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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì Santo, 22 marzo 1967

 

Partecipare degnamente ai riti della Settimana Santa

Diletti Figli e Figlie!

Questa udienza porta oggi d’intorno a Noi molti visitatori e pellegrini che vengono da lontano, e a Roma forse per la prima volta. Dovremmo diffonderci nei saluti; e volentieri diamo a tutti e a ciascuno il Nostro accogliente e benedicente «benvenuto». Ma il motivo principale di codesta presenza Ci suggerisce altro discorso. Se Noi domandiamo ai Nostri visitatori, a quelli d’oltr’alpe specialmente: perché siete venuti? Qual è il motivo del vostro viaggio? Noi crediamo d’indovinare la risposta di molti fra voi: siamo venuti per la Settimana Santa e per assistere a qualche celebrazione romana dei riti pasquali. Questa ragione raddoppia in Noi il piacere di accogliervi, e Ci suggerisce di considerare questa udienza come una preparazione spirituale al prossimo grande triduo liturgico e alla sua conclusione nella festa della Risurrezione di Cristo.

Quale possa essere la preparazione ai prossimi santi giorni non è facile dire in questo breve momento. Dovremmo ricordare che l’assistenza ai riti pasquali non può essere soltanto quella di spettatori che stanno a guardare; la visione esteriore dei riti non ne esprime che molto parzialmente lo svolgimento logico e spirituale, e lascia soltanto intravedere a chi osserva attentamente il significato. La scena cerimoniale è ben poca cosa a confronto della ricchezza religiosa, teologica, psicologica, drammatica, che essa semplicemente presenta e profondamente contiene. E basti questa semplice osservazione per subito concludere che l’assistenza ai riti pasquali esige qualche loro conoscenza, quella almeno che ci può dare un libro, una guida, per poterli seguire senza noia e senza delusione. Non sono uno spettacolo, che gli occhi da soli possono comprendere e gustare.

E questo ora è canto più importante per l’esigenza del criterio pratico fondamentale della recente riforma liturgica, il criterio cioè della partecipazione d’ogni fedele assistente al rito sacro, all’azione in cui si svolge e al mistero di verità e di grazia ch’esso contiene. Non è più consentito assistere ad una celebrazione liturgica con una presenza puramente materiale e passiva; occorre da parte di ognuno e di tutti un’adesione personale, e concorde con la comunità, alla parola divina e all’azione sacra che il rito liturgico sta compiendo (cf. Const. Sacros. Concilium n. 11, 19, 26, ecc.). Noi vogliamo aggiungere qualche cosa di più, in ordine ai riti della Settimana Santa; essi sono così direttamente commemorativi dei misteri della nostra redenzione, anzi così tipicamente rievocatori e rinnovatori degli avvenimenti, in cui s’è compiuta l’opera della nostra salvezza, che essi sembrano reclamare una partecipazione più intensa; osiamo dire uno spirito di comunione. I fedeli fervorosi Ci comprenderanno. Del resto tutto il mistero pasquale conclude alla comunione pasquale. Così che chi vuole davvero impegnare il proprio spirito, nei prossimi giorni, alla piena celebrazione del mistero pasquale dovrà mettersi in un’attitudine nuova e particolare di comunione con Cristo.

Quali saranno i sentimenti prevedibili di questo spirito di comunione con Cristo? Qui dovremmo chiederlo ai Santi, molti dei quali ci hanno lasciato meravigliosi e commoventi documenti delle loro esperienze spirituali di quando hanno cercato di avvicinarsi al Signore per unirsi a Lui nel dramma della sua passione, e poi della sua morte, e infine della sua risurrezione. Ma se ciascuno si accontenta d’interrogare la propria anima, può darsi che egli avverta delle strane reazioni, mentre tenta d’avvicinarsi al Salvatore nell’atto di consumare l’opera della nostra salvezza. Una prima reazione può essere una certa ritrosia, non dovuta soltanto alla riverenza, ma ad una timidezza, ad una paura, ad un ribrezzo davanti al dolore divino e al sangue dell’Agnello redentore del mondo. «Omnes fugerunt» (Matth. 26, 56): anche i discepoli fedelissimi, in quel terribile momento, fuggirono tutti. E la reazione comune, del resto, di certo cristianesimo, che vorrebbe espungere dal Vangelo le pagine tragiche della passione per godersi il Vangelo della saggezza, della bellezza, della dolcezza; un cristianesimo senza sofferenza e senza sacrificio.

Un’altra reazione può essere dello sgomento di chi avverte di non conoscere abbastanza Gesù. Quasi noi lo sentiamo ripetere: «Da tanto tempo Io sono con voi, e ancora voi non mi conoscete» (Io. 14, 9). Sì, la passione di Cristo è tale rivelazione, da rimanere sbalorditi; tutto essa contiene: sul disegno divino, sulla storia umana, sul destino del mondo, sul mistero del dolore e del male, sulla libertà e il peccato, sulla giustizia e la misericordia, sul prodigio redentore del sacrificio e dell’amore, che S. Paolo affermava di non conoscere «che Cristo, e Cristo crocifisso» (1 Cor. 2, 2); e ogni volta che noi tentiamo di metterci in comunione con Lui Redentore, ci sentiamo sopraffatti e ignoranti; vorremmo ricominciare la nostra iniziazione cristiana, vorremmo tentare di guardare il panorama del mondo dall’alto della Croce, o almeno discendere nell’umiltà interiore per confessare, come il Centurione sul Calvario: «Veramente Egli è Figlio di Dio» (Matth. 27, 55). E forse nessun esercizio spirituale è più corroborante di questo.

Poi finalmente, e per semplificare, accenniamo ad un altro sentimento, che scaturisce dallo spirito di comunione con Cristo pasquale; ed è la gioia, una gioia nuova, profonda, ineffabile, che invade l’anima come nessun’altra felicità; la gioia della fiducia, la gioia del sentirsi chiamare per nome dal Risorto, come la Maria del Vangelo (Io. 20, 16), la gioia della vita che non muore. E sia questo sentimento il vostro, carissimi Figli, nel giorno beato di Pasqua, a conclusione dei sacri riti, ai quali vi esortiamo a degnamente partecipare, con la Nostra Apostolica Benedizione.

                                          



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