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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 11 maggio 1977

 

Perennità del Mistero Pasquale

La Pasqua è passata. Ma noi sappiamo che essa è un avvenimento che rimane. Attenzione: rimane non soltanto nel ricordo storico dell’avvenimento che tutti ricordiamo: la morte di croce inflitta a Gesù, perché, come Pilato aveva scritto sulla tabella, apposta sopra la croce, Egli, «Gesù Nazareno era il re dei Giudei»; e la risurrezione al terzo giorno del misterioso crocifisso; ma rimane nella realtà del fatto prodigioso, inserito nella professione di fede, il «Credo», che la Chiesa ci fa recitare con un timbro di sicurezza all’atto del battesimo e poi nella celebrazione della Messa; rimane nella vita interiore d’ogni credente, rimane nella convinzione dei seguaci, tra i quali noi tutti abbiamo la gioia e la fierezza di annoverarci, nella società religiosa derivata dal Crocifisso risorto; rimane nella mistica e sacramentale presenza, che accompagna appunto la Chiesa nel cammino nel tempo, in attesa che alla fine Egli, Cristo morto e risorto, ridesti dal sonno di morte l’umanità, la giudichi e le assegni, se meritevole, una nuova forma di vita, a Lui congiunta, in ineffabile pienezza (Cfr. 1 Cor. 2, 9). Questa è la fede, questa è la verità. Questa è la visione della storia passata e la profezia per quella futura, che nella morte e nel ritorno alla vita di Gesù ha il suo centro focale, irradiante sul mondo; è la «Weltanschauung», la prospettiva dell’universo.

Noi faremo bene a considerare la nostra vita alla luce di questa rivelazione. «Io sono la luce del mondo» (Io. 8, 12) ha detto Gesù. E ciò che oggi ci attira, cercando di formarci una mentalità pasquale, è il pensiero che Gesù stesso ha offerto ai due tristi e delusi discepoli di Emmaus, come siamo soliti definirli, la visione sintetica di questo disegno storico-religioso, che in Lui stesso s’incentra. Ricordate la scena descritta dall’Evangelista S. Luca?

La rileggiamo insieme.

Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio, distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: « Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino? ». Si fermarono, con volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto».

Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzo e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane (Luc. 24, 13-35).

Avete ascoltato. Gesù amabilmente accompagna i due viandanti, che, oltremodo afflitti per la tragedia del Venerdì Santo, stanno perdendo la fede e la speranza: «Noi speravamo . . .». E il Signore nelle opache sembianze del compagno, che si è unito ai loro passi, li rimprovera; e spiega loro il senso d’un disegno storico tuttora a loro oscuro, il disegno storico che dalla Scrittura, resa lineare e trasparente dalla parola del Signore, risulta ora comprensibile nel suo profondo e bipolare significato: primo: «era necessario che Cristo patisse»; secondo: «per entrare così nella sua gloria».

Il dramma della libertà, primissima e misteriosa quella di Dio, ch’è Amore, anche nel sacrificio di Gesù (Cfr. Io. 3, 16); poi quella di Cristo che pur sudando sangue (Luc. 22, 44), si offre e si sacrifica (Gal. 2, 20); poi quella dei crocifissori, esecutori responsabili, ma difesi dallo stesso Gesù per la loro incapacità di capire (Luc. 23, 34), dei discepoli e degli spettatori, corresponsabili in certa misura, e quella delle miriadi di uomini, che peccando hanno cospirato all’immolazione dell’Agnello di Dio, «che toglie i peccati del mondo», . . . il dramma della libertà, dicevamo, è anche qui esaltato, ma assorbito in un superiore disegno ineffabile di sapienza, di bontà e di volontà divina, che dà carattere di necessità salutare alla croce, e quindi alla risurrezione: «era necessario che Cristo patisse», perché «Egli entrasse nella sua gloria»!

Bisogna sempre ripensare questo mistero pasquale! esso è il cardine dell’economia religiosa mondiale (Cfr. Eph. 1). Ripensarlo e riviverlo. Con la nostra Apostolica Benedizione.

Ad un gruppo di sacerdoti americani

We are happy to extend a special welcome to the priests who have been following a course of renewal at the North American College. Dear sons in Christ: for priests and bishops, continuing theological education must include an increased desire to live and grow in the faith of the Son of God. Christ himself has said: “This is the work of God: have faith in the One whom he sent” (Io. 6, 29). This faith in Jesus must be sustained and expressed in prayer. With greater faith and deepened prayer you must go back to your Dioceses; together with your brother priests, you must now try to give an ever more effective witness to the Lord Jesus and to his Kingdom and to his Coming. You are called and sent to preach a Crucified Christ. And although for some the message of his Cross is aseeming absurdity, for us it is the power and wisdom of God. And always remember: “God’s folly is wiser than men, and his weakness more powerful than men” (1 Cor. 1. 25). Through your priestly ministry, dear sons, may God lead his people to a deeper sharing in the joy of the Resurrection.

                                



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