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SOLENNITÀ DEL «CORPUS DOMINI»

OMELIA DEL SANTO PADRE PAOLO VI

Giovedì, 13 giugno 1974

 

Figli e Fratelli carissimi!

State a sentire. Noi vi diremo d’un dubbio che ci è sorto nell’animo, quando ci siamo proposti di venire fra voi per celebrare insieme la festa del «Corpus Domini». E il dubbio è questo: se la nostra presenza fra voi avrebbe davvero giovato alla celebrazione d’una solennità religiosa come questa, tutta concentrata sul culto quanto mai ardente, esteriore ed interiore, personale e comunitario, della santissima Eucaristia, sul mistero della presenza sacramentale e sacrificale di nostro Signor Gesù Cristo, ovvero se questa mia venuta in questo quartiere, in questa parrocchia, sarebbe stato motivo, sì, di giubilo e di affollamento, ma piuttosto di distrazione, che di attrazione al vero oggetto della vostra devozione.

Cioè, ci siamo nel cuore domandati se la nostra presenza avrebbe interessato maggiormente la vostra attenzione che non la presenza, sola degna della vostra letizia e della vostra adorazione, di Gesù nascosto e palese nel sacramento eucaristico. Due presenze: la nostra straordinaria, visibile, umana, rappresentativa, sì, del Signore, ma infinitamente inferiore, trascurabile anzi al confronto della presenza consueta, è vero, ma prodigiosa, sacra, divina, incomparabile di Cristo Signore.

Perciò, noi ci siamo proposti, quando abbiamo deliberato di venire oggi, qua, al Quadraro, alla ancora giovane Parrocchia dell’Assunzione di Maria Santissima, di dirvi questa breve parola, che stiamo pronunciando, non tanto sulla nostra personale presenza, la presenza del Papa (ne diremo, se mai, un cenno dopo, alla fine della cerimonia), ma sulla presenza reale, misteriosa, ma vera, di Lui, di Gesù, qui al Quadraro, in questa nascente comunità; la presenza divina del Signore, che merita tutto il nostro interesse e che è il motivo principalissimo di questa festività del «Corpus Domini».

E questo invito a fare convergere la vostra attenzione su Gesù, sul Gesù del Vangelo, sul Gesù dell’ultima cena, sul Gesù della Croce, sul Gesù risorto, sul Gesù ora nella gloria del cielo, «assiso alla destra del Padre» (come cantiamo nel Credo), ha un primo motivo semplicissimo, ma decisivo, che la nostra persona non meriterebbe alcuna speciale considerazione, se non fosse quella d’un Vescovo, d’un Papa, cioè d’uno che fa le veci, d’un Vicario, d’un rappresentante, quella d’un ministro, che vuol dire d’un servitore, che trae tutta la sua dignità e la sua autorità da Colui che lo ha eletto a fungere in suo nome. Perciò quanto più voi guardate a noi, con filiale affezione e con compiacenza per la nostra visita, tanto più guardate a Lui, a Cristo, presente nel nostro ministero.

E fissate il vostro pensiero, oggi più che mai, affinché diventi abituale e sempre ispiratore, sul fatto misterioso e centrale di tutta la nostra fede, quello appunto della Presenza del Figlio di Dio, fatto uomo, fra noi; mistero dell’Incarnazione, che ci autorizza a ripetere il vero nome di Gesù, nato da Maria e abitante a Nazareth, il nome di «Dio con noi» (Cfr. Is. 7, 14; Matth. 1, 23). Nobiscum Deus! E allora noi vediamo raccogliersi sotto questo appellativo, proprio di Gesù, il disegno, il senso della venuta in questo mondo, l’intenzione direttiva della sua apparizione fra noi uomini, nella storia dell’umanità: questa intenzione si risolve in un nome, tanto comune e spesso profanato, che qui assurge alla vetta della divinità; questo nome è amore. «Così Dio ha amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito» per la sua salvezza (Io. 3, 16; cfr. Eph. 2, 4; 5, 2; etc.). Tutta la nostra religione è una rivelazione della bontà, della misericordia, dell’amore di Dio per noi. «Dio è carità» (1 Io. 4, 16), cioè amore che si effonde e si prodiga; e tutto si riassume in questa somma verità, che tutto spiega e tutto illumina. La storia di Gesù bisogna vederla in questa luce: «Egli mi ha amato», scrive San Paolo, e ciascuno di noi può e deve ripeterlo per sé: Egli ha amato me, «e ha sacrificato se stesso per me» (Gal. 2, 20).

E allora noi comprendiamo qualche cosa anche dell’Eucaristia, che oggi noi pubblicamente celebriamo. L’Eucaristia è un mistero di presenza, dovuta all’amore. «Non vi lascerò orfani, Io verrò a voi», disse Gesù lasciando capire che la sua vita temporale era alla fine.

Promessa dolcissima, che dopo la risurrezione diventa solenne, e segna il destino e la realtà della nostra storia religiosa ed umana: «Ecco, Io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Matth. 28, 20).

Dio con noi; Cristo con noi! Tutto il cristianesimo è un fatto, un mistero, di Presenza.

E se noi, questa sera, siamo qui, è proprio per questo scopo: per ridestare in noi, in voi, in quanti ascolteranno l’eco della nostra voce, l’avvertenza di questa realtà, vera e soprannaturale: qui è Gesù. Dove si celebra l’Eucaristia si svela e si proclama questo «mistero della fede»: qui è Gesù, il Cristo, il Salvatore nostro, vivo e vero. Presente!

Quando lasciamo che questa soave e tremenda verità entri nelle nostre coscienze, noi non possiamo più rimanere indifferenti, impassibili e tranquilli: è qui! il primo nostro sentimento è di adorazione e di esultanza; e quasi di confusione: che cosa dobbiamo fare? che cosa dobbiamo dire? cantare? piangere? pregare? o forse tacere e contemplare, come la Maria, sorella di Marta tutta agitata e sollecita di servire il Signore, mentre ella, Maria, «seduta ai piedi di Gesù, lo ascoltava parlare»? (Luc. 10, 39) Di qui nasce il culto eucaristico.

Ma un secondo sentimento c’invade, quello d’una legittima curiosità. La dottrina cattolica, espressione della nostra fede, ci assicura: Cristo, vivo, vero, reale, è presente. E allora una serie di questioni sorgono nel nostro spirito: è presente? ma come? dove? e perché? E si lascia Egli forse vedere, avvicinare, toccare, come faceva la gente nel Vangelo? (Cfr. 1 Io. 1, 1) È nascosto; ma è identificabile? e perché nascosto? e come simultaneamente può Egli essere in tanti luoghi? è forse questa una nuova e ripetuta miracolosa moltiplicazione dei pani? e come può Egli essere cibo, di cui nutrirsi? pane e vino si trasformano in carne e in sangue, com’era Gesù sulla croce? «è difficile questo discorso»! (Io. 6, 60) Di qui nasce la teologia sull’Eucaristia. Sì, è difficile. Ma sapete che Gesù fu inflessibile nell’esigere che il suo grande discorso sul mistero eucaristico fosse testualmente accettato (Cfr. Io. 6, 61 ss.).

Bisogna credere. Credere alla Parola e sulla Parola di Cristo. Noi ora dicevamo: è mistero di fede. Ma non del tutto incomprensibile, anche al timido nostro cervello: come un’unica immagine può riflettersi identica in quanti specchi la riprendono; come una stessa voce può essere raccolta da quanti orecchi la ascoltano; come una stessa parola può farsi pensiero in quanti la comprendono, così un unico Gesù può essere presente nei molti, innumerevoli segni sacramentali che lo rappresentano; ma ciò non senza un divino prodigio, e il prodigio consiste nel fatto che non si tratta qui, per divina virtù, d’una semplice rappresentazione, d’un semplice segno significativo, d’una figura sacramentale; si tratta che in questa stessa figura, cioè sotto le specie del pane e del vino una Realtà si nasconde, che si sostituisce alla sostanza del pane e del vino, e questa Realtà è Gesù stesso, la sostanza del suo corpo e del suo sangue, Lui stesso in una parola, rivestito da quelle umili apparenze (Cfr. S. TH. III, 73, 6).

Ma ascoltate un istante. Proprio a questo punto, ch’è per noi superiore alla nostra esperienza e alla nostra intelligenza, noi cominciamo a capire molte cose meravigliose, che ci lasciano intendere, se non il come, il perché Gesù ha voluto farsi sacramento eucaristico. Perché? per essere di tutti. Si è moltiplicato in questo straordinario modo per essere disponibile a ciascuno di noi. E quindi per fare di noi tutti una cosa sola, il suo Corpo mistico, la Chiesa una (1 Cor. 10, 17). Ma la domanda insiste: ma perché disponibile come alimento? non è strano, impensabile che Cristo si sia voluto fare cibo per noi?

Ecco una nuova meraviglia: Cristo si è fatto cibo spirituale per dimostrarci ch’Egli è a noi necessario: senza cibo non si vive, e poi ch’Egli è il vero nutrimento, interiore e personale, di vita eterna, di cui noi tutti abbiamo bisogno e di cui tutti, se vogliamo, abbiamo la fortuna di nutrirci, di compenetrarci in «comunione» con Lui, per il sostegno attuale e la pienezza immortale della nostra esistenza.

Incalza un’altra domanda: e perché Gesù ha voluto distinguere questo sacramento in due specie diverse, pane e vino, involucri sensibili di ben altro sostanziale contenuto? solo per dare sotto queste figure cibo e bevanda alla fame delle nostre anime? (Cfr. S. TH. III, 73, 2) Sì; ma la risposta sarebbe più lunga e più complessa. Del resto voi, fedeli cristiani, già la conoscete così: Gesù ha voluto dare a questo sacramento un duplice significato di sacrificio: sostitutivo l’uno di quello della Pasqua ebraica, facendosi Lui stesso l’agnello della liberazione; figurativo l’altro di quello della sua crocifissione, che dalla carne martoriata fece sgorgare il sangue della redenzione. Gesù nell’Eucaristia è la vittima, che rispecchia in sé l’unico e valido sacrificio redentore, quello della Croce, partecipando al quale, mediante la comunione, noi siamo associati ai frutti della immolazione salvatrice di Cristo.

Quante cose! quanti misteri confluenti in questo centrale mistero della fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia! Come ricordarli tutti? come riviverli nella nostra vita, individuale e ecclesiale?

Ebbene: ricordate almeno una parola di Gesù; ascoltate una sua voce. È quella del suo invito evangelico: «Venite a me!».

Sì: «Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi, ed Io vi consolerò» (Matth. 11, 28).

Sì, l’Eucaristia è una presenza che invita. Invita come un amico, avvicinandosi tacitamente, aspettando senza tregua, pronto a ricevere tutti. Invita ad una mensa, ch’è tutta una celebrazione dolcissima, di unione, di dolore, di amore. È una chiamata rivolta di preferenza a chi più soffre e fatica; a chi è povero e piange; a chi è solo e senza aiuto; a chi è piccolo e innocente. Gesù chiama e invita.

La sua voce arriva anche ai lontani, agli illusi, ai fuggiaschi fuori strada. Venite, l’ingresso è libero, ai pentiti ed ai credenti.

Venite, Egli dice: «Io sono la via, la verità e la vita» (Io. 14, 6).

È questa la sua voce, che oggi si effonde da questo silenzioso sacramento, presente in mezzo a noi. Sollevato in questa sua festa davanti a tutto il popolo, Egli, con il suo accento divino ed umano, esclama, come già camminando sulle onde apparve ai suoi discepoli, nella burrasca notturna del Vangelo: «Abbiate fiducia; sono Io, non abbiate timore» (Matth. 13, 27). Venite!

Così sia!

                          



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