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PAOLO VI

ANGELUS DOMINI

Domenica delle Palme, 15 aprile 1973

 

Abbiamo fatto questa mattina la processione con la palma in mano. Noi pensavamo a che cosa si poteva riferire quel simbolo di pace - l’olivo, la palma - portato come un vessillo significativo in mezzo alla folla del popolo nostro, invitato ad esprimere così, pubblicamente, con entusiasmo e con letizia, la propria fede, la propria scelta di Cristo-Messia, come proprio capo, guida, maestro, salvatore. Atto bello, franco, pacifico, ed insieme pubblico e forte. E ci chiedevamo se fosse atto sincero, se corrispondesse davvero ai sentimenti della gente ai nostri giorni, oggi tanto addolorata da avvenimenti pubblici luttuosi e deplorevoli, ed inasprita da un clima sociale sempre inquieto ed amaro, e impaurita e delusa da implacabili strascichi di conflitti a fuoco, e quasi mistificata dal proprio sdegno per gli effetti intollerabili d’una convivenza pervasa dalla delinquenza, dall’odio e dal delitto, ma quasi paurosa d’indagarne le cause profonde e morali.

Eppure ci è parso più che mai espressiva e consolante quella unione dell’olivo con la croce, della pace di Cristo col dolore di Cristo, della nostra speranza con la sua misericordia. Pensavamo: non sarebbe augurabile che, tanto per cominciare, badassimo ad accusare noi stessi, prima degli altri, come cause remote o solidali inerti e quindi come complici forse di tanti malanni? E se tentassimo l’audace politica, personale almeno, del perdono? E quella, ancora più ardita, dell’amore?

Ci siamo una volta ancora persuasi che questa sarebbe la via buona, quella a noi insegnata dalla Pasqua che viene col suo dramma di passione e di redenzione e col suo trionfo di pace, di letizia e di vita.

 



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