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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL 96° CONGRESSO NAZIONALE
DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI CHIRURGIA

Martedì, 18 ottobre 1994

 

1. Do il mio cordiale benvenuto ai partecipanti al Congresso della Società di Chirurgia, riuniti a Roma per affrontare i temi più attuali e gli aspetti più dibattuti e controversi di questo fondamentale campo della medicina che, per gli attuali straordinari progressi, abbraccia gli ambiti della prevenzione, della diagnostica, della terapia e della stessa riabilitazione.

Un particolare saluto all’illustre e chiarissimo Professor Francesco Crucitti, Presidente del Congresso, e a quanti hanno collaborato per la migliore riuscita di questo incontro di studio e di aggiornamento.

2. Per le nuove scoperte e per il quotidiano confronto con le tecnologie più sofisticate, la professione del chirurgo, specialmente nel settore dell’oncologia, sta evolvendo verso inediti traguardi. Il chirurgo, oltre che avvalersi di nuovi e sempre più efficaci metodi di intervento, può contare sulla convergente e contestuale collaborazione di altri specialisti, come il radioterapista, il chemioterapista e l’immunoterapista, il cui apporto è spesso di decisiva rilevanza.

Le conquiste e le sempre più promettenti acquisizioni della scienza e della tecnica, mentre richiedono al chirurgo continuo aggiornamento e più responsabile preparazione professionale, gli consentono di venire incontro sempre più efficacemente alla speranza di vita dei pazienti, suscitandone la crescente fiducia nelle attuali possibilità terapeutiche.

La vostra esperienza, tuttavia, vi insegna che la fiducia riposta in voi dal paziente non è soltanto fiducia nella scienza, ma è anche affidamento alla vostra umanità e sensibilità. Il poter infatti disporre di strumenti sempre più efficaci a vantaggio di chi soffre di gravi malattie e si vede costretto a confrontare la propria debolezza con le possibilità terapeutiche offerte dalla scienza, è motivo altissimo e nobilissimo per imprimere all’esercizio della vostra professione una dimensione di generosità e di dedizione pari alla sfida della speranza riposta in voi.

3. Come ebbi a ricordare in occasione di un precedente Congresso promosso dalla benemerita Società di Chirurgia, la vostra professione è anche una missione e, come tale, richiede disponibilità al sacrificio, forza nelle difficoltà, umiltà intellettuale aperta alla collaborazione di chi è associato al vostro lavoro.

Il vostro incontro di uomini e donne di scienza e di prassi è sempre con la persona umana, che consegna nelle vostre mani il suo corpo, fidando nella vostra competenza, oltre che nella vostra sollecitudine e premura. Quella che voi trattate è la misteriosa e grande realtà della vita di un essere umano, con la sua sofferenza e con la sua speranza (cf. Giovanni Paolo II, Ai partecipanti al Congresso di chirurgia, 19 febbraio 1987: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X/1 [1987] 374, n. 2).

L’umanizzazione della medicina non costituisce una disciplina a se stante. Essa è piuttosto il cuore, l’anima di un esercizio della scienza capace di non mandare inascoltata e delusa la più intensa implorazione di aiuto che sale da un essere umano.

Il vostro impegno sia pari alla fiducia riposta in voi. A questa fiducia, infatti, siete chiamati a rispondere attraverso l’ascolto del paziente, la diagnosi non soltanto della sua infermità specifica, ma della sua condizione psicologica, delle sue attese, delle sue capacità di collaborare con voi. Consapevoli di essere cercati con speranza da coloro che soffrono, andate incontro alla loro domanda di vita e di migliore qualità della vita con quella passione e quella humanitas che, in ogni tempo, hanno sempre accompagnato la figura e l’attività del medico.

4. Nessuno meglio di voi, tuttavia, conosce anche i limiti invalicabili della scienza e della tecnica di fronte all’aggressione dell’infermità. Perciò, come il luogo di ricovero e di cura è tempio di speranza e di preghiera per chi vi è ospite in attesa di terapia e di guarigione, così sia vostro atteggiamento interiore l’apertura al sostegno che può venirvi da Colui che “passò beneficando e risanando” (At 10, 38) quanti incontrava nel suo cammino.

Per misterioso disegno divino, ho conosciuto la prova e la grazia di condividere la condizione dei pazienti, vivendo come loro e in mezzo a loro. Sono quindi lieto di avere oggi l’occasione per esprimere a voi tutti i sentimenti del mio apprezzamento e della mia gratitudine per il dono quotidiano che voi elargite a chi soffre.

Considerate preziosa la vostra professione di chirurghi e impareggiabile il dono di essere servitori della vita in coloro che la sentono minacciata e compromessa.

Uomini di scienza, siate testimoni della vera scienza, la quale non si esaurisce nella conoscenza, ma, attraverso il servizio all’uomo, approda alla giustizia e all’amore. È questa, infatti, la più profonda e vera domanda che sale dal cuore di ogni uomo ed è anche la più preziosa e nobile risposta che l’uomo può offrire al suo prossimo.

Nell’auspicare i migliori risultati ai vostri lavori, imploro su di voi, sulle vostre famiglie e su quanti con voi collaborano l’abbondanza dei divini favori, in pegno dei quali vi imparto volentieri l’apostolica benedizione.

 

© Copyright 1994 -  Libreria Editrice Vaticana

 



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