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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 20 febbraio 1974

 

«Caritas Christi urget nos»

Quando si comincia ad interessarci di Cristo, finire non si può. Resta sempre non solo qualche cosa da sapere e da dire; resta il più. S. Giovanni, l’evangelista, termina proprio così il suo libro: «Vi sono ancora molte altre cose fatte da Gesù; che se si volesse scriverle ad una ad una, il mondo intero, io credo, non potrebbe contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Io. 21. 25). Tanta è la ricchezza delle cose che a Cristo si riferiscono, tanta la profondità da esplorare e da cercare di comprendere, tanti i problemi a cui il mistero di Cristo si collega, tante le difficoltà che insorgono intorno e contro di Lui, tanta la luce, la forza, la gioia, il desiderio, che da Lui scaturiscono, tanta la realtà della nostra esperienza e della nostra vita che a noi da Lui deriva, che davvero sembra sconveniente, antiscientifico, irriverente mettere fine alla riflessione, che la sua venuta al mondo, la sua presenza nella storia e nella cultura e l’ipotesi, per non dire la verità, della sua vitale relazione con la nostra propria coscienza, onestamente esigono da noi. Non si finirebbe mai di girare intorno a questo polo dei nostri supremi interessi: Gesù.

Così che, ad un certo momento, sorge nello spirito, credente o profano che sia, il bisogno d’una sintesi, il bisogno di trovare un punto prospettico centrale, che ci consenta di considerare tutto ciò che si riferisce a Gesù Cristo con un solo sguardo, con un pensiero riassuntivo, con un sentimento unico. E senza entrare ora nella sfera psicologica di questa questione (sarebbe un’indagine interessantissima tentare un’escursione di questo genere attraverso qualche documento agiografico, per scoprire ciò che Cristo fu nel cuore dei Santi), possiamo, per un istante, guardare il panorama oggettivo, biblico o teologico, ponendolo a confronto, se così piace, per averne migliore intelligenza, con gli aspetti caratteristici di altre religioni, per ridurre, senza deformare, nel perimetro visuale della nostra percezione il significato supremo e primario e centrale del cristianesimo, cioè della venuta di Gesù Cristo nel mondo.

Per migliore comprensione di quanto stiamo dicendo ricorderemo come questo bisogno di vedere tutto ciò che a Cristo si riferisce nell’involucro d’una formula comprensiva è stato sempre presente nell’anima umana (Cfr. ad es. Io. 7, 26, 41; Matth. 26, 63); le professioni di fede battesimale, i simboli; le controversie cristologiche, certe opere dei Padri (Cfr. ad es. S. AUGUSTINI Enchiridion, 4: PL 40, 232; etc.). Diciamo d’I più: l’insegnamento apostolico ci guida alla ricerca e alla scoperta dell’idea centrale della rivelazione cristiana; e lo studio critico-letterario moderno tende istintivamente a identificare una chiave d’interpretazione del fatto cristiano (Cfr. ad es. A. VON HARNACH, L’essenza del cristianesimo, 1900; C. ADAM, L’essenza del cattolicesimo, 1930). Se fosse domandato a ciascuno di noi: qual è l’idea centrale della fede cristiana? Come risponderemmo?

Ritorniamo alla scuola di San Paolo, e domandiamo a lui la risposta. Noi già sappiamo che due problemi, insolubili alla nostra speculazione razionale, ci mettono in ascolto; e cioè sappiamo che il fatto cristiano è un fatto religioso, cioè è fondato su due teste di ponte, estremamente corrispondenti anche se infinitamente diverse, che lo sostengono: l’uomo (e chi conosce l’uomo, quando la sintesi platonico-socratica culmina in una domanda, inesauribile nella risposta: «conosci te stesso»?), e poi Dio (e Dio chi lo può in se stesso conoscere?) (Cfr. lo. 1, 18; Act. 17, 23; 1 Cor. 13, 12). E, secondo, se il cristianesimo è un fatto religioso, è per ciò stesso un fatto misterioso. Come possiamo noi decifrarlo nelle sue intrinseche e supreme ragioni? Ascoltiamo dunque che cosa ce ne dice l’Apostolo, il quale più d’una volta apre la via alla identificazione del punto centrale del cristianesimo.

Qui non si può prescindere dalle citazioni; scegliamone due, che a noi sembrano giovare alla nostra giustificazione, ma troppo miope curiosità: Dio, dice S. Paolo, scrivendo ai Colossesi, mi ha affidato la missione di completare la Sua parola e di annunciarvi «il mistero occultato ai secoli . . . che è Cristo in voi, speranza di gloria . . .» (Col. 1, 26). L’altra citazione, in cui ricorre lo stesso concetto di mistero rivelato, è desunta dalla I lettera ai Corinti, dove si dice che l’annuncio del cristianesimo è l’apertura d’un segreto eterno di Dio per la salvezza del mondo (1 Cor. 2, 6-7). E in che cosa consiste questo segreto che finalmente si svela nella storia della umanità? È l’Amore! l’Amore nascosto, dietro la facciata dello scenario della natura fisica, impassibile e inesorabile, dove, sì, «le stelle stanno a guardare», ma vi è un Padre, che sta nei cieli, vi è un Dio, «che è ricco di misericordia e che per la grande carità con cui ci ha amati . . .» (Cfr. Eph. 2, 4.), e, osserva l’evangelista Giovanni, «talmente amato da dare il suo Figlio unigenito, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita» (Io. 3, 16).

Il segreto del cristianesimo è l’Amore salvifico di Dio e quindi poi di Cristo, il Quale «amò me e sacrificò se stesso per me» (Gal. 2, 20).
Questa è la religione fondata da Gesù Cristo: una religione, scaturita dalla Bontà infinita di Dio, fino alla immolazione di Gesù sulla croce, e a fare di Lui una vittima per la nostra salvezza.
L’incarnazione, il Presepio, si conclude nella Redenzione; due misteri questi, uno di vita, l’altro di morte, che si integrano in un solo dramma d’Amore (Cfr. FORNARI, Vita di Gesù Cristo). Così Cristo diventa per noi, com’è nel pensiero del Padre, il punto focale dell’universo, in Lui tutto s’incentra e si instaura (Cfr. Eph. 1, 10; S. TH. III, 1, 1).
Comprendiamo meglio così le parole di pace del Natale, riferite «agli uomini di buona volontà», parole che gli esegeti ci persuadono a tradurre: gli uomini oggetto della divina benevolenza; e possiamo allora concludere, per la nostra felicità, ed insieme per la nostra responsabilità: siamo amati da Dio, da Lui per primo (1 Io. 4, 10), senza esserne degni, essendone piuttosto assolutamente bisognosi.
Questo è il carattere essenziale, questo il segno specifico della nostra religione, questo lo stimolo urgente alla nostra amorosa risposta (2 Cor. 5, 14): Caritas Christi urget nos. Così, mentre il tempo passa, e questa vita si consuma, ricorderemo il Natale.
Con la nostra Apostolica Benedizione.

I dirigenti della U.N.I.T.A.L.S.I.

E ora il nostro particolare saluto ai membri responsabili delle Sezioni italiane dell’U.N.I.T.A.L.S.I.: presidenti, cappellani, medici, venuti col Cardinale Luigi Traglia, Decano del Sacro Collegio e Presidente Nazionale dell’Unione. In questa parola «particolare» vorremmo mettere tutte le espressioni della nostra benevolenza e stima, per un’organizzazione tanto benemerita, qual è quella che abbiamo enunciato in sigla, e che per disteso significa: «Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e ai Santuari d’Italia». Chi non conosce tale istituzione, che cura con tanta abnegazione i pellegrinaggi degli infermi nei luoghi della fede e della speranza ? Chi non ha visto all’opera i suoi instancabili membri?
L’occasione odierna ci è propizia per dirvi la nostra riconoscenza per il bene che fate, e l’incoraggiamento a moltiplicare ancora, se fosse possibile, i vostri sforzi e le vostre premure a favore dei malati, nei quali siete allenati a vedere il volto velato di Cristo. Ed è proprio questo il nostro augurio: di saper procedere fruttuosamente in questa scuola di altissima formazione, nella quale voi donate ai fratelli sofferenti, ma anche ricevete da essi le lezioni più alte della fiducia in Dio, dell’abbandono alla sua volontà, dell’oblazione delle sofferenze a pro del corpo di Cristo, che è la Chiesa (Cfr. Col. 1, 24).
Noi vi siamo vicini nella vostra missione in modo «particolare», ripetiamo; e, invocando su di voi la materna protezione della Vergine SS.ma, di cuore impartiamo a tutte le Sezioni dell’U.N.I.T.A.L.S.I. e alle loro attività la Benedizione Apostolica.

Clarisse Cappuccine adunate per aggiornare le Costituzioni

Con l’animo pieno di paterna commozione porgiamo ora il nostro saluto alla eletta schiera di monache, delegate dei Monasteri delle Clarisse Cappuccine di ogni parte del mondo, venute a Roma per la revisione delle loro Costituzioni.
Figlie carissime in Gesù Cristo, vi accogliamo con quell’affetto e quella stima che merita la grande famiglia delle Comunità monastiche, che voi degnamente rappresentate. E siamo lieti di ricevervi qui, perché possiamo indicarvi all’ammirazione e alla gratitudine di quest’assemblea, per il servizio prezioso e nascosto che voi prestate nella Chiesa, spendendo la vita nel silenzio, nella preghiera e nella mortificazione per amore di Cristo e per comunicare al mondo, pur separate dal mondo, la salvezza da Lui operata sulla Croce.

La vostra testimonianza di fedeltà all’ideale contemplativo oggi più che mai significa per i fedeli il primato di Dio e della vita interiore nel complesso dinamismo delle attività apostoliche; significa l’affermazione dei valori spirituali della preghiera, della povertà, dell’amore fraterno, dello spirito di sacrificio, della croce; cosicché, come afferma il Concilio Ecumenico, ben giustamente voi costituite «una gloria per la Chiesa e una sorgente di grazie celesti» (Decr. Perfectae Caritatis, 7).
Se il Popolo di Dio guarda a voi con questi sentimenti, voi da parte vostra dovete sforzarvi di corrispondere sempre più generosamente alla vostra vocazione. E che tale sia il vostro impegno, lo dimostrano i lavori del Convegno, ai quali state attendendo per dare ai vostri Monasteri quello slancio di rinnovamento, nella fedeltà delle vostre genuine tradizioni monastiche, che il Concilio Ecumenico ha richiesto, per adempiere con sempre maggiore fecondità il ruolo a cui siete chiamate nella Chiesa.
Vi assista lo Spirito del Signore, facendovi sempre più sue; vi guidi la Vergine Maria, vostro ideale e modello di consacrazione a Dio e di donazione alle anime; vi incoraggi la nostra Apostolica Benedizione, che di cuore impartiamo a voi qui presenti e a tutte le vostre Consorelle sparse nel mondo.

                 



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