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PAOLO VI

OMELIA   

 Giornata per la Pace, 1° gennaio 1969

 

Signori Cardinali!

Signori dell’Urbe! dove la Pax Romana, cioè quella che vuol significare civiltà e universalità, conserva i suoi ideali trofei! Signori del Mondo! ai quali giungerà forse l’eco di questa Nostra parola! per vostro tramite, sempre rapido e sicuro, Signori Diplomatici, che qui rappresentate i Governi dei Popoli! Gli arbitri della pace!

E voi, cittadini della società moderna, per i quali la pace è maggiormente questione di vita, o di morte! 

Voi, uomini di Chiesa, che della pace di Cristo custodite e proclamate il messaggio; voi specialmente, Figli di San Francesco, che in questa chiesa fate del suo non spento saluto «Pax et bonum» il vostro emblema perenne! Voi, Figli carissimi della Nostra Commissione «Iustitia et Pax»! 

E finalmente voi, fanciulli che assistete a questa preghiera pensando all’effigie, celebrata qui in «Ara Coeli», del Bambino Gesù, per la cui nascita, a Bethleem, risuonò fra cielo e terra, col grido di gloria a Dio, l’annunzio della pace in terra agli uomini da Lui benvoluti! 

Tutti Noi vi invitiamo a celebrare insieme, oggi, primo giorno del nuovo anno 1969, la «Giornata della Pace», come quella che vuole incominciare bene, nell’invocazione, nell’augurio, nel proposito della pace, il nuovo corso del tempo, e che vuole congiungere in uno stesso pensiero la pace e l’anno che viene, la pace e la speranza, la pace e la conversazione umana, la pace e la serenità domestica, la pace e l’equilibrio sociale, la pace e il benessere, la pace e il progresso, la pace e la buona coscienza, la pace e la grazia di Dio. 

Come mai questo nome «pace» può abbinarsi a tante manifestazioni della vita, e può esigere da noi una così prevalente considerazione? 

Lo sappiamo tutti: perché la pace è l’armonia delle cose; e noi moderni che abbiamo sempre più cognizione e possesso di tante cose, non possiamo goderne, se esse non sono coordinate come si conviene; la pace è la condizione ed il risultato dell’ordine. 

Chi non ricorda la celebre definizione di Sant’Agostino: tranquillitas ordinis? la tranquillità (e non per questo immobile, statica) dell’ordine (cfr. De civ. Dei, 19, 13; P.L. 41, 640). E poi perché la pace, quella vera, è l’espressione della giustizia: opus iustitiae pax (Is. 32, 17).  

 La pace oggi è un’esigenza tanto più sentita quanto più noi facciamo attenzione ai rapporti primari e vitali del mondo umano, i rapporti con Dio, con Cristo, con la Chiesa, con gli uomini; chiamiamoli rapporti teologici, perché ci sono noti nel disegno misterioso e profondo della rivelazione; così avvertiamo il bisogno morale, psicologico, personale di avere «la coscienza in pace», cioè l’esperienza interiore, pacifica e non tumultuosa e disperata del nostro essere, delle nostre facoltà; e sempre più ci accorgiamo che è ormai tempo di sciogliere la dialettica delle condizioni sociali da una fase di lotta e di egoismi e bisogni contrastanti in una nuova fase di libera ed equa coordinazione di funzioni complementari, di partecipazione a responsabilità e a vantaggi comuni, e di fratellanza collaboratrice e concorde; e finalmente tutti desideriamo che i conflitti ancor oggi operanti (il pensiero corre al Vietnam, all’Africa, alla Palestina ed ogni altro conflitto fra i Popoli, fra le Nazioni, fra gli Stati, fra i nuovi Organismi internazionali e supernazionali), abbiano a risolversi non già con prove di forza brutale e micidiale, cieca e rovinosa, o con imposizioni oppressive, ma con procedimenti razionali, che sappiano tutelare il diritto, l’interesse, l’onore delle collettività umane, con equilibrio, con temperanza, con equanimità, forse non senza qualche vicendevole sacrificio, ma senza sacrificio di vite umane, spesso ignare e innocenti dei motivi dei contrasti in questione, e senza sperpero di energie e di mezzi, quando ancora la maggior parte dell’umanità manca d’una equa sufficienza di vita. 

Così l’idea di pace trova la sua più comune applicazione all’ordine fra gli Stati, cioè alla sua suprema espressione civile e politica, quella che maggiormente riguarda la convivenza, l’armonia, la collaborazione, la complementarietà, la solidarietà dei Popoli: la pace acquista ,oggi un senso universale, ambisce ad abbracciare l’intera umanità; e ogni violazione locale e parziale al suo civile dominio ferisce il mondo nella sua sensibilità generale, perché ormai la pace vuol essere l’anima del mondo, incamminato verso la sua organica e vivente unificazione.  

I conflitti tuttora aperti in alcuni punti della terra, e i recenti episodi di violenza di guerriglia, di terrorismo, di rappresaglia diffondono una dolorosa vibrazione in tutto il corpo dell’umanità; e Dio voglia che questa vibrazione abbia una sua larga e salutare resipiscenza e rinsaldi il senso della solidarietà e della pace fra gli uomini; e non scuota piuttosto la fiducia, che il mondo civile va guadagnando, nel superamento della necessità della violenza e della concezione barbara della guerra utile e risolutiva delle umane vertenze. 

 Questa considerazione ne suggerirebbe molte altre di facile evidenza: la pace è necessaria, la pace è difficile, la pace è fragile, la pace è progressiva, la pace è bene comune, la pace è interesse generale, e, come dicevamo nel Nostro messaggio per la «Giornata», che stiamo celebrando, la pace è doverosa. Ed altre considerazioni possono essere derivate dalle precedenti; come quella che classifica le differenti forme della pace: quella, ad esempio, della distanza e perciò dell’indifferenza e della separazione di rapporti e di interessi, oggi difficilmente concepibile, quella della tregua precaria delle contese; quella dell’equilibrio delle forze pronte a misurarsi nell’offesa o nella difesa; quella delle alleanze particolari, dei blocchi; quella del terrore nella previsione di terribili conflagrazioni; tutte forme imperfette di pace, prive di comuni superiori principi, le quali ci dimostrano come l’idea, anzi la realtà della pace non è statica, ma dinamica; non vuole impigrire e addormentare individui e comunità, ma vuol essere attiva e rivolgersi progressivamente all’enucleazione dei principi umani e giuridici, sui quali la pace deve fondarsi, vuole esprimersi in un graduale disarmo e in servizi di comune vantaggio, e vuole consolidarsi in istituzioni internazionali e supernazionali, sempre meglio idonee a prevenire, a contenere, a risolvere le contese sempre insorgenti nell’umano consorzio. La pace è in fieri, è progressiva; ha la sua storia. Pace e storia dovrebbero finalmente identificarsi.

Ciascuno vede come questa concezione sia al tempo stesso logica ed ardua; naturale e ancora lontana; bella e troppo bella per gli uomini che ancora noi siamo: egoisti, violenti, particolaristi, e spesso costretti a difenderci non con mezzi pacifici, ma con quelli imposti dalla legittima difesa, e come siamo ancora oggi tentati .Il credere che eroismo e violenza si equivalgano, mentre dovrebbe essere nostro studio veggente, specialmente nel dramma contemporaneo della vita giovanile, di distinguere l’uno dall’altra; vi è un eroismo, vi è un coraggio, vi è un martirio, vi è un sacrificio di uomo forte e grande, «ribelle per amore», che non mira all’altrui offesa e rifugge da intenzionale violenza. Questi fuggevoli accenni ci conducono al pensiero che quest’anno caratterizza la «Giornata della Pace», pensiero che fa parte di una concezione molto larga sui presupposti della pace stessa. La pace non è un fiore spontaneo della nostra arida terra, priva di amore e intrisa di sangue. La pace è frutto d’una trasformazione morale dell’umanità. Esige una coltivazione concettuale, etica, psicologica, pedagogica, giuridica. Non si improvvisa una pace vera, non si mantiene una pace imposta dall’oppressione, o dal timore, o da ordinamenti giuridici iniqui e non più ammissibili. La pace dev’essere umana, perciò libera, giusta, felice., Ed ecco allora che siamo indotti a cercare le radici, donde la pace deriva. E una di queste radici è quella che il mondo ha glorificato nell’anno testé concluso: la proclamazione dei diritti dell’uomo; una proclamazione, alla quale noi dobbiamo fare eco per l’anno che oggi inauguriamo. Diciamo dunque: il riconoscimento dei diritti dell’uomo segna un sentiero, che conduce alla pace. Potremmo enunciare questo tema anche in sentenza reciproca; e cioè: il riconoscimento dei diritti dell’uomo conduce alla pace; come, a sua volta, la pace favorisce tale riconoscimento. In ogni modo: uomo e pace sono termini correlativi; sono realtà che vicendevolmente si reclamano e si integrano. 

Qui il discorso porterebbe a dimostrare questa relazione; ma, in questa sede, l’intuizione a tutti comune vale per dimostrazione; e vale per ricordare come quella famosa proclamazione dei diritti dell’uomo attenda ancora una sua completa applicazione: non deve essere un principio astratto, un vano conato, una velleità ipocrita. Vi sono ancora fenomeni nel mondo contemporaneo, che denunciano l’inadempienza di non piccola parte dei diritti, di cui l’uomo oggi dovrebbe godere. Leggendo il preambolo della famosa Dichiarazione: «. . . il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti eguali e inalienabili costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo», possiamo noi dire che questa dignità dell’uomo, d’ogni singolo uomo e d’ogni legittimo gruppo umano, è veramente ammessa nell’estimazione comune, nella legislazione universale e, ciò che più conta, nell’applicazione pratica della umanità odierna? La libertà religiosa è effettiva e dappertutto vigente? Il diritto al lavoro e del lavoro è realmente in atto? L’eguaglianza dei cittadini, la sufficienza per vivere, la difesa dei deboli, la diffusione della cultura di base e professionale, e così via, sono diritti veramente vigenti, o sono ancora contraddetti e dimenticati? L’evoluzione dell’uomo verso la sua pienezza è tuttora bisognosa di enorme sviluppo; e finché questo sviluppo non avrà raggiunto la sua sufficiente misura, pace vera non avremo nel mondo. Noi osiamo ripetere ciò che altrove abbiamo affermato: lo sviluppo dei Popoli è oggi il nuovo nome della Pace. 

E lo ripetiamo davanti a questi fanciulli, che abbiamo voluto presenti a questa celebrazione, quasi simbolo dell’uomo che ha bisogno ancora di mille cure, d’immenso amore ed è soggetto di tutti i diritti ancora prima d’esserlo dei rispettivi doveri. Lo ripetiamo durante questo rito, che rinnova fra noi la presenza di Cristo, il Figlio dell’uomo per eccellenza, che sollevò gli uomini al livello della figliolanza adottiva di figli di Dio, e c’insegnò come si può giungere al riconoscimento effettivo, ordinato, rigeneratore degli umani diritti, specialmente là, dove sono più umiliati, offesi e bisognosi, con la carità, l’amore cioè pervaso della grazia dello Spirito. Ci sovvengono allora le parole scultoree di S. Agostino: (Pacem) «hoc est habere, quod amare; avere la pace significa amare (Sermo 357; P.L. 39, 1582). E con questi sentimenti esprimiamo a voi tutti qui presenti, che religiosamente e nobilmente li condividete, esprimiamo a Roma, esprimiamo al mondo il Nostro augurio per l’anno nuovo, affinché sia anno di pace, con la Nostra Benedizione Apostolica.  



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