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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 9 febbraio 1966

 

Universale slancio di carità per le popolazioni colpite dalla fame

Diletti Figli e Figlie!

Un'udienza, un’udienza generale come questa, potrebbe definirsi uno sguardo sul mondo. Già altre volte vi abbiamo accennato. Voi venite dal Papa non solo per vedere la Sua Persona, ma per vedere qualche cosa che si lascia intravedere dietro di Lui, le cose ch’Egli porta nel cuore, gli avvenimenti a cui Egli si interessa, il panorama della nostra storia visto dal suo livello, come da una torre da cui l’occhio spazia lontano; voi vorreste, come Lui, per un istante, guardare tutta la Chiesa, tutta l’umanità; guardare il mondo. Sì, la vostra curiosità è legittima e intelligente. Se il Papa è al centro d’una universalità, avvicinarsi a Lui vuol dire prendere visione di quanti Gli sono d’intorno, e vuol dire spingere lo sguardo all’orizzonte più largo e più lontano. Noi pensiamo spesso che sarebbe Nostro dovere associare i Nostri visitatori alla visione che Noi abbiamo davanti per il fatto che il Signore Ci ha affidato questo ufficio, meraviglioso e sbalorditivo, di rappresentarlo in mezzo all’umanità; visione immensa, visione stupenda, visione molteplice e diversissima. Non ve ne facciamo ora la descrizione, perché sarebbe troppo lunga; ma vi invitiamo ad aprire gli occhi sopra un quadro umano che ora più Ci interessa. Volete, un momento?

LO SGUARDO DOVE I FIGLI SOFFRONO

Dove può fissarsi lo sguardo d’un padre comune, d’un pastore di popoli, d’un Vicario di Cristo? Di preferenza; una preferenza che accresce enormemente l’interesse dell’osservazione, ma che sembra nascondere ogni bellezza del panorama. Del resto anche assistendo ad uno spettacolo l’interesse aumenta e diventa assorbente dove un dolore, un pericolo, un dramma si fa manifesto. Ebbene voi comprendete dove è fisso il Nostro occhio, dove è teso il Nostro cuore: là dove gli uomini soffrono, dove piangono, dove muoiono. Oh! la triste visione!

Voi direte: la guerra! Sì. Non possiamo non rimanere vigilanti su questo dramma, che fa tanto soffrire coloro che vi sono impegnati e riempie la terra di sgomento, ma che la buona volontà di tanti Uomini di Stato sembra volgere a migliori speranze d’una pacifica risoluzione.

Ma non è solo la guerra a tener desta la Nostra affettuosa e dolorante attenzione. Guardate l’umanità; sì, questa umanità, così progredita e così potente; guardate: più della metà degli esseri che la compongono è in uno stato di sofferenza, che dobbiamo dire ignobile e intollerabile; soffre la fame! La fame, letteralmente.

Vogliamo credere che voi tutti abbiate sentito parlare di questo tristissimo stato di cose. Nessuno di voi sarà rimasto sordo a questa inattesa notizia. Ma è possibile? tutti si chiedono: è reale! Vi preghiamo di stare in ascolto. I giornali portano qualche voce di quelle regioni dove il fenomeno si riscontra; anzi qualche informazione riferisce che il fenomeno è permanente e crescente.

CONDIZIONI DI ESTREMA GRAVITA

Noi vi diremo di più: in un grande e a Noi tanto caro Paese (lo abbiamo visitato!), l’India, la fame ha raggiunto forme di estrema gravità: milioni di esseri umani si trovano in una penuria di viveri da minacciarli di morte. Pensate quali patimenti! La tradizionale rassegnazione di quelle popolazioni non resiste più all’enormità d’una simile calamità collettiva. Un grido di implorazione si leva come un gemito di popolo languente in una dura carestia, e nell’impossibilità di procurarvi da solo un adeguato rimedio. Condizioni climatiche avverse hanno prodotto tale stato di non prima raggiunta necessità. La gente muore letteralmente di fame. Le pubbliche autorità fanno ogni sforzo, che risulta impari al bisogno, ed hanno levato un grido nel mondo per avere un soccorso straordinario.

Questo grido pietoso è giunto anche a Noi; ma che cosa possiamo fare Noi, che non disponiamo che di ben limitate risorse economiche? Ma non potevamo rifiutare il Nostro obolo, che, nonostante la cifra considerevole per un bilancio modestissimo come il Nostro, ricorda in proporzione ai bisogni quello della vedova del Vangelo, ed ha piuttosto valore di segno - segno di sensibilità, di solidarietà, di affezione, di esempio -, che di sensibile aiuto. Lo abbiamo mandato tramite il Cardinale Gracias ed il Nostro Internunzio Apostolico a Nuova Delhi al Governo centrale dell’India. Analoga offerta abbiamo destinato al Pakistan, dove pure il bisogno si fa molto sentire.

PER LA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI

Poi Ci siamo ricordati del miracolo della moltiplicazione dei pani! Noi non abbiamo affatto la virtù prodigiosa di Cristo di far scaturire pane dalle Nostre mani impotenti. Ma abbiamo pensato che il cuore dei buoni può compiere questo miracolo. E siamo ricorsi alle fonti e alle riserve del benessere per avvalorare la domanda di aiuto partita dalla Nazione in disagio. Diciamo ad onore di chi esaudisce queste implorazioni che qualche munifico risultato è già stato raggiunto: si parla di oltre un milione di tonnellate di grano concesse dagli Stati Uniti; la stampa informa che anche il Canadà volentieri invierà soccorsi all’India; altri soccorsi si attendono. Ma occorre uno sforzo maggiore, occorre un contributo generale; occorre specialmente denaro per gli acquisti, per i trasporti, per la distribuzione. La Nostra organizzazione internazionale, chiamata «Charitas», è già all’opera, preceduta e sorretta da quella, ormai famosa e tanto benemerita, dei Cattolici Americani «Catholic Relief Services». Anche le potenti iniziative di carità dei Cattolici Tedeschi vengono in aiuto. La Nostra Congregazione de Propaganda Fide ha stanziato una somma generosa per pagare il trasporto delle derrate, che si raccolgono e si acquistano in America.

Ma il bisogno è grande. In India ed altrove. Diremo a quanti Ci ascoltano: il dovere è di tutti. È questo un fenomeno caratteristico del nostro tempo, nel quale i rapporti fra gli uomini hanno reso di conoscenza comune le vicende d’ogni parte dell’umanità. Nessuno oggi può dire: io non sapevo. E, in un certo senso, nessuno oggi può dire: io non potevo, io non dovevo. La carità tende a tutti la sua mano. Nessuno osi rispondere: io non volevo!

NOI TENDIAMO LA MANO MENDICANDO

Ebbene, oggi, Figli carissimi, quella mano è anche la Nostra. Noi la tendiamo mendicando a voi, a tutti i buoni cristiani, al Popolo di Dio: ai fanciulli, alle donne di casa, ai silenziosi risparmiatori (menzioniamo queste categorie, perché in esse il valore del denaro ha un aspetto cordiale particolare; e le loro oblazioni, anche modeste, hanno un merito, che Dio non dimentica).

Ma poi a tutti rivolgiamo preghiera di venire in aiuto alla fame nel mondo. Viene ora il Carnevale: quanta profusione di denaro per divertimenti spesso immoderati e superflui! quale sperpero di mezzi che potrebbero salvare dall’inedia e dalla morte innumerevoli esseri umani! Viene la Quaresima: quale invito alla penitenza, alla rinuncia, all’elemosina, alla carità!

Chi potrà dire d’essere conforme allo spirito di questo periodo preparatorio alla celebrazione del mistero pasquale, se non s’è ricordato, con qualche proprio sacrificio di borsa e di rinunciabile agio, dei fratelli languenti nella fame e nella povertà?

«Beato colui, esclameremo col Salmista, beato colui che ha l’intelligenza - la comprensione, la solidarietà del cuore e dell’opera - del povero e dell’indigente; nel giorno triste lo assisterà il Signore» (Ps. 40, 2).

A voi tutti, diletti Figli e Figlie, ed a quanti giunge l’eco della Nostra voce implorante, auguriamo questa beatitudine, e la auspichiamo con la Nostra Apostolica Benedizione.

                                               



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