comune interesse, mi sia consentito di richiamare stasera la vostra attenzione su quel versante del pensiero cristiano che riguarda direttamente la società, e che pertanto va sotto il nome di “dottrina sociale”. Oso presumere che esso desti in voi una legittima curiosità scientifica ora che, nella nuova Lettonia, esso può essere liberamente trattato in questa Università.

Mi preme innanzitutto chiarire quello che la dottrina sociale della Chiesa non è e non vuole essere.

Non è innanzitutto una dottrina politica né tanto meno una dottrina economica. Nella visione della Chiesa, infatti, la sfera religiosa e quella politico-economica, pur avendo dei punti di contatto, rivestono un’intrinseca autonomia che occorre rispettare e promuovere. L’indicazione evangelica, a tal proposito, è categorica: “Date a Cesare quello che è di Cesare a e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22, 21). In ambito sociale, dunque, la Chiesa non si sente chiamata a proporre delle opzioni “tecniche”, che sono di competenza dello Stato o delle legittime istituzioni della società civile. Ugualmente lo Stato deve rispettare la missione specifica della Chiesa nella diffusione del Vangelo e nella formazione delle coscienze. Chiesa e Stato, tuttavia, in quanto a servizio degli stessi uomini hanno l’obbligo morale del dialogo e della mutua collaborazione.

La dottrina sociale cattolica non è inoltre un surrogato del capitalismo. In realtà, pur condannando decisamente il “socialismo”, la Chiesa, fin dalla Rerum novarum di Leone XIII, ha sempre preso le distanze dall’ideologia capitalista, ritenendola responsabile di gravi ingiustizie sociali (cf. Rerum novarum, 2). Nella Quadragesimo Anno Pio XI, per parte sua usò parole chiare e forti per stigmatizzare l’imperialismo internazionale del denaro (Quadragesimo anno, 109). Linea questa confermata anche nel magistero più recente, e io stesso, dopo il fallimento storico del comunismo, non ho esitato a sollevare seri dubbi sulla validità del capitalismo, se con questa espressione si intende non la semplice “economia di mercato”, ma “un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale” (Centesimus annus, 42).

La dottrina sociale della Chiesa non è, infine, una terza via tra capitalismo e comunismo. Essa infatti è essenzialmente “teologia” (cf. Sollicitudo rei socialis, 41), ossia un discorso che concerne il disegno di Dio sull’uomo e si interessa pertanto dell’economia e della politica non per valutarne gli aspetti tecnici e organizzativi, ma per metterne in luce le inevitabili implicazioni etiche. Suo compito non è disegnare un “sistema”, ma additare dei limiti invalicabili e suggerire dei percorsi possibili perché i vari progetti politici ed economici, formulati nella concreta storia dei popoli in rapporto a infinite variabili, siano degni dell’uomo e conformi alla legge morale.

3. Quali sono, allora, le linee portanti di questo messaggio?

Mi sia consentito presentarvi brevemente le indicazioni che ho offerto nella Centesimus annus, l’Enciclica con la quale ho inteso commemorare l’anniversario della Rerum novarum, e che è provvidenzialmente caduta all’indomani dello sgretolamento, del tutto sorprendente, del granitico sistema di potere costruito dal socialismo reale. Chi avrebbe potuto prevedere, solo alcuni anni fa, simile evento? Si è trattato di una svolta che ha avuto del prodigioso, nella quale è difficile non vedere la mano di Dio, Signore della storia e provvido Reggitore degli avvenimenti umani, in costante e misterioso dialogo con la libertà dell’uomo.

In realtà, le esigenze da cui tale sistema aveva preso storicamente le mosse, erano reali e gravi. La situazione di sfruttamento, a cui un inumano capitalismo aveva sottoposto il proletariato fin dai primordi della società industriale, rappresentava infatti una iniquità che anche la dottrina sociale della Chiesa apertamente condannava. Questa, in fondo, era l’anima di verità del marxismo, grazie alla quale esso ha potuto presentarsi rivestito di fascino nelle stesse società occidentali. Ma la soluzione proposta era destinata a fallire. Quando alla persona viene tolto il riferimento trascendente, essa diventa poco più che goccia in un oceano, e la sua dignità, per quanto sinceramente riconosciuta e proclamata, smarrisce la sua più solida garanzia. E così è potuto accadere che, in nome della “classe”, o di un presunto bene della società, le singole persone venissero oppresse o addirittura soppresse. Tragica esperienza che il nostro secolo ha più volte registrato, e che il futuro non dovrà dimenticare! “La negazione di Dio priva la persona umana delle sue radici e, di conseguenza, induce a riorganizzare l’ordine sociale prescindendo dalla dignità e dalla responsabilità della persona” (Centesimus annus, 13).

4. Di qui il primo punto fermo della dottrina sociale della Chiesa, da cui tutti gli altri discendono: l’ordine sociale ha come fulcro l’uomo, colto nella sua inalienabile dignità di creatura disegnata ad “immagine di Dio”. Dal valore dell’uomo discende il valore dalla società, e non viceversa.

Una tale affermazione non va tuttavia interpretata come se l’individuo e la società stessero in contrapposizione. Al contrario, l’uomo è strutturalmente un essere relazionale. Se la sua prima e fondamentale relazione è quella con Dio, imprescindibile e vitale è anche il rapporto dell’uomo con i suoi simili. Tale oggettiva interdipendenza si eleva alla dignità di una vocazione, diventando chiamata alla solidarietà e all’amore, ad immagine di quelle sublimi e ineffabili relazioni che, secondo la rivelazione cristiana, caratterizzano la vita intima del Dio uno e trino.

Scaturisce da questa visione dell’uomo una giusta visione della società. Centrata sulla relazionalità della persona umana, essa non può essere concepita come una massa informe, che finisce per essere assorbita dallo Stato, ma va riconosciuta come un organismo articolato, “che si realizza in diversi gruppi intermedi, cominciando dalla famiglia fino ai gruppi economici, sociali, politici e culturali che, provenienti dalla stessa natura umana, hanno – sempre dentro il bene comune – la loro propria autonomia” (Centesimus annus, 13).

5. Sulla base di tale principio si comprendono le istanze additate dalla dottrina sociale della Chiesa come irrinunciabili in qualunque progetto di Stato, di economia e di società: – la destinazione universale dei beni, espressione del comune dono di Dio e della solidarietà che deve caratterizzare i rapporti tra gli uomini; – la legittimità della proprietà privata, vista anche nella sua funzione sociale, quale condizione dell’indispensabile autonomia personale e familiare; – il riconoscimento dell’importanza del lavoro, a partire dalla dignità del soggetto umano che lo compie, che non può essere mai ridotto a merce o a semplice anello di un congegno produttivo; – la promozione di un’ecologia umana, implicante il rispetto di ogni essere umano dal concepimento al suo naturale tramonto, come base per una autentica “ecologia cosmica”; – una concezione equilibrata dello Stato, che ne sottolinei il valore e la necessità, ma al riparo da ogni pretesa totalitaria; uno Stato concepito dunque come servizio di sintesi, di tutela, di orientamento della società civile, nel rispetto di essa, della sua iniziativa e dei suoi valori; Stato di diritto e insieme Stato sociale! che offra a tutti le garanzie giuridiche di un ordinata convivenza e assicuri ai più deboli il sostegno di cui hanno bisogno per non soccombere alla prepotenza o all’indifferenza dei forti; – il valore della democrazia intesa come gestione partecipativa dello Stato, attraverso specifici organi di rappresentanza e di controllo, a servizio del bene comune; una democrazia che, al di là delle sue regole, abbia soprattutto un’anima, costituita da quei valori fondamentali senza dei quali essa “si trasforma facilmente in totalitarismo, aperto o subdolo” (Centesimus annus, 46).

6. Anche solo da queste sintetiche indicazioni, è facile notare, illustri Signori, come la dottrina sociale della Chiesa non concerne tanto le concrete espressioni organizzative della società, quanto i principi ispiratori che la devono orientare, perché essa sia degna dell’uomo.

Per questo, il ruolo che la Chiesa rivendica per sé, rispetto allo Stato e alla società in cui si colloca, non è un ruoto di potere né tantomeno di privilegio, ma di testimonianza, rivolta soprattutto all’ambito della formazione dell’uomo ai valori supremi dell’esistenza. Ciò che più le preme è l’annuncio del Regno di Dio che ha certamente una dimensione escatologica e trascendente, ma impegna anche ad edificare il mondo secondo il disegno di Dio (cf. Gaudium et spes, 39).

Ed è su questo versante che la Chiesa sente profondamente l’urgenza del dialogo con voi, Uomini della cultura.

Tale dialogo deve contraddistinguere ovviamente innanzitutto i cristiani, che condividono una stessa speranza e sono portatori dell’unico messaggio di Cristo. Purtroppo, dolorose circostanze storiche hanno prodotto anche tra di loro delle divisioni, che lo sforzo ecumenico sta cercando di superare.

Possa il vostro Centro accademico diventare una fucina di ecumenismo culturale, si da favorire il dialogo tra i credenti e il loro incontro con gli uomini di buona volontà. Tale auspicio mi sembra particolarmente avvalorato dal fatto che l’Università, nella quale già è presente una prestigiosa Facoltà di Teologia luterana, si dispone ad accogliere una Facoltà di Teologia cattolica. Quale eccezionale opportunità di contatto e di dialogo! Come non sperare grandi frutti di maturazione del pensiero, non solo a vantaggio di una sempre più profonda comunione ecclesiale, ma anche a servizio della promozione integrale degli uomini e della società.

Gentili Signori, non c’è dubbio che stiamo vivendo una svolta epocale. Abbiamo alle nostre spalle sanguinose e inaudite tragedie, dalle quali siamo miracolosamente usciti, senza però essere approdati a quel mondo di pace che tutti auspichiamo. Viviamo anzi un passaggio delicatissimo della storia europea e mondiale, turbata da assurdi conflitti, in uno sfondo planetario segnato da mille contraddizioni. Nessuno di noi è in grado di prevedere il futuro. Sappiamo però che il mondo sarà quale noi lo vorremo. A tale comune espressione di responsabilità, noi cristiani vogliamo dare il contributo della nostra salda speranza, fondata sulla certezza che l’uomo non è solo, perché Dio “ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio Unigenito” (Gv 3, 16). È un Dio Padre ed Amico, che, nonostante l’apparente silenzio, si è fatto compagno di strada dell’uomo.

Grazie, dunque, illustri amici, della vostra cordiale accoglienza. Possa oggi cominciare per la Lettonia un grande cammino di dialogo tra Chiesa e cultura, e ne tragga la vostra Patria motivo di speranza e di fiducia per la costruzione di un futuro di libertà e di pace. È questo l’auspicio che nel mio cuore si trasforma in ardente preghiera.

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana