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«VIA CRUCIS» DAL COLOSSEO AL PALATINO

OMELIA DI PAOLO VI

Venerdì Santo, 8 aprile 1966

 

Il Santo Padre desidera concludere la pia cerimonia con una riflessione riassuntiva, che rimanga in ogni anima quale ricordo e proposito. Eccola: è necessario portare la croce. L’affermazione proprio in questo momento, non suscita un’impressione, come di solito, sfavorevole; anzi, dopo il devoto esercizio compiuto, ne avvertiamo quasi la logica naturale; sentiamo cioè il senso doloroso che essa porta con sé e, quasi quasi, anche il contenuto onorifico. Non è forse un onore portare la croce? non desideriamo noi tutti tale ventura?

Eppure tale non è il nostro stato d’animo abituale perché, ordinariamente, siamo restii, e cerchiamo di eludere l’invito che la croce, con le sue braccia aperte, a noi rivolge. In realtà è arduo addossarci la croce. Perciò, adesso, l’invito del Padre a riflettere per un istante: che cosa significa portare la croce?

DOLOROSO STRUMENTO DELLA NOSTRA SALVEZZA

Vuol dire, innanzitutto, - e lo hanno confermato le nostre preghiere, le nostre meditazioni, i nostri canti -, riconoscere che dalla Croce siamo stati salvati. Questo pensiero ci è abituale al punto che non sempre desta la dovuta meraviglia, ma oltremodo propizia è quest’ora per chiederci come mai il Signore, che poteva in cento altre maniere salvarci, lo ha fatto, invece, mediante questa dolorosissima, disonorante, straziante, paradossale maniera: con la croce! Attraverso l’amore, l’obbedienza, il dolore, il sangue, l’infamia subita, il disonore e finalmente la morte, noi siamo stati salvati: «et livore eius sanati sumus», come dice il Profeta Isaia.

Siamo stati salvati dalla sua sofferenza. È quanto noi dobbiamo riconoscere come un punto attraente, meraviglioso, su cui la nostra meditazione, sia ascetica che teologica, dovrà soffermarsi: come mai la Redenzione è avvenuta attraverso la tragedia del sangue e della morte di Cristo?

La grande realtà significa ancora: accostarsi, partecipare, unirsi alla Croce di Cristo. E qui comincia il discorso che atterrisce e pone in molte anime riluttanza e timore. Eppure, e prima d’ogni altra cosa, partecipare alla Croce di Cristo vuol dire ricevere il beneficio che la Croce ci ha ottenuto, e cioè la misericordia di Dio, e quindi la nostra salvezza. La bontà del Signore in questa maniera ci si è rivelata; Egli l’ha prescelta per redimerci. Ci ha aperto il suo Cuore, e la carità di Dio si è manifestata, insieme con il suo desiderio di sostituirsi a noi nelle nostre responsabilità e nelle pene che avremmo dovuto sopportare per le nostre mancanze. È, dunque, il dono della misericordia che noi accettiamo quando diciamo che vogliamo prendere tra le nostre braccia la Croce di Cristo.

LE SOFFERENZE INERENTI ALLA VITA UMANA

Né va dimenticato un successivo modo di partecipare ai dolori del Signore. Cristo ci ha redenti? Sì. Egli però non ci ha dispensati dalla sofferenza inerente alla vita umana. Ha dato anzi a tale sofferenza la possibilità di diventare in certo qual modo redentrice, di acquisire la virtù propria della Croce di Cristo nel salvare, nel redimere, nel farci incontrare e rincontrare il Signore ed introdurci così nella nostra salvezza completa ed eterna. Nessuno perciò deve sfuggire all’invito espresso da Gesù medesimo nel suo Vangelo: Se qualcuno vuol essere mio seguace e veramente mio fedele, prenda la sua croce e mi segua. Quando? L’Evangelista San Luca aggiunge: «cotidie»: ogni giorno. Portare la croce è, pertanto, una attitudine, è uno stato, una condizione propria della vita cristiana. Non possiamo esimerci, se vogliamo essere cristiani, dall’assumere, in qualche maniera, la Croce del Signore. E se ci domandiamo ancora in che consiste questa partecipazione, vedremo che i dolori, i doveri, i sacrifici impostici dalla vita ci vengono incontro per dirci: ecco la croce che il Signore ti ha preparato.

Consegue per tutti un alto impegno. Invece di essere sempre ribelli, gente che non sa né rassegnarsi né vedere la provvidenza implicita nel dolore, occorre, al contrario, diventare forti, saggi, e pazienti e ripetere le grandi parole che il Signore ha pronunciato prima di salire al Calvario: Si compia, o Padre, la tua volontà.

A CRISTO SEMPRE E VERAMENTE FEDELI

Oggi rileviamo scarsa disposizione ad ammettere la grande verità. Se ben si considera, tutto l’indirizzo della educazione moderna è interamente orientato ad un certo edonismo, verso la vita facile, verso lo sforzo di eliminare la croce dal programma quotidiano. Non si vorrebbe soffrire mai. E anche quando le contrarietà giungono, una rivolta interiore le respinge: ritenendole quasi un insulto alla Provvidenza e al nostro destino. L’uomo arriva a toccare la Croce del Signore, ma rifiuta di portarla. Anche nella interpretazione del Vangelo, quante volte si cerca di eliminare le pagine della Passione di Gesù per cogliere dal Libro divino soltanto quel che può rendere bella, serena, poetica, lirica, splendida la vita. Nel contempo la pagina sanguinante e tragica della Croce incute paura e non la si vorrebbe leggere mai. Anche oggi, dopo il Concilio, spesso si affaccia la tentazione di considerare facile il Cristianesimo, di accoglierlo nei suoi conforti, ma senza alcun sacrificio, cercando di renderlo conformista a tutti gli agi abituali del vivere mondano.

Non è così! Non deve essere così! Se è vero che la nuova disciplina della Chiesa cerca di rendere agevole la vita cristiana e mostrarne i valori positivi, stiamo attenti: il Cristianesimo non può essere, non può essere esonerato dalla croce; la vita cristiana non può nemmeno supporsi senza il peso forte e grande del dovere, non può nemmeno ritenersi tale senza il passaggio, il mistero pasquale del sacrificio. Chiunque cerca di togliere tale realtà dalla vita, illude se stesso; e snatura il Cristianesimo; fa del Cristianesimo una interpretazione molle e comoda della vita, mentre il Divino Maestro, nostro Signore, ha detto a tutti che bisogna portare la croce: nelle sue asprezze; nei suoi dolori; nella sua esigenza assoluta e, se necessario, anche tragica.

Il Santo Padre affida dunque a tutti gli ascoltatori questo pensiero, a ricordo del pio incontro, della preghiera del Venerdì Santo. Non temiamo la Croce di Cristo, non abbiamo paura della Croce che il Signore ha portato per noi e che ci offre per la nostra salvezza! Se noi siamo solerti e volenterosi nel portare la croce, dice l’Imitazione di Cristo, vedremo che è la stessa Croce a portare noi. La Croce, infatti, è sorgente di forza, di energie spirituali; la Croce è rivelatrice del cuore umano; la Croce dà valore a tutte le nostre fatiche e a tutte le nostre sofferenze; la Croce è la chiave per entrare nel Regno dei Cieli e dà il premio del gaudio eterno. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi, quia per sanctam Crucem tuam vedemisti mundum.

Diamo ora - conclude Sua Santità - la Nostra Benedizione a conferma di questa escursione spirituale, dei buoni sentimenti che essa certamente ci ha ispirati, e dei propositi che, davanti a Cristo, a Lui offriamo per essergli, veramente e sempre, fedeli.

                                      



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