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VISITA PASTORALE A PALERMO

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA CHIESA ITALIANA PER LA CELEBRAZIONE
DEL III CONVEGNO ECCLESIALE

Palermo - Giovedì, 23 novembre 1995

 

1. “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5).

Confessiamo e rinnoviamo anzitutto la nostra fiducia nel Signore della storia, nel “nuovo” che viene da Dio e che salva il mondo. Questo nuovo è Gesù Cristo. Soltanto in Lui e a partire da Lui possiamo capire pienamente l’uomo, il mondo e anche l’Italia di oggi; possiamo orientarci a salvezza; possiamo trovare libertà, giustizia, senso e pienezza di vita, nel cammino verso la Patria dell’eternità.  

Una nuova tappa della “Grande Preghiera” del popolo italiano e per il popolo italiano

Saluto i Cardinali e i Vescovi italiani, i sacerdoti, i diaconi, le religiose e i religiosi, i laici, donne e uomini, giovani e anziani, convenuti a Palermo in rappresentanza di tutte le Chiese che sono in Italia. Saluto in particolare il Cardinale Presidente della CEI, Camillo Ruini, e il Cardinale Arcivescovo di Palermo, Salvatore Pappalardo. Ringrazio il Professor Giuseppe Savagnone che mi ha delineato sinteticamente la fisionomia del Convegno. Ringrazio tutti per il lavoro svolto, qui a Palermo e nel cammino di preparazione. Chiedo al Signore di condurre questa vostra Assemblea a conclusioni da cui possano scaturire sviluppi fecondi di bene per la Chiesa e la nazione italiana.

Viviamo l’intera giornata, l’incontro di stamane e l’Eucaristia del pomeriggio, come una nuova tappa della “grande preghiera” del popolo italiano e per il popolo italiano. Nel cammino verso il Giubileo del terzo millennio questa preghiera confluisce nella preghiera della Chiesa sparsa nel mondo, che attende e chiede un rinnovato incontro con il suo unico Signore e Redentore.  

Il nostro non è il tempo della semplice conservazione dell’esistente, ma della missione

2. È di un tale rinnovato incontro che l’Italia ha soprattutto bisogno. Questa nazione, che ha un’insigne e in certo senso unica eredità di fede, è attraversata da molto tempo, e oggi con speciale forza, da correnti culturali che mettono in pericolo il fondamento stesso di questa eredità cristiana: la fede nell’Incarnazione e nella Redenzione, la specificità del cristianesimo, la certezza che Dio attraverso il Figlio suo Gesù Cristo è venuto per amore in cerca dell’uomo (cf. Tertio Millennio Adveniente, 6-7). In luogo di tali certezze è subentrato in molti un sentimento religioso vago e poco impegnativo per la vita; o anche varie forme di agnosticismo e di ateismo pratico, che sfociano tutte in una vita personale e sociale condotta “etsi Deus non daretur”, come se Dio non esistesse.

Percepire la profondità della sfida non significa però lasciarsi dominare dal timore. Siamo convenuti a Palermo proprio perché convinti che a Cristo appartiene il futuro non meno del passato; siamo qui per dare, sulla base di questa certezza, nuovo impulso all’evangelizzazione. In Italia infatti la Chiesa, per grazia di Dio, continua ad essere viva – questo Convegno ne è un segno – e sta prendendo più chiara coscienza che il nostro non è il tempo della semplice conservazione dell’esistente, ma della missione. È il tempo di proporre di nuovo, e prima di tutto, Gesù Cristo, il centro del Vangelo. Ci spingono a ciò l’amore indiviso di Dio e dei fratelli, la passione per la verità, la simpatia e la solidarietà verso ogni persona che cerca Dio e che, comunque, è cercata da Lui.

Sappiamo bene però che agente principale della nuova evangelizzazione è lo Spirito Santo: perciò noi possiamo essere cooperatori nell’evangelizzazione solo lasciandoci abitare e plasmare dallo Spirito, vivendo secondo lo Spirito e rivolgendoci nello Spirito al Padre (cf. Rm 8, 1-17). La sequela di Cristo anteposta ad ogni considerazione umana, la lode e il rendimento di grazie a Dio, la penitenza e la conversione del cuore e della vita sono dunque la condizione base per la Chiesa della nuova evangelizzazione, che pone la propria fiducia non in se stessa o nei mezzi terreni ma nella presenza e nell’azione del Signore. Di un tale atteggiamento osserviamo con gioia non pochi segni nelle parrocchie e nelle associazioni e movimenti, nelle comunità religiose, nelle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata attiva e contemplativa.  

Le esigenze della verità e della moralità non umiliano e non annullano la nostra libertà

3. Se la comunione con Dio è la fonte e il segreto dell’efficacia dell’evangelizzazione, la cultura è un terreno privilegiato nel quale la fede si incontra con l’uomo. Perciò mi compiaccio per la scelta compiuta dalla Conferenza Episcopale Italiana di dedicare attenzione prioritaria ai rapporti tra fede e cultura, attraverso la messa in opera di un progetto o prospettiva culturale orientato in senso cristiano. Queste giornate di Palermo daranno sicuramente un forte contributo alla sua elaborazione e realizzazione.

Oggi, in Italia come quasi dappertutto nel mondo, gli sviluppi della cultura sono caratterizzati da una intensa e globale ricerca della libertà (cf. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII/2 [1995] 729). Di ciò, come credenti in Colui che è il redentore e il liberatore dell’uomo, non possiamo che rallegrarci, mettendo ogni nostro impegno perché tale ricerca possa giungere a felici ed autentici risultati. Ma proprio per questo non possiamo consentire con quelle interpretazioni della libertà che la rendono prigioniera di se stessa, chiudendola nell’ambito del relativo e dell’effimero e sopprimendo o ignorando il suo rapporto vitale con la verità.

È questa la sfida più importante e più difficile che deve affrontare chi vuol incarnare il Vangelo nell’odierna cultura e società: far comprendere cioè che le esigenze della verità e della moralità non umiliano e non annullano la nostra libertà, ma al contrario le permettono di crescere e la liberano dalle minacce che essa porta dentro di sé.

La Chiesa che è in Italia ha individuato, fin dalla pubblicazione degli Orientamenti pastorali per gli anni ‘90, come tema di fondo il Vangelo della carità e la testimonianza della carità. Per questa via la verità del Vangelo perde infatti ogni apparenza astratta e si rivela per quello che è veramente: la verità dell’amore di Dio per noi in Cristo (cf. Gv 3, 20) e l’esigenza dell’amore verso Dio e verso il prossimo (cf. 1 Gv 3, 16-18). In tale prospettiva la via all’accoglienza della verità sarà più facilmente aperta ad ogni uomo e donna di buona volontà.  

Sta venendo meno molto di quel patrimonio di convinzioni e di valori che hanno costituito la spina dorsale della civiltà di questa “nostra” Italia

4. Cari Fratelli e Sorelle, questa nostra Italia – consentitemi di chiamarla “nostra” perché la sento come la mia seconda Patria – sta vivendo un momento di crisi, che non tocca solo gli aspetti più appariscenti ed immediati della civile convivenza, ma raggiunge i livelli profondi della cultura e dell’ethos collettivo. In questo complesso e faticoso travaglio, accanto a fenomeni chiaramente negativi, non mancano aspetti positivi, che ci fanno sperare si tratti di una crisi di crescita. Non è forse positivo, ad esempio, il bisogno di lasciarsi totalmente alle spalle certi inveterati fenomeni di immoralità sociale e politica, e il desiderio così diffuso di una vita ispirata davvero alla trasparenza, alla solidarietà, al servizio del bene comune? Certo, non mancano ombre che ci rattristano profondamente. Proprio sul versante dell’ethos, infatti, sta venendo meno molto di quel patrimonio di convinzioni condivise e di valori profondamente umani e insieme cristiani che hanno costituito la spina dorsale della civiltà di questo Paese. Ciò è dovuto in gran parte all’incalzare di una cultura secolaristica, che trova un terreno singolarmente favorevole nell’odierna complessità sociale e nell’amplificazione che ne operano i mass media. Non dev’essere tuttavia sottaciuta la responsabilità che nel fenomeno hanno anche i credenti. Non sempre è stata sufficientemente chiara e coerente la testimonianza di vita da essi offerta, e forse talvolta è pure mancata in essi la piena consapevolezza delle trasformazioni che si andavano compiendo.

Ora però non è più possibile farsi illusioni, troppo evidenti essendo divenuti i segni della scristianizzazione nonché dello smarrimento dei valori umani e morali fondamentali. In realtà tali valori, che pur scaturiscono dalla legge morale inscritta nel cuore di ogni uomo, ben difficilmente si mantengono, nel vissuto quotidiano, nella cultura e nella società, quando vien meno o si indebolisce la radice della fede in Dio e in Gesù Cristo. Perciò, mentre poniamo rispettosamente questo interrogativo a chi – pur non condividendo la nostra fede, ma essendo spesso verso di essa attento e sensibile – è sinceramente sollecito del bene dell’uomo e del futuro della nazione, ci sentiamo anche noi stessi fortemente interpellati.  

Il contributo dei cristiani: costruire una nuova cultura il cui nucleo generatore è il mistero di Dio

È tempo, cioè, di comprendere più profondamente che il nucleo generatore di ogni autentica cultura è costituito dal suo approccio al mistero di Dio, nel quale soltanto trova il suo fondamento incrollabile un ordine sociale incentrato sulla dignità e responsabilità personale (cf. Centesimus Annus, 13). È a partire da qui che si può e si deve costruire nuova cultura. Questo è il principale contributo che, come cristiani, possiamo dare a quel rinnovamento della società in Italia che è l’obiettivo del Convegno.  

Individuare le strade del futuro

5. La Lettera sulle responsabilità dei cattolici nell’ora presente, che ho indirizzato ai fratelli Vescovi italiani per l’Epifania dello scorso anno, proponeva, nella luce della fede, i criteri per un bilancio del passato dell’Italia, dal dopoguerra ad oggi. Era e rimane un bilancio prevalentemente positivo, nonostante le menzionate ombre che nell’ultimo periodo pare si siano infittite. Come già in quella Lettera, anche ora la mia intenzione è però quella di individuare le strade del futuro.

Negli anni più recenti gli assetti politici del Paese sono molto mutati e contestualmente è cambiata, facendosi più differenziata, la collocazione dei cattolici. In questo passaggio, tuttora incompiuto, bisogna riconoscere che non poche difficoltà permangono quando non si sono addirittura accentuate. Serpeggia un profondo disagio tra i cittadini, che si sentono moralmente sconcertati di fronte ai gravi e diffusi fenomeni di malcostume, mentre restano aperti seri interrogativi sull’equilibrio e sull’armonia tra i poteri dello Stato.

In un tale contesto diventa per molti difficile cogliere le superiori ragioni del bene comune e accettare i necessari sacrifici che esso domanda. Ne viene pertanto danneggiato anche lo sforzo di risanamento economico in cui l’Italia è impegnata e che, malgrado gli ostacoli, ha già conseguito confortanti risultati, grazie alla laboriosità e all’inventiva della sua gente.  

La “questione meridionale”: il dovere della solidarietà dell’intera nazione

Da questa città di Palermo e da questa terra di Sicilia non posso poi non ricordare a tutta la diletta nazione italiana, ai governanti e ai responsabili ai vari livelli come a tutta la popolazione, che la cosiddetta “questione meridionale”, fattasi in quest’ultimo periodo forse ancora più grave specialmente a causa della realtà drammatica della disoccupazione, soprattutto giovanile, è veramente una questione primaria di tutta la nazione. Certo, spetta alle genti del Sud essere le protagoniste del proprio riscatto, ma questo non dispensa dal dovere della solidarietà l’intera nazione. Come non riconoscere, del resto, che la gente del meridione, in tanti suoi esponenti, viene da tempo riproponendo le ragioni di una cultura della moralità, della legalità, della solidarietà, che sta progressivamente scalzando alla radice la mala pianta della criminalità organizzata? Io non posso non ripetere, a questo proposito, il grido che mi è uscito dal cuore ad Agrigento, nella Valle dei Templi: “«Non uccidere». Nessun uomo, nessuna associazione umana, nessuna mafia può cambiare e calpestare il diritto alla vita, questo diritto santissimo di Dio”.  

Non disperdere la grande eredità di fede e di cultura per superare l’insidia dei particolarismi

6. Fratelli e Sorelle carissimi, dico queste cose in atteggiamento di profonda condivisione, ben sapendo che la Chiesa è dentro a questo popolo, è stata e vuole continuare ad essere solidale con il suo cammino. Mio unico scopo è di aiutare a vincere le paure e a dare senso all’esistenza personale e collettiva, così da “togliere l’ipoteca paralizzante del cinismo dal futuro della politica e della vita degli uomini” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII/2 [1995] 740), e correre insieme il rischio della libertà e della solidarietà.

Perciò da questa grande Assemblea ecclesiale deve giungere all’Italia un rinnovato invito a non disperdere la sua grande eredità di fede e di cultura, a conservare e a rendere sempre più operante e vitale la sua unità di nazione, superando l’insidia dei particolarismi sia corporativi sia locali e territoriali ed aprendosi al tempo stesso, in atteggiamento cordiale e solidale, anche verso gli stranieri qui giunti alla ricerca onesta di un lavoro e di un futuro migliore. Ho profonda fiducia nel popolo italiano e sono certo che esso saprà trovare, nel patrimonio di saggezza e di coraggio di cui dispone, le risorse necessarie per superare la situazione difficile che sta attraversando.  

Il timore di fronte alla vita

7. Vi è una domanda, a questo proposito, che non è possibile evitare: riguarda il futuro stesso dell’Italia come nazione. Alcuni sintomi inquietanti, e ormai persistenti nel tempo, sembrano indicare infatti che il popolo italiano abbia un rapporto non buono e non sereno con il proprio futuro. Tra questi, in particolare, s’evidenzia la scarsità delle nascite, che dà all’Italia un triste e quasi incredibile primato, come se le famiglie italiane soccombessero al timore di fronte alla vita. A ciò si accompagna, nella legge e nel costume, un permissivismo riguardo all’aborto che contrasta con i principi stessi di una civiltà fondata sul riconoscimento della grandezza unica e inviolabile della persona umana.  

Le leggi dello Stato sembrano ignorare o addirittura tendere ad aggravare le condizioni di vita delle famiglie

La forza e la rilevanza sociale della famiglia italiana, tradizionale e ancora operante, si scontra inoltre con una costante e sempre più preoccupante diminuzione dei matrimoni, mentre le leggi dello Stato sembrano ignorare o addirittura tendere ad aggravare le condizioni di vita delle famiglie. Né una migliore attenzione pare dedicata alla scuola e all’educazione delle nuove generazioni. È, questo, certamente un dovere dello Stato, al cui assolvimento non fa ostacolo, anzi contribuisce, il sostegno a quelle scuole non statali, come sono le cattoliche, che rendono un servizio pubblico aperto a tutte le fasce sociali. Esse, per il loro progetto pedagogico ricco di valori umani e solidaristici, non pregiudicano, ma piuttosto consolidano, una vita pubblica ispirata a principi di democrazia, onestà e giustizia sociale. A chi gioverebbero ulteriori chiusure, anacronistiche quanto ingiuste e discriminanti, che in realtà recano danno ai giovani, alla famiglia e all’intera nazione?  

Non abbiano paura di Cristo le istituzioni private e pubbliche

8. È necessario dunque operare per una società più aperta, che dia maggiori opportunità ai giovani – in particolare alle giovani famiglie –, e al contempo li stimoli a più forti assunzioni di responsabilità; una società che non disperda le sue risorse né le consumi anzitempo, che sia meglio rispettosa della dignità della donna e valorizzi il “genio” suo proprio nei diversi ambiti della vita civile.

Sappiamo che all’uomo ferito dal peccato non è possibile costruire nella storia un ordine sociale perfetto e definitivo. Ma sappiamo anche che la grazia opera nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà. Gli sforzi per costruire un mondo migliore sono accompagnati dalla benedizione di Dio. Apriamo dunque il cuore alla speranza! Cristo, Signore della storia e redentore dell’uomo, non cessa di camminare con noi, affiancando i nostri passi incerti con la potenza del suo amore. A lui si aprano i nostri spiriti. Non abbiano paura di Lui e del suo messaggio le istituzioni private e pubbliche. Il suo Vangelo contiene orientamenti di vita personale e sociale in grado di salvaguardare la dignità dell’uomo e di promuovere la prosperità e la pace.

Per questo, per un atteggiamento di sincero rispetto e dialogo verso quanti non hanno la nostra stessa fede, ci è doveroso ricordare a tutti che lo Stato di diritto, una genuina democrazia, ed anche una ben ordinata economia di mercato, non possono prosperare se non facendo riferimento a ciò che è dovuto all’uomo perché è uomo, quindi a principi di verità e a criteri morali oggettivi, e non già a quel relativismo che talvolta si pretende alleato della democrazia, mentre in realtà ne è un insidioso nemico (cf. Centesimus Annus, 34 e 46; Veritatis Splendor, 101).  

La vocazione europea dell’Italia

Il rinnovamento culturale, spirituale e morale delle persone, delle famiglie e della vita sociale è dunque la premessa necessaria di una nuova stagione di crescita della nazione italiana. Ne ha grande bisogno anche l’Europa, perché, come ho scritto nella Lettera ai Vescovi italiani, “all’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli Apostoli Pietro e Paolo” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII/1 [1994] 48).

La vocazione europea dell’Italia, riaffermata qui a Palermo, manifesta nel medesimo tempo tutta la sua dinamica apertura verso altri Continenti e altre culture: per la sua stessa orientazione geografica infatti l’Italia sembra indicare all’Europa le vie dell’incontro con l’Oriente e con il Sud del mondo. Un incontro necessario e ineludibile, che deve avvenire nel segno della solidarietà, dell’accoglienza reciproca e della pace. Anche di questo il nostro Convegno ecclesiale vuol essere stimolo e auspicio.  

Dal travaglio profondo del popolo italiano sale verso la Chiesa una grande domanda

9. Volgendo ora lo sguardo, cari Fratelli e Sorelle, all’interno della Chiesa che è in Italia, occorre chiederci come i cattolici italiani potranno annunciare più credibilmente il Vangelo di Cristo e così più efficacemente contribuire al bene della nazione. Senza dubbio essi devono sforzarsi di attuare con la maggior fedeltà possibile l’insegnamento del Concilio Vaticano II in tutta la propria vita, e in tal modo prepararsi al grande appuntamento del terzo millennio. La Chiesa vive concentrata sul mistero di Cristo e insieme aperta al mondo. I suoi figli saranno perciò testimoni intrepidi dell’assoluta signoria di Dio su tutte le cose e, al contempo, rispettosi dell’autentica autonomia delle realtà temporali (cf. Tertio Millennio Adveniente, 18-20).

La Chiesa che è in Italia si sente interpellata a lasciarsi plasmare dall’ascolto della parola di Dio, alimentandosi e purificandosi continuamente alle fonti della liturgia e della preghiera personale, per vivere più intensamente la comunione, e dare spazio ai carismi, ai ministeri, alle varie forme di partecipazione, pur senza indulgere a democraticismi o sociologismi che non le sono propri. La Chiesa che è in Italia sa di dover essere saldamente unita al suo interno, nella piena adesione alla verità della fede e della morale cristiana, per essere così pronta al dialogo rispettoso e cordiale con ogni interlocutore che cerchi il vero e il bene, e per restare costantemente protesa alla ricerca umile e sincera dell’unità di tutti i cristiani (cf. Tertio Millennio Adveniente, 36).

Dal travaglio profondo che il popolo italiano sta attraversando sembra salire verso la Chiesa una grande domanda: quella che essa sappia anzitutto dire Cristo, l’unica parola che salva; quella anche di non fuggire la Croce, di non lasciarsi abbattere dagli apparenti insuccessi del proprio servizio pastorale; quella di non abdicare mai alla difesa dell’uomo. I figli della Chiesa potranno così contribuire a ravvivare la coscienza morale della nazione, facendosi artigiani di unità e testimoni di speranza per la società italiana.  

Discernimento personale e comunitario, dialogo, coerenza

10. In questo dialogo con l’intero Paese ha un ruolo insostituibile la dottrina sociale cristiana. Essa parla a tutti perché esprime la realtà dell’uomo. In particolare, essa deve costituire il fondamento e l’impulso per l’impegno sociale e politico dei credenti. I cambiamenti intervenuti in ambito politico, infatti, non comportano in alcun modo il venir meno di quei compiti e obiettivi di fondo che già indicavo dieci anni fa nel Convegno ecclesiale di Loreto: la fede deve trasformare la vita dei cristiani, così che la loro testimonianza acquisti una vera forza trainante nel cammino verso il futuro, e ne scaturisca il connesso irrinunciabile impegno di far sì che le strutture sociali siano, o tornino ad essere, rispettose di quei valori etici nei quali si esprime la piena verità sull’uomo (cf. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/1 [1985] 999 ss.).

La Chiesa non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito, come del resto non esprime preferenze per l’una o per l’altra soluzione istituzionale o costituzionale, che sia rispettosa dell’autentica democrazia (cf. Centesimus Annus, 47). Ma ciò nulla ha a che fare con una “diaspora” culturale dei cattolici, con un loro ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede, o anche con una loro facile adesione a forze politiche e sociali che si oppongano, o non prestino sufficiente attenzione, ai principi della dottrina sociale della Chiesa sulla persona e sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace.

È più che mai necessario, dunque, educarsi ai principi e ai metodi di un discernimento non solo personale, ma anche comunitario, che consenta ai fratelli di fede, pur collocati in diverse formazioni politiche, di dialogare, aiutandosi reciprocamente a operare in lineare coerenza con i comuni valori professati.  

Non c’è rinnovamento, anche sociale, che non parta dalla contemplazione

11. È importante, a tale scopo, anche una precisa coscienza della missione della Chiesa nella storia, nella cultura e nella società italiana. Vogliamo qui ricordare, con gratitudine ed ammirazione, l’opera spesso nascosta di tanti sacerdoti, religiose e religiosi, laiche e laici cristiani: sia di quelli che hanno più specifiche responsabilità nella cultura, nella scuola, nella comunicazione sociale, nella politica e nell’economia, sia di quelli che si dedicano alla pastorale ordinaria, alla famiglia, alle attività professionali. E poiché l’ispirazione cristiana della cultura presuppone il riconoscimento delle realtà proprie e specifiche del Regno di Dio, fondamentale resta l’apporto di coloro che, nella preghiera e nella contemplazione, attingono luce alla Sorgente divina per riversarla sull’intera comunità. Sì, cari Fratelli e Sorelle, diciamolo ad alta voce, con vera convinzione del cuore: non c’è rinnovamento, anche sociale, che non parta dalla contemplazione. L’incontro con Dio nella preghiera immette nelle pieghe della storia una forza misteriosa che tocca i cuori, li induce alla conversione e al rinnovamento, e proprio in questo diventa anche una potente forza storica di trasformazione delle strutture sociali. I contemplativi si sentano dunque in prima linea in questa nuova stagione di impegno della Chiesa italiana e, sulle loro tracce, ogni credente cerchi di fare maggior spazio alla preghiera nella propria vita.  

L’amore preferenziale per i poveri

Ma in un Convegno dedicato al Vangelo della carità una menzione speciale va riservata a coloro che incarnano più visibilmente nella propria esistenza l’amore preferenziale per i poveri, prendendosi cura delle molte povertà materiali e morali che esistono nel nostro Paese o andando, come testimoni dell’amore di Cristo, ad alleviare le tragiche sofferenze di immense popolazioni del Terzo e del Quarto Mondo, e pagando talvolta questa generosità col sacrificio della vita. Così essi contribuiscono in modo singolare alla stessa affermazione di una cultura e di una civiltà cristiana. Attraverso l’amore preferenziale per i poveri, infatti, ci facciamo carico in qualche modo dell’umanità intera e pertanto testimoniamo che la fede che ci anima risponde senza esclusioni alle domande dell’uomo. Questo impegno deve dunque essere sempre più un fatto corale di Chiesa, una nota saliente di tutta la vita e la testimonianza cristiana.  

Un grande evento di comunione, un atto di amore per l’Italia

12. Amati e venerati Fratelli nell’episcopato, carissimi Fratelli e Sorelle nel Signore, questo terzo Convegno nazionale delle Chiese che sono in Italia è un grande evento di comunione, il segno della comunione che in questi anni si è felicemente rafforzata tra tutte le membra vive della comunità cattolica italiana. È nello stesso tempo, per ciascuno di noi e per le nostre Chiese, un momento di verità, di verifica e di conversione. Vuol essere ugualmente un atto di amore per l’Italia, l’espressione di una cordiale sollecitudine e condivisione nei confronti di questo Paese, dove fin dall’inizio la Chiesa ha trovato speciale dimora e dal quale ha ricavato tanta parte delle sue energie migliori. Questo Convegno è soprattutto una professione di fede in Colui che fa nuove tutte le cose. Sia quindi contrassegnato, in tutto il suo svolgimento, nelle sue conclusioni e negli impegni che ne deriveranno, dalla virtù della speranza cristiana, che osa porsi obiettivi alti e nobili perché confida in Dio piuttosto che nell’uomo.

Sul Convegno, sulla Chiesa e sull’Italia invoco la materna intercessione di Maria Santissima, sempre presente dove opera il Signore, e la protezione di Francesco e Caterina e di tutti i Santi e le Sante che hanno illuminato la storia di questa nazione. Di cuore, nel nome di Cristo, benedico voi e tutti gli Italiani.  

Al termine del discorso il Papa ha detto:

Grazie a Palermo e alla Sicilia. Grazie ai nostri fratelli cristiani, rappresentati dai Metropoliti e Vescovi, e anche non cristiani presenti in questa Assemblea. Così si verifica il grande processo del Concilio Vaticano II. Sempre siamo sulle sue orme.

 

 



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