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 VISITA PASTORALE A TRENTO
INCONTRO DI PREGHIERA IN DUOMO PER LA COMMEMORAZIONE
DEL 450° ANNIVERSARIO DEL CONCILIO DI TRENTO
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Trento - Domenica, 30 aprile 1995

 

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. “Quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!” (Sal 133, 1). Le parole del salmo esprimono efficacemente la letizia di questo incontro che vede riunite in Cattedrale le componenti più significative della Chiesa trentina e gli eredi di quel popolo fedele che accompagnò e sostenne con entusiastica e pia partecipazione i Padri Conciliari in tutte le fasi della celebrazione del Concilio di Trento.

Vi saluto tutti con affetto. Voi siete figli di una grande tradizione religiosa, che trae origine dal sangue dei martiri Sisinio, Martirio ed Alessandro, dallo zelo del Vescovo Vigilio, prodigatosi fino al supremo sacrificio per recare alle genti trentine il prezioso patrimonio della fede, come pure dalla luminosa testimonianza del beato Giovanni Nepomuceno de Tschiderer, nonché di altre grandi figure di santi e di missionari, vanto di questa terra e della Chiesa tutta.

Rivolgo il mio saluto particolare al Pastore di questa Arcidiocesi, Mons. Giovanni Maria Sartori. Con lui rendo omaggio al venerato Fratello nell’Episcopato Alessandro Maria Gottardi, per lunghi anni Pastore di questa Chiesa, e ai Vescovi del Triveneto qui convenuti.

2. Oggi facciamo memoria di un grande evento della storia della Chiesa: ricordiamo quel Concilio, che dalla città di Trento prende nome, proprio perché in questa Cattedrale ebbe inizio 450 anni or sono, il 13 dicembre 1545, e qui celebrò i suoi momenti salienti. Di tale straordinario avvenimento, durato ben 18 anni, vogliamo innanzitutto rendere grazie a Dio che, nonostante le incertezze degli uomini e le oggettive difficoltà dei tempi, offrì alla sua Chiesa una inestimabile occasione di grazia e di religioso rinnovamento.

Di fronte alla crisi spirituale ed ecclesiale dei primi anni del ‘500, la Chiesa a Trento seppe trovare il coraggio della fedeltà alla Tradizione apostolica, lo slancio di un rinnovato impegno di santità, la forza per un autentico rilancio pastorale, sicché non si esagera affermando che quel Concilio ha segnato e plasmato un’intera epoca della Chiesa e continua ancora oggi a produrre benefici effetti.

Convocato per avviare la riforma all’interno della Chiesa ed insieme per chiarire fondamentali questioni dogmatiche oggetto di controversia, il Concilio non perse mai la speranza di poter sanare l’aspro dissidio che si era determinato in seguito alla Riforma protestante. La sede stessa del Concilio, questa Città di Trento compresa nell’impero di Carlo V, era stata scelta “per facilitare l’incontro, per fare da ponte, per offrire l’abbraccio della riconciliazione e dell’amicizia” (Discorso di Paolo VI alla Chiesa Tridentina, Insegnamenti di Paolo VI, II [1964] 157). Purtroppo per il momento non si poté fare altro che constatare la divisione. Ma la tensione al ristabilimento della piena comunione non sarebbe mai venuta meno, ed oggi, dopo le grandi indicazioni ecumeniche del Concilio Vaticano II, è sentita come una priorità pastorale della Chiesa.

3. Ad un sereno sguardo retrospettivo, il Concilio Tridentino si presenta come la grande risposta della fede cattolica alle sfide della cultura moderna ed agli interrogativi posti dai Riformatori. Attraverso la sua opera di chiarificazione dogmatica e di rilancio pastorale, esso tracciò le grandi vie della Chiesa per i secoli successivi, favorendo così quell’autentico umanesimo cristiano, che avrebbe portato non pochi frutti nella cultura, nell’arte, nella vita religiosa e sociale.

Determinante fu, certamente, per lo svolgimento dell’assise conciliare l’iniziativa dei miei venerati Predecessori: la prudenza e la fermezza di Paolo III nel volere il Concilio, la tenacia di Giulio III nel tessere la tela tra i principi e le varie componenti ecclesiali, la concretezza operativa di Pio IV nel promuoverne la positiva conclusione, e poi lo zelo di Pio V, Gregorio XIII, Sisto V nel curare l’attuazione dei decreti conciliari, costituiscono altrettante componenti del “successo” dello storico evento.

E come non ricordare anche la solerte intraprendenza dei legati pontifici, grandi uomini di Chiesa ed esperti politici, nel favorire lo sviluppo di un’opera insidiata continuamente da più parti? Doverosa è pure la menzione dei contributi rilevanti di Vescovi e teologi sapienti, in specie dei dotti e pii Cardinali Seripando ed Hosio, degli abili Cardinali Madruzzo, Vescovo di Trento, e Morone e dello stesso infaticabile san Carlo Borromeo. Sono tutte “chiavi di lettura” necessarie per capire ciò che allora avvenne; ma la spiegazione esaustiva dell’evento conciliare deve essere ricercata nell’iniziativa amorevole di Dio, che volle essere accanto alla sua Chiesa per sostenerla in un momento particolarmente grave della sua storia.

4. Numerosi erano infatti i problemi che agli albori del XVI secolo, affliggevano la Chiesa, rendendo urgente una profonda riforma. In particolare, la riflessione teologica accusava ritardi di fronte ai grandi interrogativi, intellettuali e religiosi, che fermentavano la cultura del tempo, ed offriva in tal modo il fianco all’errore dottrinale.

In così preoccupante contesto, il Tridentino ripropose la dottrina cattolica in maniera precisa ed inequivocabile. Era una chiarificazione dogmatica che, in più di un caso, non si limitò a ristabilire la verità negata, ma valorizzò anche, riportandole nell’alveo cattolico, significative istanze messe in luce dalla Riforma protestante. Così, ad esempio, la preoccupazione per la salvaguardia dell’assoluto primato della grazia di Dio e della sua opera in ordine alla salvezza dell’uomo aveva indotto i Riformatori ad una problematica reinterpretazione del ruolo dell’uomo religioso e della Chiesa. Il Concilio apprezzò e raccolse questa indicazione e illustrò, a sua volta, con ampio ricorso alle fonti bibliche e con un linguaggio alto e profondamente religioso l’opera di Dio e il ruolo salvifico della fede. Nel medesimo tempo, sottolineò gli effetti di obiettivo risanamento prodotti dalla grazia divina e fece appello alla responsabile cooperazione dell’uomo nell’assecondare l’opera di Dio.

In tal modo, con il Decreto sulla Giustificazione – una delle acquisizioni più preziose per la formulazione della dottrina cattolica – il Concilio intese salvaguardare nel processo della giustificazione dell’uomo peccatore il ruolo da Cristo assegnato alla Chiesa e ai suoi sacramenti.

5. Altro frutto importante del Concilio, che investe in maniera centrale e decisiva la vita di fede del popolo cristiano, è il Decreto sull’Eucaristia.

Di fronte ad una prassi a volte poco illuminata, che aveva offerto ai Riformatori l’occasione per porre in discussione il valore della Messa come sacrificio, il Concilio seppe formulare una teologia dell’Eucaristia che ci appare ancor oggi sorprendentemente perspicua: nella XXII sessione i Padri di Trento affermarono che nel mistero eucaristico è “ripresentato” in modo mirabile il sacrificio della Croce, consumato una volta per sempre sul Calvario. Di quell’unico sacrificio la Messa è perenne ed efficace memoriale e ne applica la virtù salutifera in remissione dei peccati.

A monte e a garanzia del realismo sacrificale della Messa, il Concilio, in una precedente sessione, la XIII, aveva sottolineato con espressioni precise ed inequivocabili (“vere, realiter, substantialiter”) la realtà della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche del pane e del vino: presenza che non contraddice, ma integra, sublima e porta a compimento le altre modalità di presenza vera di Cristo.

6. Alle formulazioni dogmatiche sull’Eucaristia è intimamente e organicamente legata la dottrina sul ministero ordinato: nel proclamarne l’origine divina, il Concilio ne illustra la natura di sacramento, voluto da Cristo come componente essenziale della sua Chiesa. In virtù della sacra Ordinazione, il battezzato è assunto tra i membri della comunità e costituito per agire “in persona Christi” a servizio dei fratelli.

Nella XXIII sessione viene tracciato il profilo del ministro ordinato: escludendo che i suoi compiti si possano ridurre al solo ministero di predicare il Vangelo, si ribadisce che nel Nuovo Testamento esiste un sacerdozio visibile ed esteriore, con poteri di consacrare e di offrire il vero corpo e sangue del Signore e di rimettere o ritenere i peccati.

7. All’impegno di chiarificazione dogmatica il Concilio Tridentino unì quello di grande rilancio della dimensione pastorale della Chiesa. Anzi, esso fuse in mirabile sintesi le due esigenze, proponendo, soprattutto per la decisa volontà dei Sommi Pontefici, la fedele adesione alla Verità rivelata come condizione indispensabile per una pastorale adeguata e per una autentica riforma della Chiesa.

Furono così create le condizioni perché l’interiore vitalità della grazia potesse emergere, contribuendo a rinnovare il volto della Sposa di Cristo. Ai Padri Conciliari stava soprattutto a cuore promuovere nella Chiesa un degno esercizio del ministero, sottolineandone le caratteristiche genuinamente pastorali a tutti i livelli. Questa era, infatti, la vera emergenza nella Chiesa del tempo e la sua più impellente urgenza. A tanto miravano le lunghe discussioni sull’obbligo di residenza per i Vescovi, che occuparono un notevole spazio nelle sessioni conciliari. Era convinzione comune che solo da ministri degni, preparati, e intimamente e concretamente dediti alla cura della anime, sarebbe scaturita la riforma del corpo ecclesiale. Raccogliendo anche gli stimoli provenienti dai Riformatori, l’Assise conciliare presentò nelle Sessioni V e XXIV la praedicatio evangelii come praecipuum episcoporum munus. Veniva così ricollocato al centro della pastorale ordinaria l’annuncio della parola di Dio nelle forme della predicazione e della catechesi, come elemento essenziale e rivitalizzante della fede e della devozione del popolo cristiano.

8. Al fine di una adeguata formazione dottrinale e pastorale dei sacerdoti, il Concilio si preoccupò di istituire i seminari. E questo costituì un’autentica svolta nella vita e nella prassi della Chiesa. I Padri erano ben convinti che il progresso della comunità cristiana è impossibile senza l’opera di sacerdoti zelanti, formati sia intellettualmente che moralmente.

Non minori risvolti pastorali ebbero nel Concilio tridentino i decreti sui sacramenti. Oltre che frenare il disordine allora presente nell’ambito della liturgia, il Concilio si preoccupò di dare unità, verità e dignità alle celebrazioni liturgiche, per offrire un efficace servizio alla Comunità riunita in preghiera.

L’influsso del Concilio travalicò gli stessi confini della Chiesa e si pose come fattore determinante di civiltà in Europa e, mediante la grande espansione dell’attività missionaria, nel resto del mondo. I Padri di Trento, pur sensibili ai fermenti positivi che accompagnavano la nascita dell’evo moderno, indicarono nel ritorno alle radici cristiane della cultura la condizione necessaria per costruire un autentico umanesimo. Per questo può dirsi con verità che a Trento furono poste premesse decisive per quell’“umanesimo cristiano” a cui attinsero un Filippo Neri, un Pietro Canisio, un Francesco di Sales, e tante altre splendide figure di testimoni di Cristo, che così larga messe di bene seppero suscitare nella società del loro tempo.

9. Purtroppo tutto questo splendido patrimonio di verità e di iniziative pastorali non bastò a sanare la frattura che in quei decenni si era verificata in seguito alla “Riforma”.

Desiderosi di non compromettere ulteriormente la prospettiva della riunificazione, i Padri conciliari evitarono di inasprire la polemica con specifiche condanne personali, pur rigettando con fermezza le dottrine dei Riformatori là dove spezzavano la continuità della Tradizione e ne smarrivano dati essenziali.

Nello spirito ecumenico tanto sottolineato dal Vaticano II, ho incoraggiato negli anni scorsi lo sviluppo del dialogo con i fratelli, eredi della Riforma protestante. I risultati del Gruppo misto di teologi costituito da qualche anno, su alcuni temi nodali si sono rivelati davvero promettenti, e ci fanno nutrire la speranza che si possa pervenire ad ulteriori punti di convergenza sui temi per i quali non è stato ancora raggiunto un accordo sufficiente. Le affermazioni dogmatiche del Concilio di Trento conservano naturalmente tutto il loro valore. Ma un sereno approfondimento della verità rivelata, in obbedienza allo Spirito di Dio e in atteggiamento di reciproco ascolto, ci porterà sempre più vicini, rendendo le stesse incomprensioni del passato occasioni di crescita nella fede e nell’amore.

10. Carissimi Fratelli e Sorelle! In questa solenne commemorazione vorrei far giungere il mio incoraggiamento a quanti si dedicano, con sacrificio e passione ecumenica, alla indagine storica e teologica creando, nel dialogo ispirato ad una rigorosa ricerca della verità, le condizioni per il ritorno alla piena unità visibile di tutti i cristiani.

L’impegno per l’unità dei cristiani acquista particolare significato in vista della celebrazione del Giubileo del 2000, che deve essere una grande occasione per implorare dal Signore “che cresca l’unità tra tutti i cristiani delle diverse confessioni fino al raggiungimento della piena comunione”. L’evento sarà “l’occasione propizia di una fruttuosa collaborazione nella messa in comune delle tante cose che ci uniscono e che sono certamente più di quelle che ci dividono. Quanto gioverebbe in tale prospettiva che, nel rispetto dei programmi delle singole Chiese e Comunità, si raggiungessero intese ecumeniche nella preparazione e realizzazione del Giubileo: esso acquisterà così ancor più forza testimoniando al mondo la decisa volontà di tutti i discepoli di Cristo di conseguire al più presto la piena unità nella certezza che “nulla è impossibile a Dio” (Tertio Millennio Adveniente, 16).

11. Sulla nostra assemblea domina l’immagine austera e commovente del Crocifisso. Su questa antica immagine, che i Padri del Concilio Tridentino posero al centro delle loro sessioni e della loro preghiera, uno scultore credente lasciò scritto: “Solus Christus! Sola Gratia!”. Guardando questo volto dolce e sofferente siamo invitati a comprendere la vera misura della misericordia di Dio ed il senso ultimo della sua giustizia; siamo spinti ad assecondare la sua grazia, per cogliere nel cammino ecclesiale sempre e solo l’essenziale: l’avvento del Regno di Cristo, crocifisso e risorto per la nostra salvezza.

Di tale cammino ecclesiale i Concili costituiscono tappe importanti e provvidenziali. Quattrocentocinquant’anni or sono il Concilio Tridentino segnò l’avvio di un forte processo di rilancio spirituale e pastorale nella Chiesa. Analogamente il Concilio Vaticano II, vera “grazia di Dio e dono dello Spirito Santo” (cf. Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi a vent’anni dalla conclusione del Concilio, Relazione finale, n. 2), ha dato alla Chiesa del nostro tempo una rinnovata coscienza del suo mistero e della sua missione, imprimendo all’intera comunità una profetica spinta al rinnovamento in obbedienza alla parola di Dio, per meglio servire gli uomini e per portare ad essi più efficacemente l’annuncio del Vangelo.

Come nel secolo XVI la fedele attuazione delle dottrine conciliari fu all’origine dell’auspicato rilancio pastorale, così ora la fedele applicazione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II consentirà di offrire risposte adeguate alle problematiche emergenti nella nostra epoca, alla vigilia ormai del terzo millennio cristiano.

Maria, la Madre dell’unità e dell’amore, aiuti ciascuno ad assumere le proprie responsabilità nella Chiesa. Ci aiuti soprattutto ad accogliere Colui che regna dalla Croce, per essere sempre disponibili ad offrire al mondo il segno grande della piena comunione che nasce dall’Amore trinitario.

 



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