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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 8 agosto 1973

 

Contrapporre l'osservanza della legge morale alla permissività dilagante

Un ideale muove e muoverà sempre la Chiesa di Dio, quello di attuare in sé e di annunciare d’intorno a sé, al mondo che la circonda e in cui ella è praticamente immersa, il messaggio cristiano, la vita cristiana autentica, quale deriva dal Vangelo e dalla tradizione fedelmente dal Vangelo sgorgata, come pianta da seme. Questo ideale assume impegno ed urgenza dopo il Concilio, quasi a superamento positivo delle manifestazioni molteplici e spesso disorganiche, esplose in seno alla Chiesa stessa durante questi ultimi anni, ma covate da tempo in qualche suo interiore cenacolo, più recettivo delle degradanti correnti culturali esteriori d’un cristianismo semplificato e ridotto ad espressioni secolarizzate, che non degli impulsi sempre vivi ed impellenti delle proprie interiori sorgenti; ed assume questo ideale uno speciale impegno ed una più pressante urgenza nella prossimità dell’Anno Santo, che vorremmo restituisse al Popolo di Dio un senso di pienezza e di contentezza nella coscienza e nella professione della sua genuina vocazione.

Se non che questa coraggiosa aspirazione fa sorgere in noi il senso e quasi l’esperienza delle difficoltà che un’auspicata vita cristiana autentica incontra nella fase storico-spirituale, nella quale la Provvidenza colloca la nostra presente esistenza. Il cristianesimo, dicevamo altra volta, non è facile, specialmente ai nostri giorni. È in corso tutto un movimento di pensiero e di azione, più rischioso, che veramente saggio, per presentare all’opinione pubblica formule cristiane di facile applicazione, snervate dalle loro intrinseche esigenze e insensibilmente assimilabili a quelle storico-sociologiche dominanti nel mondo. Dicevamo questo a proposito della fede. Dobbiamo analogamente dire la stessa cosa per la morale.

È facile la vita morale cristiana, oggi?

No, fratelli e figli carissimi, non è facile. L’osservanza della norma morale, quale noi crediamo si possa dire cristiana, costituisce una delle principali difficoltà per quella forte e genuina affermazione di vita etico-religiosa moderna, che noi andiamo auspicando. Non è facile, diciamo, non per spaventarvi e per togliervi la speranza d’un vittorioso successo al proposito, che confidiamo condiviso da tanti e tanti membri della Chiesa rinascente, ma per dovere di sincerità e per dare coraggio alle vostre coscienze nelle attuali contingenze.

E prima di tutto perché da sempre la sequela di Cristo ha reclamato questa visione realistica e questo immanente coraggio. «Non tutti quelli che mi dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, questi entrerà nel regno de cieli» (Matth. 7, 21; Rom. 2, 13; Iac. 1, 25); «Entrate per la porta stretta . . . . quanto angusta è la porta e stretta la via che conduce alla vita . . .». «Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, e porti la sua croce, e mi segua. Poiché chi vorrà salvare l’anima sua (cioè la propria vita), la perderà; e chi perderà l’anima sua per amor mio, la troverà» (Matth. 16, 24-25). Sono parole di Gesù. E non è dubbio che gli Apostoli, con la prima generazione cristiana, hanno subito interpretato la forma operativa della loro nuova religione come una rigorosa ed ascetica osservanza della nuova legge morale cristiana (Cfr. Ep. ad Diognetum, V; S. IGNATII ANT. Ad Rom., VII, etc. ). Quel dominante richiamo al distacco dai valori esteriori e temporali, quella celebrazione della povertà dello spirito, quella sequenza di beatitudini, esalanti come inebrianti profumi dalle amarezze o dalle eroiche virtù della nostra piatta esistenza, quel perdonare le offese e offrire l’altra guancia a chi ti ha percosso su quella destra, quella purezza di cuore che spinge fino ad inibire ogni sguardo disonesto, eccetera, sono il tessuto del Vangelo, che da una moralità legale ed esteriore riporta la verità umana del bene e male nell’intimo del cuore (Cfr. Matth. 15, 11); e ciò rende certamente ardua la perfezione delle virtù cristiane; ma sappiamo che questo genere di difficoltà è compensato dalla sintesi dei doveri cristiani in quello supremo dell’amor di Dio, e in quello che subito lo segue, dell’amor del prossima (Matth. 22, 38), e poi dalla liberazione dal peccato, non che dall’osservanza delle prescrizioni legali dell’antica legge, ormai superate, come ciascuno sa, dall’economia della fede e dall’aiuto della grazia, sempre pronto a chi umilmente e fiduciosamente lo implora (1 Cor. 10, 13).

Ma non è di questa dura, ma felice milizia per la virtù cristiana, pur degna del nostro vivissimo interesse (Cfr. Eph. 6, 17; 1 Thess. 5, 8), che vogliamo ora discorrere. È piuttosto di quel decadimento del senso morale, che caratterizza il nostro tempo. Discorrere precisamente, no; il tema troppo grande sarebbe; ci basti far cenno, con alcune poche osservazioni.

Possiamo noi, ad esempio, escludere dalla nostra mentalità morale il senso del peccato? Non possiamo, perché il peccato incide sul nostro rapporto con Dio. È una delle verità basilari della nostra concezione etico-religiosa: ogni nostra azione termina, positivamente o negativamente nell’ordine voluto da Dio a nostro riguardo. Ora la mentalità radicalmente laica del nostro tempo annulla la prima e più genetica responsabilità morale, negando o trascurando il riflesso delle nostre azioni allo sguardo di Dio, il riflesso negativo specialmente, cioè l’offesa fatta a Dio, che è il peccato. Il cristiano non può certo rassegnarsi a questa capitale flessione del sistema morale. Vi è implicata tutta l’economia della Redenzione.

E basta ritenersi responsabili di fronte alla propria coscienza? La coscienza morale è certamente il criterio prossimo e indispensabile circa l’onestà delle nostre azioni; e Dio voglia ch’essa sia sempre tenuta in onore nell’educazione della personalità umana; ma la coscienza ha bisogno d’essere istruita, informata, guidata circa la bontà obiettiva dell’azione da compiere; il suo giudizio istintivo e intuitivo non basta; occorre una norma, occorre una legge; altrimenti tale suo giudizio può alterarsi sotto l’impulso delle passioni, degli interessi, o degli esempi altrui. Altrimenti la vita morale vive di utopie, o d’istinti; ed è, come oggi avviene, una vita morale pieghevole alle circostanze esteriori, alle situazioni, con tutte le conseguenze di relativismo e di servilismo che ne derivano, fino a compromettere quella dirittura di coscienza che chiamiamo il carattere e a fare degli uomini una massa di «canne sbattute dal vento» (Matth. 11, 7). Sentirete dire che bisogna dare alla propria vita un carattere di sincerità; e per sincerità qui s’intende concedere la propria libertà autonoma e personale agli impulsi della propria animalità, della propria smania di godere, senza superiori e logiche inibizioni, al proprio ignobile egoismo. Sentirete affermare che oggi tutto il castello della moralità tradizionale è crollante a causa delle trasformazioni della vita moderna, e che il criterio direttivo della nostra condotta dev’essere antropologico-sociale, cioè deve essere la conformità al costume dominante, senza che questo abbia a corrispondere a criteri superiori di bene e di male. E sentirete forse perfino nell’ambiente cristiano polemizzare contro la fedeltà tradizionale sia alla «legge naturale», di cui si contesta perfino l’esistenza, sia al magistero della Chiesa, quando essa si pronuncia a difesa dei diritti fondamentali e sacri della vita e del costume che ancora meritino il nome di umano e di cristiano.

Voi comprendete a quali fenomeni etici, sociali, politici il contrasto fra la ferma moralità cristiana e la permissività amorale, o la provvisorietà, etica oggi di moda, può riferirsi. Quale tempesta avanza sul mondo, quale possibile naufragio della civiltà si può prospettare! E comprendete come l’imitazione di Cristo, più intelligente e penetrante di quella consuetudinaria e contumace di tanti che si dicono cristiani, debba risalire alla direzione delle nostre coscienze e debba desumere dal battesimo, da cui siamo stati rigenerati, come figli del Dio vivente, il suo originale statuto e la sua soprannaturale energia per la vita nuova, a cui siamo stati chiamati ed impegnati.

Così sia, con la nostra Apostolica Benedizione.


Capitolari dei Minimi

Rivolgiamo ora un particolare ed affettuoso saluto ai Membri del Capitolo Generale Speciale dell’Ordine dei Minimi, che sono presenti a questa Udienza insieme col loro Superiore Generale. Padre Andrea Maria Lia.

Figli carissimi! Ci fa piacere che voi, nella fase conclusiva del vostro Capitolo, in cui state dedicando particolare attenzione alla finalità ed attualità del messaggio penitenziale, alla luce anche del movimento spirituale dell’Anno Santo, avete desiderato di riconfermare la vostra fedeltà e devozione alla Sede Apostolica.

Grazie vivissime non solo per questa vostra testimonianza di filiale pietà, ma anche e soprattutto per lo spirito buono che anima i vostri lavori ed i vostri propositi, per mantenere lo spirito e le forme penitenziali del vostro Ordine, per adeguarle al tempo di oggi, e per renderle sempre più atte ad esprimere la totale adesione al Vangelo (Cfr. Marc. 1, 15). La pratica della penitenza, anche esterna e fisica, che voi avete voluto ribadire, nella scia del vostro Fondatore S. Francesco di Paola, è un segno manifesto dei buoni principii ascetici, che regolano la vostra vita religiosa, perché la vera penitenza «non può prescindere, in nessun tempo, da una ascesi anche fisica: tutto il nostro essere, infatti, anima e corpo ... deve partecipare attivamente a questo atto religioso, con cui la creatura riconosce la santità e maestà divina» (Poenitemini, II).

Benedica il Signore l’opera di santificazione, a cui ciascuno di voi è impegnato, per sé e per i confratelli, con rinnovato fervore e fecondi i propositi di apostolato che certamente ne scaturiranno.

Vi accompagni in questo sforzo la nostra speciale Benedizione, che impartiamo di cuore a voi, dilettissimi figli, ed all’intero benemerito Istituto.

Alunne dell’Istituto Internazionale di scienze dell’educazione

Il nostro saluto va ora alle insegnanti e alunne, di varie nazioni, che frequentano, qui a Castel Gandolfo, l’Istituto Internazionale di Scienze dell’Educazione. Ci compiacciamo sinceramente con voi, come facciamo ogni anno con le partecipanti ai vostri corsi, per l’attenzione dimostrata verso uno dei problemi più importanti della società, di oggi e di sempre: quello dell’educazione.

L’istituto, presso il quale compite il perfezionamento dei vostri studi, è una prova di quella fioritura di iniziative pedagogiche che il Concilio Vaticano II ha indetto come un indice della maturità del tempo nostro, in cui «si moltiplicano e si sviluppano largamente le scuole, come pure si fondano altri istituti di educazione; attraverso nuove esperienze si perfezionano i metodi educativi e didattici, e si fanno sforzi davvero grandiosi per educare e istruire tutti gli uomini» (Gravissimum Educationis, 1). Che cosa vi diremo? Di profittare dei mezzi posti a vostra disposizione in questo tempo prezioso della vostra età, per acquistare e perfezionare l’arte di educare e di fare educare: arte senza dubbio difficile e delicata, ma arte meravigliosa e sublime, perché non rivolta come le altre a dominare le cose insensibili per trarne i capolavori dell’espressione, ma a plasmare l’animo dell’uomo di domani, la sua volontà, il suo carattere e a renderlo conscio della sua grandezza e responsabilità di figlio di Dio, capolavoro dell’intera creazione. A questo voi vi preparate; e ci piace affidarvi un pensiero del nostro Predecessore Pio XI, a ricordo di questa Udienza: che «le buone scuole sono frutto non tanto dei buoni ordinamenti, quanto principalmente dei buoni maestri, i quali, egregiamente preparati e istruiti . . . ardano di amore puro e divino per i giovani loro affidati, come amano Gesù Cristo e la sua Chiesa» (Enc. Divini illius Magistri: AAS 22, 1930, 80-81).

A tanto vi incoraggi la nostra Benedizione, che di cuore impartiamo a voi, ai vostri Professori e ai vostri cari lontani.

Piccolo clero di Malta

Anche quest'anno, siamo lieti di dare il nostro particolare ben- A venuto ai 35 membri del Piccolo Clero, dell’arcidiocesi di Malta, i quali vengono, così volenterosi, a prestare servizio liturgico nella Patriarcale Basilica Vaticana per la durata di quasi due mesi, durante l’estate.

Bravi, ragazzi carissimi! Meritate tutto il nostro plauso e il nostro ringraziamento per lo spirito di generosità e di amore alla Chiesa, che dimostrate col vostro impegno: prima, col prepararvi intensamente con un apposito corso di selezione, poi col mettervi a disposizione nel periodo delle vacanze, sacrificando il vostro tempo, e per di più lontani dalle famiglie, per assicurare alla Basilica di San Pietro il suo rinomato decoro, proprio nei mesi in cui il numero dei sacerdoti e dei pellegrini diventa più intenso.

Apprezziamo lo sforzo, lodiamo la buona volontà, incoraggiamo l’iniziativa; in voi vediamo i fedeli di Malta, sempre vicini e devoti alla Chiesa di Roma; e soprattutto per voi, per i vostri genitori, per i vostri amici che non hanno purtroppo potuto seguirvi, pur avendo frequentato le lezioni preparatorie, preghiamo il Primo degli Apostoli, San Pietro, affinché vi protegga sempre e interceda per voi, perché cresciate buoni, bravi, puri, sereni, perseveranti, attingendo dai Divini Misteri la forza di essere esemplari soldati di Cristo, speranza lieta della Chiesa e della vostra cara Patria.

In pegno di questi voti, a tutti impartiamo la nostra particolare Benedizione Apostolica.

Due gruppi di Libanesi

Nous tenons à saluer particulièrement les deux groupes qui aujourd’hui représentent le Liban.

Nous nous tournerons d’abord vers les jeunes artistes qui ont participé brillamment au concours sur la Bible. Vous représentez ici les quelque quarante-cinq mille jeunes de votre pays qui ont réfléchi et travaillé pour exprimer de leur mieux le message des Livres Saints. Nous vous félicitons, ansi que tous les jeunes du Liban qui ont pris part à tette belle manifestation. Nous vous encourageons aussi à persévérer dans votre recherche par la letture et la méditation de la Bible et surtout de l’Evangile: vous y trouverez force et lumière pour toute votre vie.

Nous sommes heureux d’adresser ausst notre salut cordial aux autres pèlerins libanais que Nous accueillons au centre de la chrétienté. Puissiez-vous, chers Fils et chères Filles, rapporter de votre pèlerinage aux tombeaux des Apôtres un amour encore plus vif du Seigneur et un sens approfondi de l’unité de son Eglise. A tous, Nous donnons de grand cœur notre Bénédiction Apostolique.

                                                                                             



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