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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL PRIMO GRUPPO DI PRESULI DELLA CONFERENZA
EPISCOPALE DELLE FILIPPINE IN VISITA
«AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 27 settembre 1996

 

Cari Fratelli nell’Episcopato,

1. È sempre una grande gioia per me incontrare voi, Vescovi delle Filippine, in particolare in occasione delle vostre visite “ad limina”, quando recate al Successore di Pietro la gioiosa testimonianza della fede del vostro popolo e della sua unione con la Sede Apostolica. Saluto voi, membri del primo gruppo di questa serie di visite, e attraverso voi tutti i fedeli delle Filippine: “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito” (Gal 6, 18).

Vedendovi qui, ricordo la meravigliosa esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù a Manila, svoltasi nel gennaio dello scorso anno. Non è stato solo il numero di giovani filippini presenti con tanto fervore a colpirmi. Sono rimaste infatti impresse nella mia memoria soprattutto la vitalità, la convinzione e l’entusiasmo con i quali tutta la comunità cattolica filippina ha professato il suo amore verso Dio e verso la Chiesa. Fin dal mio arrivo nelle Filippine ho desiderato incentrare il mio annuncio sulla “Buona Novella dell’amore e della misericordia di Dio, la Parola di verità, di giustizia e di pace che sola può ispirare una vita degna dei figli e delle figlie di Dio” e sulla “particolare vocazione” della Chiesa nelle Filippine “a recare la testimonianza del Vangelo nel cuore dell’Asia” (Giovanni Paolo II, Discorso all’arrivo nelle Filippine, 12 gennaio 1995, n. 6 e n. 7: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 1 (1995) 87). Con le parole e con l’atteggiamento i cattolici filippini hanno dimostrato di essere pronti a seguire questa vocazione in risposta all’amore di Dio e che lo avrebbero fatto con “nuova luce, nuovo amore, nuovo impegno a soddisfare le grandi necessità dell’umanità” (Ivi, n. 6).

2. Sì, senza dubbio la Chiesa nel vostro Paese, in tutte le vostre isole, è vibrante, forte e piena di vita. Come la giovane sposa dell’Apocalisse, essa ha piena fiducia nella fedeltà incrollabile del suo Signore e Salvatore; essa mantiene la promessa di amore e di vita: “Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché sono giunte le nozze dell’Agnello; la sua sposa è pronta” (Ap 19, 7). Quali sono i segni di questa vitalità spirituale dei giovani? In primo luogo, il ministero fedele dei vostri amati collaboratori, i sacerdoti, impegnati a realizzare la propria identità sacerdotale nel generoso servizio al Popolo di Dio. Essi traggono forza dalla loro configurazione sacramentale a Cristo, il “Sommo Sacerdote” (Eb 4, 14), del quale sperimentano l’amicizia nella preghiera personale e nella celebrazione liturgica. Anche i vostri seminaristi sono un segno certo di speranza per il futuro. Essi guardano a voi per quella solida formazione che li condurrà allo “stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4, 13). E che dire dei numerosi religiosi, uomini e donne? Il loro insostituibile contributo all’evangelizzazione delle Filippine è parte essenziale della vostra storia e continua ancora oggi attraverso gli sforzi che le vostre Chiese particolari compiono per mostrare il volto autentico di Cristo in tutte le forme del servizio ecclesiale. Un particolare segno di vitalità è la crescente partecipazione del laicato alla missione della Chiesa. Potete contare sempre più sulla loro attiva e feconda collaborazione nell’affrontare la vastità delle sfide della nuova evangelizzazione e dello sviluppo umano integrale, che formano il contesto in cui si svolge l’azione della Chiesa nell’avvicinarsi al prossimo millennio cristiano.

Poiché voi, Vescovi, rivestite un ruolo unico e fondamentale nell’affrontare tali sfide, desidero invitarvi a essere serenamente fiduciosi nel Signore, il “pastore supremo” (1 Pt 5, 4), che non abbandona mai il suo gregge. Di qualunque tipo siano le difficoltà che sorgono col mutare dei tempi e delle circostanze, Egli è presente con la sua grazia e con la forza della sua Parola per guidare e sostenere il vostro ministero e il vostro servizio. Infatti, il Signore “nel suo corpo, che è la Chiesa, continuamente dispensa i doni dei ministeri, grazie ai quali, per sua virtù, noi ci rendiamo vicendevole servizio in ordine alla salvezza, affinché facendo la verità nella carità noi andiamo in tutte le cose crescendo verso colui che è il nostro capo” (Lumen gentium, 7). In quanto Vescovi avete la responsabilità di discernere e di giudicare i doni e i carismi, ma soprattutto di incoraggiare la loro crescita a beneficio di tutti, e di armonizzarli in un grande coro di lode a Dio. Questo è il senso più autentico della comunione dei discepoli che il Secondo Concilio Plenario delle Filippine ha stabilito come meta della vostra attività e pianificazione pastorali.

3. Con i vostri Fratelli Vescovi nel resto del Paese e rispondendo all’esortazione del Concilio Vaticano II e del vostro Secondo Concilio Plenario, state operando per trasmettere un maggiore senso di comunione e di missione, una consapevolezza nei fedeli di far parte, condividendola, di una realtà, il Corpo di Cristo, che li trascende e tuttavia li comprende, dipende da loro e li rende responsabili del suo presente e del suo futuro. In questa comunione, i Vescovi sono, come è sempre stato, Fratelli più anziani. A noi, Successori degli Apostoli, è stato affidato principalmente il compito di evangelizzare e di insegnare affinché tutti possano ottenere la salvezza attraverso la fede, il battesimo e l’obbedienza ai comandamenti (cf. Lumen gentium, 24). Siamo chiamati a rivestire questo ruolo e a esercitare questa autorità, non con orgoglio o basandoci solo sulle nostre forze, ma con amore e umile obbedienza alla verità, in quanto “servi dei servi del Signore” (Sant’Agostino, Epistola 217: ML 33,378). In effetti, come ci ricorda il Concilio Vaticano II “questo ufficio che il Signore ha affidato ai pastori è un vero servizio, che nella sacra scrittura è chiamato significativamente "diaconia" o ministero” (Lumen gentium, 24). La vostra visita “ad limina” vi dà l’eccellente opportunità di riaffermare e rafforzare quell’impegno interiore e quella pronta disponibilità che quotidianamente ispirano la vostra preghiera, la vostra attività e i vostri sforzi a nome delle diocesi a voi affidate. Sapete che il modo in cui voi stessi accogliete la grazia di Dio influenza il cammino del popolo di Dio “fatto uno nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (San Cipriano, De orat. Dom., 23: PL 4,553; cf. Lumen gentium, 4).

La Costituzione conciliare Lumen gentium fonda il vincolo fra Pastori e fedeli su una profonda base teologica, come parte del disegno divino per la Chiesa, come espressione della loro comune dignità derivante dalla loro rinascita in Cristo: “La distinzione infatti posta dal Signore tra i sacri ministri e il resto del popolo di Dio include l’unione, essendo i pastori e gli altri fedeli legati tra loro da un comune necessario . . . la stessa diversità di grazie, di servizi e di attività raccoglie in un solo corpo i figli di Dio, dato che “tutte queste cose opera un unico e medesimo Spirito”” (Lumen gentium, 32). Voi, Pastori, dite ai fedeli: sì, abbiamo ricevuto da Cristo un ministero di orientamento spirituale, di insegnamento e di guida, ma anche questo è un servizio all’intero Corpo; la nostra è “una gerarchia di servizio e non di eccellenza cristiana” (cf. Secondo Concilio Plenario delle Filippine, Documento, n. 96). In altre parole, è come se diceste ai fedeli: nessuno ha un ruolo meramente passivo, il contributo di ogni individuo e di ogni famiglia è essenziale; Cristo ha bisogno di tutti voi. Con l’aiuto dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici impegnati state orientando i vostri sforzi pastorali in modo da trasformare il concetto evangelico di comunione in una realtà quotidiana in tutte le comunità locali.

4. In questo grande sforzo pastorale, una delle vostre priorità è la diffusione e il rafforzamento delle comunità ecclesiali di base così come la formazione dei loro responsabili. Siete consapevoli del grande potenziale di queste comunità, ma anche della sfida che implicano. Un testo fondamentale del Magistero a questo proposito è l’Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi del mio Predecessore Papa Paolo VI, che vi esorto a leggere di tanto in tanto perché ricordiate che un tale approccio pastorale è valido soltanto se questi gruppi sorgono all’interno della Chiesa per unirvisi e per promuoverla, solidali con la sua vita, nutriti del suo insegnamento, uniti ai suoi pastori (cf. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 58).

Creando un vincolo più profondo fra i loro membri, un vincolo sostenuto soprattutto dalla vita sacramentale e liturgica della Chiesa, queste comunità fraterne divengono il lievito della vita cristiana, della sollecitudine verso i poveri, i bisognosi e gli emarginati e dell’impegno per la trasformazione sociale. Considerate queste comunità come strumenti per insegnare i principi della fede attraverso una catechesi che sia intimamente legata a reali situazioni di vita e quindi come mezzi efficaci per tutelare la comunità dagli attacchi del fondamentalismo. Esse servono anche a orientare la devozione popolare nella giusta direzione, conferendole un solido fondamento biblico e teologico. In molte delle vostre diocesi avete osservato che attraverso le comunità ecclesiali di base gli insegnamenti del Magistero, le Lettere Pastorali della Conferenza Episcopale e i documenti del secondo Concilio plenario delle Filippine vengono trasmessi più facilmente al livello base delle comunità parrocchiali.

5. Come Paolo VI ha riconosciuto, queste comunità diventeranno una speranza per la Chiesa universale se ricercheranno il loro alimento nella Parola di Dio, non si lasceranno imprigionare dalla polarizzazione politica o dalle ideologie di moda ed eviteranno di cedere alla tentazione della contestazione sistematica e dello spirito ipercritico col pretesto dell’autenticità. È essenziale che esse rimangano fermamente attaccate alla Chiesa particolare alla quale appartengono e alla Chiesa universale, scongiurando in tal modo il pericolo di chiudersi in se stesse fino ad anatemizzare le altre comunità ecclesiali (cf. Evangelii nuntiandi, 58).

Se l’esperienza delle comunità ecclesiali di base riuscirà a promuovere una più profonda, fraterna e concreta testimonianza di vita cristiana e di solidarietà, allora ne deriverà una nuova immagine della Chiesa, l’immagine di una comunità attiva e responsabile in grado di rispecchiare veramente il modello offerto dai primi cristiani di Gerusalemme così come descritto negli Atti degli Apostoli. Allo stesso tempo, l’attività pastorale, in particolare nelle parrocchie, non può trascurare la maggioranza che non partecipa e quanti sono negligenti o si sono allontanati. La Chiesa è anche la casa dei peccatori, di coloro che dubitano o hanno bisogno di incoraggiamento. Essa non deve diventare il dominio esclusivo di un ristretto gruppo di membri impegnati.

6. I Pastori della Chiesa hanno il dovere di correggere le tendenze centrifughe che portano alla frammentazione e alla divisione. Infatti, nell’ambito della comunità cristiana il Vescovo è il centro dell’unità, fatto questo illustrato dalle seguenti incisive parole del Concilio: “I fedeli devono aderire al Vescovo come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre, affinché tutte le cose siano d’accordo nell’unità, e crescano per la gloria di Dio” (Lumen gentium, 27). In tutti i modi possibili il Vescovo deve operare per l’unione fra i sacerdoti, i religiosi e i laici, armonia basata soprattutto sui principi della fede ed espressa in particolare nell’unità del popolo di Dio intorno all’Altare del Sacrificio. Egli deve istruire, tutelare e difendere la parte dell’eredità del Signore affidata alla sua sollecitudine, sapendo che la pace è anche il risultato di un accurato e vasto programma di catechesi che illumina e rafforza le coscienze per le scelte responsabili che devono essere compiute anche nell’ambito di questioni civili e sociali.

Tutti i membri della Chiesa, in quanto cittadini attivi e responsabili, sono chiamati a essere edificatori di pace nella società, e questo compito è tanto più urgente laddove le differenze religiose, culturali o sociali generano tensioni. Alcune delle vostre diocesi non sono immuni da una certa instabilità e da una certa violenza. Ovunque la Chiesa prega e opera per la pace sociale basata principalmente sul rispetto per i diritti fondamentali delle persone, a cominciare dal diritto essenziale alla libertà di religione e di coscienza. Per sua stessa natura, l’opera volta all’edificazione della pace richiede un dialogo sincero e costruttivo da parte di tutti coloro che vi si impegnano. La pace può essere raggiunta soltanto se il bene integrale di tutta la società è l’obiettivo principale di tutti. In occasione della mia visita nelle Filippine del Sud, nel 1981, ho avuto il piacere di incontrare i membri della comunità musulmana e di incoraggiare il dialogo che si stava svolgendo e che, nonostante le difficoltà, è continuato. Ciò che è stato detto allora è valido anche oggi: “La società non può portare ai cittadini la felicità che aspettano senza che la società stessa sia costruita sul dialogo. Il dialogo, a sua volta, si costruisce sulla fiducia e la fiducia presuppone non solo la giustizia, ma la misericordia” (Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti della Comunità musulmana, Davao, 20 febbraio 1981, n. 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV, 1 (1981) 425). Come voi stessi avete scritto: “Il cammino verso la pace è il cammino di persone di diverse fedi, persone che pregano lo stesso Dio Onnipotente il quale a gloria della pace suscita nei nostri cuori il rispetto e la fiducia reciproci, l’amore per la giustizia, per la verità e per la libertà, che sono le colonne portanti di un edificio di pace” (Conferenza Episcopale delle Filippine, LXXIII Assemblea Plenaria, 8 luglio 1996). Che Dio benedica gli sforzi che compite nel costruire questo edificio di pace nel vostro Paese!

7. Nel 1995, a Manila, ho esortato i Vescovi a promuovere la forza liberatrice del Vangelo per poter affrontare le sfide pastorali a cui vi trovate di fronte (cf. Giovanni Paolo II, Incontro con i Vescovi delle Filippine, 14 gennaio 1995, n. 5: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 1 (1995) 110). È infatti l’obbedienza alla fede a gloria del nome di Cristo (cf. Rm 1, 5) l’ultima e definitiva risposta ai problemi dell’uomo e al compimento delle sue aspirazioni. Nell’ambito della nostra preparazione al Giubileo dell’Anno 2000, dedicheremo il prossimo anno alla riflessione su Cristo, Verbo di Dio, fattosi uomo per opera dello Spirito Santo (cf. Giovanni Polo II, Tertio Millennio adveniente, 40). È mio ardente desiderio che conduciate il Popolo di Dio a “una riscoperta di Cristo Salvatore e Evangelizzatore. . .” e a “un approfondimento del mistero della sua Incarnazione” (Ivi). Avvicinandovi sempre più a Cristo, voi e il vostro Popolo berrete alla fonte vera della salvezza e della speranza. “Proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3, 13-14). Che il Signore vi guidi e vi sostenga. Che la Madre del Redentore interceda per l’amato popolo filippino. Con la mia Benedizione Apostolica.

 

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