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SANTA MESSA AL VENERATO SANTUARIO DI NEMI

OMELIA DI PAOLO VI

Mercoledì, 10 settembre 1969

 

Il Santo Padre si dice innanzi tutto lieto di accompagnare la preghiera della comunità parrocchiale di Nemi, inaugurando le celebrazioni a cui essa dà inizio in onore del Crocifisso e le sacre Missioni che vogliono risvegliare la vita cristiana di tutta la popolazione.

Sua Santità desidera aprire l’incontro con un saluto alla popolazione di Nemi ivi convenuta insieme con tanti altri rappresentanti della diocesi di Albano e della regione dei Castelli Romani; alle autorità civili; al Vescovo Mons. Macario; al Parroco P. Fortunato Ferdinando dei Mercedari, che ha preparato con tanto amore e zelo le celebrazioni centenarie; ai Sindaci di Nemi e di tutte le altre cittadine laziali che gli fanno corona.

Il primo pensiero suggerito dall’incontro è di invitare tutti a guardare il Crocifisso, non solo nell’effigie di Nemi, oggetto di secolare venerazione, ma quello che vediamo in tutti i luoghi pubblici e privati; un’immagine che è familiare, consueta agli sguardi dell’animo cristiano, ma che, purtroppo, spesso non risveglia i sentimenti che dovrebbero essere appropriati all’incontro di Gesù Crocifisso con i cuori umani.

Oggi, invece - nota il Santo Padre, - guardiamo il Crocifisso nella sua realtà veritiera, come la figura di Gesù sofferente, del Figlio di Dio e del Figlio dell’uomo. Alla visione del Figlio di Dio - vien da pensare - dovrebbero essere associati non il dolore, ma la felicità, la pienezza della vita, il trionfo dell’esistenza. Invece, il Signore ci si presenta in sembianze di crudeltà e di abiezione: Egli è stato crocifisso e così abbiamo dinanzi a noi l’immagine del dolore portato al suo vertice nel Rappresentante più alto dell’umanità, nel quale il dolore si è incentrato facendo di Lui crocifisso l’uomo del dolore.

A questo punto Paolo VI osserva che la ripulsa umana al dolore dinanzi al Cristo sofferente è vinta; per un nuovo prodigio di amore nell’animo umano sgorgano non più sentimenti di insofferenza, ma di compassione; e invece di essere respinti dalla paura e dalla naturale ritrosia al patire, ci sentiamo attratti, quasi incantati dalla sua presenza. Nasce così un sentimento che un cuore non cristiano o non conosce o non sa coltivare: quello, appunto, della compassione, della «simpatia» verso il dolore umano, addirittura della dignità del dolore di chi soffre, di chi è nella miseria, di chi è in condizioni tristi. Invece di respingere tutto questo, come faceva il mondo pagano, il mondo cristiano va in cerca di chi soffre; e ciò è dovuto proprio all’attrazione che la Croce esercita sui seguaci del Vangelo e di Gesù, che ci si è presentato così, sanguinante, morente, straziato nell’onore e nelle membra.

In tal modo noi diventiamo cuori compassionevoli, impariamo il culto della sofferenza e sentiamo il dovere di dare ad essa una solidarietà, un soccorso che, appunto, il Crocifisso ha sempre ispirato e che ispira ancora e sempre alla società che si chiama cristiana.

Una seconda riflessione suggerisce altra verità. Per questa stessa compassione il credente può guardare, con fiducia e sollievo, la figura del Crocifisso nelle ore tristi, quando si sente abbandonato, quando il dolore sembra scavare un abisso di incomunicabilità del proprio essere con altre persone. Allora il Crocifisso diventa lo specchio, il tipo ideale dell’uomo; il cristiano vede in Gesù il dolore nella sua espressione più parlante e più invitante per chi soffre; e svanisce tutto ciò che fa disperato il dolore. Allora sentiamo davvero di avere un amico, un collega, che non siamo più soli a soffrire perché Egli ha sofferto prima di noi e più di noi. Il dolore diventa buono, si calma, riacquista una padronanza di sé, un valore contrario alla sua forza naturale, che spinge verso la disperazione.

Seguono alcune domande stimolanti molteplici riflessioni: Perché il Signore ha voluto soffrire così? Che cosa significa la Croce? È il martirio di Cristo un fatto puramente di sangue che abbiamo dinanzi, soltanto un supplizio come purtroppo ce ne sono tanti nell’umanità?

Il Catechismo insegna che la crocifissione di Gesù è un sacrificio, che si distingue in maniera assoluta dal semplice supplizio, con tanti elementi spirituali che trasfigurano il dolore. Gesù ha sofferto per qualche cosa; ci sono delle cause che hanno prodotto la morte dell’Uomo-Dio, cause che vanno ricercate nella loro alta sorgente. Egli ha voluto farsi espiatore, l’Agnello di Dio - come dice il Vangelo e come si ripete nella Messa -, cioè la Vittima, cioè Colui che soffre per gli altri, che dona la propria vita per salvare l’altrui. È morto sulla Croce proprio con l’intenzione di sacrificarsi per noi; e così il Crocifisso è la rivelazione più esplicita, più commovente dell’amore di Dio per il mondo, per tutti, per ciascuno, «per me» come sottolinea con incisiva frase San Paolo «Tradidit semetipsum pro me». Perciò ognuno di noi individualmente è oggetto di una redenzione che deve provocare in noi una grande corrente di riconoscenza e di amore, perché Gesù ci ha salvato morendo.

Non possiamo rimanere indifferenti e non sentirci colpiti da questo amore che si è concluso col dramma della sua morte, un dramma che è la sostanza della nostra fede, della nostra vita religiosa. Avevamo bisogno di chi ci salvasse, di chi morisse per noi: il dramma cieco del peccato - che noi uomini moderni, purtroppo non vogliamo considerare - è una realtà. Eravamo collegati con Dio e siamo diventati da figli dell’amore - come dice la Sacra Scrittura - figli dell’ira, perché noi, creature di Dio, ci siamo rivoltati contro di Lui ed abbiamo commesso il peccato che è la rottura dei nostri rapporti con Dio; è l’offesa che noi siamo stati tristemente capaci di compiere nei suoi riguardi. Ma Egli ha profuso i tesori della sua misericordia facendosi vittima per noi. Ed ecco, allora, che tutta la nostra coscienza si deve muovere per sentire l’intera responsabilità verso Dio, la gravità delle nostre azioni, il senso stesso della nostra vita, la linea del nostro destino che, sotto i raggi della Croce, si illumina di speranza, di gioia. La Passione di Cristo - afferma la liturgia della Messa - invece di essere una sorgente di dolore e di raccapriccio per le sofferenze, le piaghe, il sangue, la crudeltà, l’ingiustizia e la morte, diventa un’effusione di luce benigna e di salvezza.

Il Santo Padre conclude ricordando le lezioni che si irradiano dal Crocifisso. Non certamente l’egoismo, né il piacere che ci dà la vita, ma il sacrificio compiuto con amore. E il mondo ha tanto bisogno di amore e di sacrificio! Rimettiamo in onore il Crocifisso, specialmente nei nostri cuori; e accogliamo gli insegnamenti, che da Lui si irradiano, di fede e di amore, invocandolo per rafforzare ed accrescere la nostra speranza.

                                              



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