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MIRAE CARITATIS*

LETTERA ENCICLICA 
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII

LA SANTA EUCARESTIA

 

È nostro altissimo dovere tenere sempre presenti e diligentemente imitare i luminosi esempi della carità ammirabile di Gesù Cristo per la salvezza degli uomini. Abbiamo cercato fino ad oggi di fare questo, col suo divino aiuto, e Ci studieremo di continuare a farlo, fino alla fine della Nostra vita, Costretti a vivere in tempi assai avversi alla verità e alla giustizia, per quanto dipendeva da Noi, con gli insegnamenti, con le ammonizioni, con gli atti, come ne fa fede anche l’ultima lettera apostolica a voi indirizzata, non abbiamo mai tralasciato nulla di quello che poteva servire meglio sia a dissipare il molteplice contagio degli errori, sia a rinvigorire la pratica della vita cristiana. Fra questi atti, ve ne sono due più recenti, fra loro strettamente connessi, la memoria dei quali Ci torna di opportuna consolazione, in mezzo a tante cause di amarezza. L’uno ebbe luogo quando stimammo bene che tutta la famiglia umana si consacrasse al Cuore augustissimo di Cristo redentore; l’altro quando esortammo seriamente tutti coloro che si professano cristiani ad unirsi a lui stesso, il quale è in modo divino "via, verità, vita" non soltanto per i singoli individui, ma anche per l’intera società.

Ora poi da questa medesima carità apostolica, che veglia sui bisogni della chiesa, Ci sentiamo mossi e come spinti ad aggiungere a quei due atti già compiuti, qualche altra cosa, come a loro coronamento: a raccomandare cioè, quanto più possiamo, al popolo cristiano la santissima eucaristia, come quel divinissimo dono uscito dal fondo del Cuore del medesimo Redentore, ardentemente bramoso di unirsi con questo mezzo agli uomini, mezzo escogitato specialmente per elargire i salutari frutti della sua redenzione. Anche in questo campo Noi abbiamo già promosse e raccomandate diverse opere. Ricordiamo con gioia specialmente di avere approvato e arricchito di privilegi molti istituti e sodalizi, che sono addetti all’adorazione perpetua della Vittima divina; di aver curato che i congressi eucaristici fossero numerosi e fruttuosi come conviene; di avere ad essi e ad altre opere simili assegnato per protettore celeste san Pasquale Baylon, che si segnalò nella devozione e nel culto verso il mistero eucaristico.

Perciò, venerabili fratelli, di questo stesso mistero - nella difesa e illustrazione del quale si adoperò costantemente sia la solerzia della chiesa, non senza preclare palme di martiri, sia lo zelo di uomini dottissimi ed eloquentissimi, sia anche il magistero delle nobili arti -, Ci piace ora rilevare alcuni aspetti, affinchè in modo più vivo risplenda la sua efficacia, specialmente per recare in maniera notevolissima rimedio ai bisogni dei nostri tempi. In verità, poiché Cristo Signore, la vigilia della sua morte, ci lasciò questo attestato d’immensa carità verso gli uomini, e questo presidio massimo "per la vita del mondo" (Gv 6,52), Noi, cui resta poco da vivere, nulla possiamo desiderare di meglio, di quello che Ci sia dato d’eccitare negli animi di tutti e coltivare il dovuto affetto di gratitudine e di devozione verso quell’ammirabile sacramento nel quale giudichiamo basarsi in modo speciale la speranza e l’efficienza di quella salvezza e di quella pace che è il sospiro di tutti i cuori.

Questo Nostro pensiero, che al mondo, da ogni parte turbato e ridotto in così misera condizione, convenga provvedere principalmente con simili aiuti e rimedi, ad alcuni certamente farà meraviglia, e da altri sarà forse accolto con superbo disprezzo. Ma ciò viene soprattutto dalla superbia, vizio che, quando alligna negli animi, vi snerva necessariamente la fede cristiana, la quale esige un ossequio religiosissimo della mente, e vi addensa più scura la caligine intorno alle cose divine, così che a molti si addice quel detto: "Bestemmiano tutto ciò che non conoscono" (Gd 10). Noi però, invece di desistere per questo dal Nostro proposito, continuiamo, con più vivo ardore, ad illuminare i ben disposti e ad impetrare da Dio perdono, interponendovi la fraterna implorazione dei giusti, ai bestemmiatori delle cose sante.

Il conoscere con perfetta fede quale sia l’efficacia della santissima eucaristia, vale quanto conoscere quale sia l’opera che, a beneficio del genere umano, Dio fatto uomo compì con la sua potente misericordia, come e infatti ufficio della fede retta professare e adorare Cristo quale sommo fattore della nostra salute, che, con la sapienza, con le leggi, con le istituzioni, con gli esempi, con l’effusione del sangue, restaurò ogni cosa; così ad essa appartiene professarlo e adorarlo realmente presente nell’eucaristia in modo che, verissimamente egli rimane tra gli uomini sino alla fine del mondo, e da maestro e pastore buono e intercessore accettissimo verso il Padre, dà personalmente agli uomini, in continua abbondanza, i benefici della redenzione operata.

Fra questi benefici poi provenienti dall’eucaristia, chi attentamente e religiosamente considera, vedrà primeggiare e risplendere quello che tutti gli altri contiene: dall’eucaristia cioè proviene agli uomini quella vita che è la vera vita; "II pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo" (Gv 6,52). In più maniere, come abbiamo detto altra volta, Cristo è "vita". Egli diede per motivo della sua venuta fra gli uomini il voler loro portare una sicura abbondanza di vita più che umana: "Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza" (Gv 10,10). E infatti appena sulla terra "apparve la benignità e l’amore del Salvatore Dio nostro" (Tt 3,4), nessuno ignora che subito eruppe una certa forza creatrice di un ordine affatto nuovo di cose, e s’infiltrò in tutte le vene della società domestica e civile. Di là nuovi vincoli tra uomo e uomo; nuovi diritti privati e pubblici; nuovi doveri; nuova direzione alle istituzioni, alle discipline, alle arti; e, ciò che più importa, gli animi e le cure degli uomini furono volti alla verità della religione e alla santità dei costumi, e anzi fu comunicata agli uomini una vita del tutto celeste e divina. A ciò infatti si riferiscono quelle espressioni così frequenti nelle divine Scritture: "legno di vita, verbo di vita, libro di vita, corona di vita", e soprattutto "pane di vita".

Ma poiché questa medesima vita, di cui parliamo, ha una evidente somiglianza con la vita naturale dell’uomo, come l’una si alimenta e vegeta col cibo, così bisogna che anche l’altra, con cibo suo proprio, si sostenti e si accresca. E qui cade a proposito il rammentare in qual tempo e in qual modo abbia Gesù Cristo mosso e indotto gli animi degli uomini a ricevere convenientemente e degnamente il pane vivo che stava per dare. Perché quando si sparse la fama dì quel prodigio che egli aveva operato sulla spiaggia di Tiberiade, moltiplicando i pani per saziare la moltitudine, subito molti accorsero a lui, per vedere se per avventura potesse a loro toccare un ugual beneficio. E Gesù, colta l’occasione, come quando, dall’attingere che fece la Samaritana l’acqua del pozzo, prese lo spunto per mettere in lei la sete dell’acqua "che zampillerà in vita eterna" (Gv 4,14), così allora sollevò le menti avide delle moltitudini a bramare anche più avidamente un altro pane "che dura per la vita eterna" (Gv 6, 27). Né già questo pane, insiste ammonendo Gesù, è quella manna celeste che fu apprestata ai padri vostri pellegrinanti per il deserto; e neppure è quello che voi stessi testé avete ricevuto da me con tanta meraviglia; ma io medesimo sono questo pane: "Io sono il pane di vita" (Gv 6,48). E la stessa cosa va sempre più insinuando a tutti, ora con gli inviti, ora coi precetti: "Chi mangerà di un tal pane, vivrà eternamente; e il pane che io darò è la mia carne per la salute del mondo" (Gv 6,52). Dimostra poi la gravità del precetto asserendo: "In verità, in verità vi dico: Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo, e non berrete il mio sangue, non avrete in voi la vita" (Gv 6,54).

Si corregga perciò quel dannosissimo errore comune, che fa credere che l’uso dell’eucaristia si debba lasciare a quelle persone che, libere da impegni e di animo gretto, amano dedicarsi alla vita devota. Quella cosa, che fra tutte è la più eccellente e salutare, appartiene a tutti, qualunque sia il loro grado e il loro ufficio; appartiene a tutti quelli cioè che vogliono (e ognuno deve volerlo) alimentare in loro la vita della grazia divina, che conduce al conseguimento della vita beata in Dio.

E Dio volesse che della sempiterna vita rettamente pensassero e si prendessero cura principalmente coloro, i quali, o per ingegno o per industria o per autorità, tanto possono nella direzione delle cose temporali e terrene, Ma invece siamo costretti a vedere e a deplorare che molti fastosamente spacciano d’aver essi dato al mondo vita nuova e felice, perché lo spingono a correre ardentemente all’acquisto di tutte le comodità e di tutte le meraviglie. Ma intanto, ovunque si guardi, si vede la società umana, che, se è lontana da Dio, invece di godere l’agognata tranquillità, soffre e trepida come chi è agitato da smaniosa febbre; mentre cerca ansiosamente la prosperità e confida solo in essa, se la vede sfuggire dinanzi, e corre dietro ad un’ombra che si dilegua. Perché gli uomini e la società, come necessariamente provengono da Dio, così in nessun altro possono vivere, muoversi e fare qualche bene, se non in Dio, per mezzo di Gesù Cristo; dal quale derivò sempre e deriva quanto vi è di buono e di eletto,

Ma la sorgente e il coronamento di tutti questi beni è soprattutto l’augusta eucaristia, la quale, come nutre e sostenta quella vita, che tanto ci sta a cuore, così accresce immensamente quella dignità umana, che oggi sembra tenersi in gran pregio. Qual cosa infatti è maggiore o più desiderabile che l’essere reso, per quanto è possibile, partecipe e consorte della divina natura? Or questo ci fa Gesù Cristo specialmente nell’eucaristia, nella quale, prendendo l’uomo già innalzato dalla grazia alle cose divine, più strettamente lo unisce e stringe a sé. La differenza tra il cibo del corpo e quello dell’anima, sta in questo, che il primo in noi si converte, il secondo ci converte in lui; perciò Agostino fa dire a Cristo medesimo: "Non tu muterai me in te, come il cibo della tua carne, ma tu stesso sarai mutato in me".

Il grande progresso, che gli uomini fanno in ogni virtù soprannaturale, deriva da questo eccellentissimo sacramento, nel quale specialmente appare come gli uomini vengono inseriti nella divina natura. E prima nella fede, In ogni tempo la fede ebbe avversari perché, sebbene con la cognizione di importantissime cose elevi le menti umane, tuttavia sembra deprimere le menti umane, perché nasconde l’intima qualità di quelle cose che mostrò essere di soprannaturale. Una volta si combatteva ora questo ora quell’articolo di fede; nei tempi moderni invece la guerra divampò in campo assai più vasto, e siamo ora al punto che assolutamente nulla si ammette di soprannaturale. Orbene a ristorare negli animi il vigore e il fervore della fede nulla è più atto che il mistero eucaristico, detto per eccellenza il "mistero di fede"; come quello nel quale tutte le cose soprannaturali, con una singolare abbondanza e varietà di miracoli, sono comprese: "Ha lasciato un ricordo delle sue meraviglie il Signore clemente e misericordioso; ha dato un cibo a quelli che lo temono" (Sal 110,4-5). Perché, se tutto quello che Dio fece di soprannaturale, lo riferì all’incarnazione del Verbo, in virtù del quale si doveva riparare la salute del genere umano, secondo quel detto dell’apostolo: "Ha stabilito... di riunire in Cristo tutte le cose, e quelle che sono nei cieli, e quelle che sono in terra" (Ef 1, 9-10); l’eucarestia, per testimonianza dei santi padri, deve considerarsi come una continuazione e un ampliamento dell’incarnazione. Per essa infatti la sostanza del Verbo incarnato si unisce coi singoli uomini, e si rinnova mirabilmente il supremo sacrificio del Golgota, come preannunziò Malachia: "In ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome un’oblazione pura" (Mal 1,11). Questo miracolo, massimo nel suo genere, è accompagnato da innumerevoli altri, perché qui tutte le leggi della natura sono sospese; tutta la sostanza del pane e del vino si converte nel corpo e nel sangue di Cristo, le specie del pane e del vino, senza appoggio alcuno, sono sostenute dalla potenza divina; il corpo di Cristo si trova contemporaneamente in tutti quei luoghi nei quali si compie simultaneamente il sacramento. Affinchè poi si faccia più intenso l’ossequio dell’umana ragione verso così grande mistero, vengono, come in aiuto, i prodigi fatti a gloria di esso, in antico, e anche a nostra memoria; dei quali in più luoghi vi sono pubblici e insigni monumenti. In questo sacramento dunque vediamo alimentarsi la fede, nutrirsi la mente, sfatarsi le fisime dei razionalisti, e illustrarsi grandemente l’ordine soprannaturale.

Allo snervamento della fede nelle cose divine molto contribuisce non solo la superbia, come abbiamo detto, ma anche la depravazione dell’animo. Perciò, se avviene ordinariamente che quanto più uno è morigerato, tanto più è sveglio di mente, e che i piaceri sensuali annebbiano la mente; come riconobbe la stessa prudenza pagana, e la sapienza divina ci aveva già prima ammoniti (cf. Sap 1,4); assai più ciò si verifica nelle cose divine, perché le voluttà corporali oscurano il lume della fede, ed anche, per giusto castigo di Dio, totalmente l’estinguono. Di questi piaceri oggi arde una insaziabile cupidigia, che quasi morbo contagioso infetta tutti fin dalla più tenera età. Ma un eccellente rimedio a questo gravissimo male a nostra disposizione sempre nella divina eucaristia. Perché, prima di tutto, aumentando la carità, raffrena la libidine, secondo quanto dice Agostino: "II nutrimento di essa (della carità) è lo smorzamento della passione, e la sua perfezione è il freno della passione". Inoltre la carne castissima di Gesù reprime l’insolenza della nostra carne, come ammonì Cirillo di Alessandria: "Cristo venendo in noi sopisce la legge che infuria nelle nostre membra". È anche un singolare e giocondissimo frutto dell’eucaristia quello che è significato da quel detto profetico: "Qual è il buono di lui (Cristo), qual è il bello di lui, se non il frumento degli eletti e il vino che fa germogliare le vergini?" (Zc 9,17), cioè il forte e costante proposito della sacra verginità, il quale, anche in mezzo a un mondo che si stempera nella mollezza, di giorno in giorno più largamente nella chiesa cattolica fiorisce rigoglioso: e con grande vantaggio e decoro della religione e della stessa convivenza umana, come ognuno può constatare.

Si aggiunge che con questo sacramento mirabilmente si rinforza la speranza dei beni immortali e la fiducia nei divini aiuti, Aumenta infatti sempre più il desiderio della beatitudine, che in tutti gli animi è insito e innato, constatando la fallacia dei beni terrestri, la ingiusta violenza dei malvagi, e tutte le altre molestie dell’anima e del corpo. Ora l’augusto sacramento dell’eucaristia è causa insieme e pegno della beatitudine e della gloria, e ciò non solo per l’anima, ma anche per il corpo. Perché nel tempo stesso che arricchisce gli animi con l’abbondanza dei beni celesti, li sparge anche di soavissime gioie, che di molto sorpassano ogni umana estimazione e speranza; sostenta nelle cose avverse, fortifica nella lotta della virtù, custodisce per la vita sempiterna, e ad essa conduce quasi apprestando il viatico. Similmente nel corpo caduco e labile ingenera la futura risurrezione, perché il corpo immortale di Cristo vi inserisce un seme d’immortalità, che un giorno dovrà germogliare. La chiesa ha sempre insegnato che questi due beni, uno per l’anima e l’altro per il corpo, provengono dall’eucaristia; lo ha sempre insegnato in ossequio alla parola di Cristo: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna; ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno" (Gv 6,55).

Torna qui opportuno e molto importa il considerare che l’eucaristia, essendo stata da Cristo istituita quasi "memoriale perenne della sua passione", manifesti al cristiano la necessità della penitenza salutare. Gesù infatti a quei primi suoi sacerdoti disse: "Fate questo in memoria di me" (Lc 22,19), cioè fate questo per commemorare i dolori, le amarezze, le angosce mie, la mia morte di croce. Perciò questo sacramento e insieme sacrificio è per tutti i tempi un’esortazione alla penitenza e ad ogni maggiore mortificazione, e insieme è una grave e severa condanna di quei piaceri, che uomini impudentissimi vanno tanto magnificando: "Tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice, annunzierete la morte del Signore, nell’attesa della sua venuta" (1Cor 11,26).

Oltre a ciò, se si cercano le cause dei mali presenti, si troverà Che esse procedono dal fatto che, raffreddandosi la carità verso Dio, anche la carità fra gli uomini venne a languire. Si sono essi dimenticati di essere figli di Dio e fratelli in Gesù Cristo; non curano se non ciascuno le cose proprie; le cose altrui non solo le trascurano, ma spesso le combattono e invadono. Quindi sorgono, fra le diverse classi di cittadini, frequenti turbolenze e contese: arroganza, durezza, frodi nei potenti; miserie, odi, scioperi nei sottomessi. A questi mali si aspetta invano il rimedio dalla provvidenza delle leggi, dal timore delle pene, dai consigli dell’umana prudenza. Bisogna procurare, con ogni sforzo, ciò che più volte Noi stessi abbiamo particolarmente inculcato, che cioè le classi dei cittadini si concilino tra di loro mediante uno scambio di buone opere che, derivate da Dio, siano informate al vero spirito e alla carità di Gesù Cristo. Cristo portò la carità sulla terra, di questa volle infiammata ogni cosa, perché essa sola potrebbe fin d’ora far gustare qualche saggio della beatitudine non solo all’anima, ma anche al corpo. La carità infatti reprime nell’uomo lo smodato amore di se stesso e frena l’avidità delle ricchezze, che "è la radice di tutti i mali" (1Tm 6,10). Sebbene poi sia giusto che tra le classi dei cittadini tutte le parti della giustizia siano convenientemente tutelate; pure, con gli aiuti e moderazioni suggeriti dalla carità, sarà dato di ottenere che nell’umana società "si faccia quell’uguaglianza" (2Cor 8,14), che raccomandava san Paolo, e che, una volta realizzata, la si conservi. Ecco ciò che intese Cristo nell’istituire questo augusto sacramento: eccitando l’amor di Dio, volle fomentare il mutuo amore fra gli uomini. Perché questo da quello, com’è chiaro, naturalmente deriva e spontaneamente si effonde: né potrà mai mancare in parte alcuna, anzi sarà necessario che cresca e divampi, quando si consideri la carità di Cristo verso gli uomini, in questo sacramento; nel quale, come magnificamente spiegò la sua potenza e sapienza, cosi "effuse le ricchezze del suo amore divino verso gli uomini". Dopo questo insigne esempio di Cristo, che ci dona tutte le cose sue, quanto dobbiamo noi amarci e soccorrerci a vicenda, ogni giorno sempre più uniti da un legame fraterno! E si noti come anche i segni esteriori di questo sacramento sono opportunissimi incitamenti all’unione. A questo proposito san Cipriano dice: "Infine anche il sacrificio del Signore dichiara l’universale unione dei cristiani fra di loro, e, con ferma e inseparabile carità, uniti a lui. Perché quando il Signore chiama suo corpo il pane, fatto con l’unione di molti grani, significa che il popolo nostro da lui condotto è un popolo riunito insieme, e quando suo sangue chiama il vino, che è spremuto da grappoli e acini moltissimi e fuso in uno, significa similmente che il nostro gregge è composto di una mista moltitudine raccolta insieme". Così l’angelico dottore, ripetendo un pensiero di Agostino, dice: "II Signore nostro ci lasciò rappresentato il corpo e il sangue suo in quelle cose che da più si raccolgono in uno; perché l’una di esse, cioè il pane, è un tutto formato da più grani, l’altra, cioè il vino, è un tutto composto di più acini: perciò Agostino dice altrove; O sacramento di pietà, o segno di unità, o vincolo di carità!". Tutte queste cose si confermano con la sentenza del Concilio Tridentino, che insegna "avere Cristo lasciato alla chiesa l’eucaristia come simbolo di quella unità e carità, con la quale volle che i cristiani fossero congiunti e uniti fra loro, ... simbolo di quel corpo uno, di cui egli è il capo, e al quale volle che noi, come membra, fossimo uniti con strettissimo vincolo di fede, di speranza e di carità". E questo aveva detto Paolo: "Siccome vi è un unico pane, noi, pur essendo molti, formiamo un sol corpo, comunicandoci col medesimo pane" (1Cor 10, 17), Ed è davvero un bellissimo e festosissimo spettacolo di cristiana fratellanza e uguaglianza sociale, l’accorrere che fanno assieme, ai sacri altari, il patrizio e il popolano, il ricco e il povero, il dotto e l’ignorante, partecipando ugualmente al medesimo convito celeste.

Che se giustamente nei fasti della chiesa nascente si attribuisce a lode sua propria che "la moltitudine dei credenti formava un solo cuore e un’anima sola" (At 4,32), certamente appare che questo gran bene essi dovevano alla frequenza della comunione eucaristica, perché leggiamo di loro; "Erano assidui alla istruzione degli apostoli, nell’unione, nello spezzare il pane" (At 2,42),

Inoltre la grazia della mutua carità fra i viventi, che tanta forza e incremento riceve dal sacramento eucaristico, in virtù specialmente del sacrificio, si partecipa a tutti quelli che sono nella comunione dei Santi. Poiché, come tutti sanno, la comunione dei santi non è altro che una scambievole partecipazione di aiuto, di espiazione, di preghiere, di benefici, tra i fedeli, o trionfanti nella celeste patria, o penanti nel fuoco del purgatorio. o ancora pellegrinanti in terra, dai quali risulta una sola città, che ha Cristo per capo, e la carità per forma, Sappiamo poi dalla fede che, sebbene l’augusto sacrificio solo a Dio possa offrirsi, si può pure celebrare in onore dei santi che regnano in cielo con Dio, "che li ha coronati", al fine di ottenere il loro patrocinio, e anche, come sappiamo dalla tradizione apostolica, per cancellare le macchie dei fratelli, che già morti nel Signore, non siano ancora interamente purificati.
Dunque quella sincera canta, che a salute e vantaggio di tutti, tutto suole fare e patire, scaturisce e divampa operosa dalla santissima eucaristia, dov’è lo stesso Cristo vivente, dove allenta il freno al suo amore per noi, e spinto da un impeto di carità divina rinnova perpetuamente il suo sacrificio. Così facilmente appare donde abbiano avuto origine le ardue fatiche degli uomini apostolici, e donde tanti e sì svariati istituti di beneficenza, insieme con l’origine, traggono le forze, la costanza e i felici successi.

Queste poche cose in materia sì ampia non dubitiamo che torneranno utilissime al gregge cristiano, se per opera vostra, venerabili fratelli, saranno opportunamente esposte e raccomandate, Ma un sacramento così grande ed efficace da ogni punto di vista non si potrà mai da nessuno né lodare, né venerare secondo il merito. Sia che esso si mediti, sia che devotamente si adori, sia ancora che con purezza e santamente si riceva, dev’essere considerato quale centro in cui tutta la vita cristiana si raccoglie: gli altri modi di pietà, quali che siano, tutti a questo conducono e in questo finiscono. E quel benigno invito e quella più benigna promessa di Cristo: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi ristorerò" (Mt 11,28), si compie specialmente in questo mistero e in esso si avvera ogni giorno.

Infine esso è ancora come l’anima della chiesa, e ad esso la stessa ampiezza della grazia sacerdotale si dirige per i vari gradi degli ordini, La chiesa di là attinge ed ha tutta la virtù e gloria sua, tutti gli ornamenti dei divini carismi, infine ogni bene: ed essa perciò pone ogni cura nel preparare e condurre gli animi dei fedeli ad una intima unione con Cristo mediante il sacramento del corpo e sangue suo: e, con l’ornamento di cerimonie santissime, gli accresce la venerazione. La perpetua provvidenza di santa madre chiesa, in questa parte, emerge chiarissima, principalmente da quella esortazione, che fu fatta nel sacro Concilio di Trento, spirante una certa carità e pietà mirabile, davvero degna di essere qui da Noi tutta intera ripresentata al popolo cristiano: "Con paterno affetto, ammonisce il santo sinodo, esorta, prega e scongiura, per la bontà misericordiosa del nostro Dio, che, tutti C Singoli, quelli che appartengono alla professione cristiana, in questo segno d’unità, in questo vincolo di carità, in questo simbolo di concordia finalmente una buona volta si uniscano e si accordino; e memori di tanta maestà e di tanto esimio amore di Gesù Cristo Signore nostro, che diede la diletta anima sua a prezzo della nostra salute, e la sua carne ci porse a mangiare: con tanta costanza e fermezza di fede, con tanta devozione e pietà e culto, di cuore credano e adorino questi sacri misteri del corpo e sangue di lui, affinché possano frequentemente ricevere questo pane soprasostanziale, ed esso sia veramente la vita dell’anima loro, e la perpetua sanità della mente, e confortati dal suo vigore, possano giungere, dalla via di questo misero pellegrinaggio, alla patria celeste, dove mangeranno senza alcun velo questo medesimo Pane degli angeli, che ora ricevono velatamente".

La storia poi ci mostra che la vita cristiana allora fiorì più rigogliosa, quando fu più in uso l’accostarsi spesso a questo divin sacramento. Invece è manifesto che quando gli uomini avevano questo pane celeste in noncuranza e come in fastidio, a poco a poco veniva languendo il vigore della professione cristiana. Il quale affinchè un giorno non si estinguesse del tutto, opportunamente provvide, nel Concilio Lateranense, Innocenzo III, gravissimamente ordinando che ogni cristiano dovesse comunicarsi almeno per Pasqua. È chiaro poi che questo precetto fu dato a malincuore, e come rimedio estremo; perché il desiderio della chiesa fu sempre questo, che ad ogni messa vi fossero alcuni partecipanti a questa divina mensa. "Bramerebbe il sacrosanto sinodo che, nelle singole messe, i fedeli assistenti si comunicassero non solo spiritualmente ma anche col ricevere sacramentalmente l’eucaristia, affinchè potessero percepire in maggior abbondanza il frutto di questo santissimo sacrificio".

Certamente una ricca abbondanza di salvezza, non solo per i singoli, ma per gli uomini tutti, ha in sé questo augustissimo mistero, in quanto è sacrificio; perciò dalla chiesa suole assiduamente offrirsi "per la salute di tutto il mondo", del quale sacrificio è conveniente che tutti i buoni si uniscano per diffondere la devozione e il culto, anzi questo è, ai giorni nostri, assolutamente necessario, E perciò vorremmo che le sue molteplici virtù fossero più largamente conosciute e più attentamente valutate.

Sono princìpi chiari, al solo lume naturale, che Dio creatore e conservatore ha un supremo e assoluto dominio sugli uomini, in privato e in pubblico; che quanto siamo e quanto abbiamo di bene, in privato e in pubblico, tutto ci viene dalla divina bontà; e che per conseguenza noi dobbiamo somma riverenza a Dio, come Signore, e massima gratitudine, come munifico benefattore. Ma quanti sono oggi coloro che apprezzano e osservano come e quanto dovrebbero questi doveri? Più di ogni altra, l’età nostra riottosa s’inalbera contro Dio, e fa risuonare di nuovo contro Cristo quella nefanda parola: "Non vogliamo che costui regni su di noi" (Lc 19,14), e quel nefando proposito: "Facciamolo sparire!" (Ger 11,19); nè altro con maggior forza molti cercano, se non che Dio venga allontanato dalla società civile. E, sebbene non si giunga ovunque a tale eccesso di scellerata demenza, è però cosa lacrimevole vedere quanti vivono affatto dimentichi della divina Maestà e dei suoi benefìci, e specialmente della salvezza portataci da Gesù Cristo, Orbene questa sì grande nequizia, o infingardaggine che dir si voglia, bisogna che sia riparata con un aumento di ardore nella comune pietà del culto del sacrificio eucaristico, del quale nulla può tornare a Dio più onorevole, nulla più gradito. Poiché la vittima che si immola è divina, ne consegue che tanto di onore all’augusta Trinità per lei si rende, quanto l’immensa dignità di questa ne esige; offriamo altresì al Padre un dono e per prezzo e per soavità infinito, quale è il suo Unigenito; e così non solo alla sua benignità porgiamo grazie, ma veniamo ad offrirle un vero ricambio,

E un altro doppio insigne frutto si può e si deve ricavare da tanto sacrificio. Si stringe il cuore al pensare quanta colluvie di peccati dappertutto dilaga, una volta trascurata, come dicemmo, e disprezzata l’autorità di Dio. Una gran parte del genere umano sembra proprio volere attirarsi sul capo l’ira celeste, sebbene i mali stessi che ci premono, ci mostrano chiaramente che il giusto castigo è già maturato. Bisogna dunque eccitare i fedeli anche a questo; che piamente gareggino nel placare Dio, giusto giudice, e nell’implorarne gli opportuni aiuti al mondo pieno di calamità. Or queste cose, s’intenda bene, si devono ottenere principalmente per mezzo di questo sacrificio.

Ché il soddisfare abbondantemente alla giustizia di Dio e l’impetrare largamente i doni della sua clemenza, non può altrimenti farsi dagli uomini se non in virtù della morte sofferta da Gesù Cristo. Ma questa stessa virtù, sia d’espiare sia d’impetrare, volle Cristo che tutta intera restasse nell’eucaristia, la quale non è una vuota e semplice memoria della sua morte, ma ne è una vera e mirabile, sebbene incruenta e mistica, rinnovazione. Per altro, non poco Ci rallegra, e lo palesiamo volentieri, che in questi ultimi anni si noti nei fedeli un certo risveglio dell’amore e dell’ossequio verso il sacramento eucaristico; donde prendiamo augurio e speranza di tempi e cose migliori, Molte infatti e varie cose di questo genere, come da principio dicemmo, furono dalla solerte pietà introdotte, specialmente sodalizi, sia per accrescere lo splendore del culto eucaristico, sia per l’adorazione perpetua dell’augustissimo sacramento, sia per la riparazione delle ingiurie e contumelie che gli si fanno. In queste cose però, venerabili fratelli, non dobbiamo fermarci, né Noi, né voi; perché troppe altre ne restano da promuovere o da intraprendere, affinchè questo divinissimo dono, presso quei medesimi che adempiono i doveri della religione cristiana, sia posto m quella luce e in quell’onore che merita, e un mistero così grande sia venerato il più degnamente possibile.

Questo perché le Opere già avviate si hanno da condurre sempre più innanzi; le antiche istituzioni, se in qualche luogo andarono in disuso, si devono richiamare in vigore, come sono ad esempio i sodalizi eucaristici, le preghiere delle Quarantore, le solenni processioni, le visite al santissimo sacramento nel tabernacolo, e altre simili pratiche molto salutari; e di più s’ha da intraprendere tutto quello che la prudenza e la pietà potranno suggerire a questo proposito. Ma soprattutto bisogna adoperarsi perché rifiorisca, in ogni parte del mondo cattolico, la frequenza alla mensa eucaristica. Questo ci dicono i sopra allegati esempi della chiesa nascente; questo i decreti dei condii, questo l’autorità dei padri e dei santi di tutti i secoli: perché come il corpo, così l’anima spesso abbisogna del proprio cibo, or l’alimento più vitale è fornito appunto dal sacramento dell’Eucarestia. Perciò bisogna togliere del tutto certi pregiudizi degli avversari, certi vani timori di molti, certi pretesti per astenersene: si tratta di cosa della quale nessun’altra è più vantaggiosa ai fedeli, sia per redimere il tempo dalle troppe sollecitudini terrene, sia per risvegliare lo spirito cristiano e costantemente mantenerlo, Ad ottenere questo saranno di grande aiuto le esortazioni e gli esempi delle classi più ragguardevoli, e soprattutto la solerzia e l’industria del clero. Poiché i sacerdoti, ai quali Cristo redentore affidò l’ufficio di celebrare e dispensare i misteri del corpo e sangue suo, non possono meglio ripagarlo del sommo onore ricevuto, che col promuovere con ogni diligenza, la sua eucaristica gloria, e con l’invitare e condurre, secondando cosi i desideri del suo sacratissimo Cuore, tutte le anime alle salutari sorgenti di un cosi grande sacramento e sacrificio.

In tale modo avverrà, ciò che grandemente bramiamo, che gli eccellenti frutti dell’eucaristia si percepiscano sempre più abbondanti ogni giorno, mediante il felice aumento della fede, della speranza, della carità e d’ogni cristiana virtù, Ciò tornerà pure a vantaggio dello Stato: sempre più si manifesteranno i disegni della provvidentissima carità del Signore, che un tale mistero stabilì in perpetuo "per la vita del mondo".

Con questa speranza, venerabili fratelli, a pegno dei doni divini e a testimonianza della Nostra carità, a tutti voi, al vostro clero, e al popolo, impartiamo con grande affetto la benedizione apostolica.

Roma, presso San Pietro, il giorno 28 maggio, vigilia della solennità del Corpo di Cristo, dell’anno 1902, anno XXV del nostro pontificato.

 



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