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  DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AGLI OFFICIALI E AVVOCATI
DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA

Lunedì, 22 gennaio 1996

 

1. La ringrazio di cuore, Monsignor Decano, per le significative parole con le quali ha voluto interpretare i sentimenti di tutti i presenti. Insieme con Lei, saluto con affetto i Prelati Uditori, i Promotori di giustizia, i Difensori del vincolo, gli Officiali della Cancelleria, gli Avvocati rotali e gli Alunni dello Studio Rotale. All’inizio del nuovo Anno Giudiziario rivolgo a tutti il mio fervido augurio di pace e di proficua attività nell’impegnativo campo dell’approfondimento e della concreta applicazione del diritto. 

È per me sempre una grande gioia accogliervi in occasione di questo nostro tradizionale incontro, nel quale ho la possibilità di esprimervi la mia viva riconoscenza ed il mio apprezzamento per la fedeltà e l’impegno coi quali svolgete il vostro peculiare servizio ecclesiale. 

Nel suo indirizzo Monsignor Decano ha sottolineato i problemi che, nell’esercizio della potestà giudiziaria, si impongono all’intelligenza, alla coscienza e al cuore dei Giudici Prelati Uditori. Sono problemi che trovano in me piena comprensione. Su di essi vorrei, anzi, soffermarmi per qualche considerazione. 

Prenderò l’avvio da alcuni concetti fondamentali circa la vera e genuina natura dei processi di nullità di matrimonio, per poi parlare del compito, proprio del Giudice canonico, di attendere alla peculiarità di ogni singolo caso, nel contesto della specifica cultura in cui esso s’inquadra.

2. L’autentica natura dei processi di nullità di matrimonio è desumibile, oltre che dal loro oggetto proprio, dalla stessa loro collocazione all’interno della normativa canonica che regola l’instaurarsi, lo svolgersi e il definirsi del processo. 

Così il Legislatore, mentre da una parte ha stabilito alcune norme specifiche per le cause di nullità di matrimonio, dall’altra ha disposto che, per il resto, in esse debbano applicarsi i canoni «de iudiciis in genere et de iudicio contentioso ordinario». Nello stesso tempo, ha espressamente ricordato che si tratta di cause attinenti allo stato delle persone, cioè alla loro posizione in rapporto all’ordinamento canonico e al bene pubblico della Chiesa

Non sarebbe possibile, senza queste premesse, intendere varie prescrizioni di entrambi i Codici, sia latino che orientale, in cui appare prevalente l’attività del pubblico potere. Si pensi, ad esempio, al ruolo che svolge il Giudice nel guidare la fase istruttoria del processo, supplendo anche alla negligenza delle stesse parti; oppure all’indispensabile presenza del difensore del vincolo, in quanto tutore del Sacramento e della validità del matrimonio; oppure, ancora, all’iniziativa esercitata dal promotore di giustizia nel farsi parte attrice in determinati casi. 

Nello stesso tempo, tuttavia, l’attuale legislazione della Chiesa mostra viva sensibilità per l’esigenza che lo stato delle persone, se messo in discussione, non resti troppo a lungo soggetto a dubbio. Da ciò deriva la possibilità di adire diversi tribunali in ordine ad una maggiore facilità istruttoria; così pure, in grado di appello, l’attribuzione di competenza su nuovi capi di nullità da giudicare «tamquam in prima instantia»; od anche il processo abbreviato di appello, dopo una sentenza che dichiari la nullità, eliminate tutte le formalità processuali e con decisione data con semplice decreto di ratifica.

3. Ma su tutto sovrasta la natura pubblicistica del processo di nullità di matrimonio ed insieme la specificità giuridica di accertamento di uno stato, che è la costatazione processuale di una realtà oggettiva, dell’esistenza cioè di un vincolo valido oppure nullo.

Questa qualificazione non può essere oscurata, nella procedura effettiva, dall’essere il processo di nullità inserito nel più ampio quadro processuale contenzioso. Occorre, inoltre, ricordare che i coniugi, ai quali peraltro compete il diritto di accusare la nullità del proprio matrimonio, non hanno però né il diritto alla nullità né il diritto alla validità di esso. Non si tratta, in realtà, di promuovere un processo che si risolva definitivamente in sentenza costitutiva, ma piuttosto della facoltà giuridica di proporre alla competente autorità della Chiesa la questione circa la nullità del proprio matrimonio, sollecitandone una decisione in merito. 

Ciò non toglie che ai coniugi medesimi, trattandosi di questione attinente alla definizione del proprio stato personale, siano riconosciuti e concessi gli essenziali diritti processuali: essere ascoltati in giudizio, addurre prove documentali, peritali e testimoniali, conoscere tutti gli atti istruttori, presentare le rispettive « difese ». 

4. Mai, tuttavia, dovrà dimenticarsi che si tratta di un bene indisponibile e che finalità suprema è l’accertamento di una verità oggettiva, che tocca anche il bene pubblico. In questa prospettiva, atti processuali quali la proposizione di certe « questioni incidentali », o comportamenti moratori, estranei, ininfluenti o che addirittura impediscono il raggiungimento di detto fine, non possono essere ammessi nel giudizio canonico. 

Pretestuoso, quindi, appare, in questo quadro generale, il ricorso a querele fondate su presunte lesioni del diritto di difesa, come pure la pretesa di applicare al giudizio di nullità di matrimonio norme di procedura, valevoli in processi di altra natura, ma del tutto incongruenti con cause le quali non passano mai in cosa giudicata. 

Sono principi, questi, che occorre elaborare e tradurre in chiara prassi giudiziaria, soprattutto ad opera della giurisprudenza del Tribunale della Rota Romana, così che non sia fatta violenza alla legge universale e particolare, né ai diritti delle parti legittimamente ammesse in giudizio, sollecitando anche correttivi dal legislatore ovvero una normativa di attuazione specifica del Codice, così come già è avvenuto nel passato. 

5. Confido che queste riflessioni valgano a rimuovere ostacoli che si potrebbero frapporre alla sollecita definizione delle cause. Ma, per un congruo giudizio su di esse, non meno rilevanti ritengo alcuni richiami circa la necessità di valutare e deliberare su ogni singolo caso, tenendo conto della individualità del soggetto e insieme della peculiarità della cultura in cui esso è cresciuto ed opera.

Già all’inizio del mio Pontificato, volendo enucleare la verità sulla dignità umana, sottolineavo che l’uomo è un essere uno, unico e irripetibile.

Tale irripetibilità riguarda l’individuo umano, non astrattamente inteso, ma immerso nella realtà storica, etnica, sociale e soprattutto culturale, che lo caratterizza nella sua singolarità. Va, comunque, riaffermato il principio fondamentale e irrinunciabile della intangibilità della legge divina sia naturale sia positiva, autenticamente formulata nella normativa canonica sulle specifiche materie.

Non si tratterà mai, quindi, di piegare la norma oggettiva al beneplacito dei soggetti privati, né tanto meno di dare ad essa un significato ed un’applicazione arbitrari. Parimenti deve essere tenuto costantemente presente che i singoli istituti giuridici definiti dalla legge canonica - penso in modo particolare, al matrimonio, alla sua natura, alle sue proprietà, ai suoi fini connaturali - hanno e debbono sempre ed in ogni caso conservare la propria valenza ed il proprio contenuto essenziale. 

6. Ma poiché la legge astratta trova la sua attuazione calandosi in singole fattispecie concrete, compito di grande responsabilità è quello di valutare nei loro vari aspetti i casi specifici per stabilire se e in qual modo essi rientrino nella previsione normativa. È appunto in questa fase che esplica il suo ruolo più proprio la prudenza del Giudice; qui egli veramente «dicit ius», realizzando la legge e la sua finalità, al di fuori di categorie mentali preconcette, valevoli forse in una determinata cultura ed in un particolare periodo storico, ma certamente non aprioristicamente applicabili sempre e dovunque e per ogni singolo caso. 

Del resto, la stessa giurisprudenza di codesto Tribunale della Rota Romana, tradotta poi e quasi consacrata in non pochi canoni della vigente legislazione codiciale, non avrebbe potuto esplicarsi, perfezionarsi ed affermarsi, se non avesse coraggiosamente, seppur prudentemente, posto attenzione ad una più articolata antropologia, ossia ad una concezione dell’uomo derivante dal progredire delle scienze umanistiche, illuminate da una visione filosofica e teologica chiara ed autenticamente fondata.

7. Così la vostra delicatissima funzione giudiziaria si situa e, in qualche modo, si incanala nello sforzo secolare con cui la Chiesa, incontrandosi con le culture di ogni tempo e luogo, ha assunto quanto ha trovato di essenzialmente valido e congruente con le immutabili esigenze della dignità dell’uomo, fatto a immagine di Dio. 

Se queste riflessioni hanno valore per tutti i Giudici dei Tribunali che operano nella Chiesa, tanto maggiormente esse sembrano adattarsi a voi, Prelati Uditori di un Tribunale al quale, per definizione e per primaria competenza, sono devoluti in appello i processi da tutti i Continenti della terra. Non, quindi, per una questione di pura immagine, ma per coerenza con il compito che vi è affidato, il primo articolo delle Norme della Rota Romana prevede che il Collegio dei Giudici sia costituito da Prelati Uditori « e variis terrarum orbis partibus a Summo Pontifice selecti ». Tribunale internazionale, quindi, è il vostro che raccoglie in se gli apporti delle più diverse culture e li armonizza nella superiore luce della verità rivelata. 

8. Sono certo che queste riflessioni troveranno piena adesione nel vostro animo di Giudici prudenti ed illuminati, come pure in quello di quanti collaborano con l’attività giudiziaria della Rota: Promotori di giustizia, Difensori del vincolo, Avvocati rotali. Tutti esorto a nutrire identici intenti, sia per quanto riguarda le iniziative processuali sia per quanto concerne l’approfondimento dello studio delle singole cause. 

Nell’auspicare per voi l’abbondanza delle grazie e dei lumi, invocati dallo Spirito di verità nella liturgia che ha dato inizio a questo giorno inaugurale dell’anno giudiziario, a tutti imparto, quale segno di apprezzamento per la generosa dedizione a servizio della Chiesa, una speciale Benedizione Apostolica.

 

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