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DISCORSO DI PAOLO VI
SULL’APOSTOLATO PER I NON VEDENTI

Martedì, 1° ottobre 1963

 

Questa udienza - incomincia il Santo Padre - suscita nel cuore grande commozione.

La particolare nota che distingue i diletti visitatori, la bontà e pietà di coloro che li assistono, il desiderio manifestato di incontrarsi con il Papa e stare per alcuni momenti dinanzi a Lui, fissandolo, non con i raggi dei propri occhi, ma con quelli dell’anima, la quale si studia di individuarlo, di immaginarlo, fa sì che Egli si senta oggetto di intensa e filiale devozione, maggiore di quanto avviene nelle altre udienze.

Anche da parte sua, il Padre, pur avvezzo a rendersi subito conto delle caratteristiche dei molteplici gruppi che Lo visitano, vuole ora entrare nel circolo peculiare della sensibilità degli ascoltatori e inserirsi nelle loro facoltà conoscitive.

Orbene, in quale maniera avvicinare dei fratelli che non posseggono il bene della luce degli occhi? Par di scorgere il gesto consueto di chi, privo della vista, tende le mani e vuole comunque orizzontarsi. È dunque reciproco il desiderio di stabilire una comunicazione, che non può essere quella normale e naturale, esattamente perché priva di questo ponte dello sguardo, della luce visibile. C’è però viva attenzione spirituale da parte dei visitatori e un’ansia da parte del Papa e così la vicendevole conoscenza avviene, benché a un livello diverso da ciò che lo sguardo procura.

Quale livello? Monsignor Benedetti l’ha indicato: e il Santo Padre sta percorrendo la strada già aperta: si tratta del livello della parola.

Se ci parliamo - spiega Sua Santità - ci intendiamo; anzi voi siete degli uditori magnifici, che avete messo nella capacità ricettiva dell’udito gran parte della vostra facoltà di conoscenza. Siete ottimi ascoltatori. E questo per il Santo Padre è importantissimo, non solo in quanto uomo che avverte, in tale maniera, la gioia di stare accanto a dei fratelli colpiti da una grande prova, ma proprio come colui che trova questa via di intesa, molto confacente al Suo ministero.

A quale livello il Signore si è fatto incontrare? Direte: se fossimo stati anche noi partecipi degli episodi evangelici, - l’ha accennato adesso Monsignor Vescovo -, avremmo detto: fa’, o Signore, che i nostri occhi si aprano, poiché vogliamo vederti.

Il Signore si è lasciato vedere; ma voi sapete bene che non per mezzo della visione sensibile il Divino Maestro ci ha dato salute e salvezza, Sappiamo, anzi, come non sono mancati coloro che, pur vedendolo, non l’hanno conosciuto. «Ut videntes . . . non videant» (Marc. 4, 12). Pur avendo la comunicazione fisica, non ne hanno saputo approfittare. Ed altri sono arrivati a condizionare la loro fede: se io non vedrò, se io non toccherò non crederò: parole dell’Apostolo Tommaso. Ora Gesù che cosa ha detto, quando benignamente ha voluto acconsentire anche alla curiosità di noi uomini?: «Beati qui non viderunt et crediderunt» (Io, 20, 29).

Cosa grande, ineffabile! Il Padre è commosso nel trovarsi tra cari, amati figli; valuta la gravità della prova da cui è angustiata la loro vita, e sente che sopra di essi discende la divina parola: Voi beati che non vedete.

Tuttavia non è facile comprendere subito il significato di tale espressione. Essa potrebbe sembrare, in un primo momento, troppo forte e incomprensibile, persino violenta di fronte alla debolezza della natura umana. Vogliamo quindi approfondire la portata della mirabile sentenza.

Il Signore ha detto: il mio incontro non avverrà per la via dei sensi, ma, invece, per opera della fede: un’attitudine dell’anima che si abbandona alla parola, e crede: fides ex auditu. Ascoltare la parola suscita, quindi, spirituale commozione, poiché essa risale al giudizio medesimo del Creatore.

Questo il percorso, questa la strada che Iddio ha prescelto: cioè la via interiore, del pensiero, della parola. Ci ha dato appuntamento a un incontro immancabile, ove Egli si rivela per mezzo della sua Parola. Si può quindi risalire sino al mistero ineffabile: et Verbum caro factum est et habitavit in nobis.

Si aggiunga a ciò il superno dono, per noi, della fede e si arriva all’infallibile promessa: «Qui crediderit . . . salvus erit!» (Marc. 16, 16).

Bellissimo, grande, anche se arcano, questo disegno divino, questo mezzo soprannaturale e così reale, sicuro. Su di esso poggia tutto l’insieme di assistenze e di cure di quanti esercitano l’Apostolato per i Ciechi, sorretto sempre da squisita carità e intenso amore, accompagnato da ogni generosa solerzia e valido accorgimento.

Il Sante Padre li ringrazia e li elogia, felicitandoli per i successi raggiunti specie nel coltivare le affinate disposizioni dei ciechi per la musica, il canto, e tutte le altre manifestazioni ad essi possibili, ad onta della grave mancanza di cui soffrono. Di conseguenza, appunto la perfezione dei mezzi tecnici, ora applicati, suggerisce al Santo Padre un invito elevatissimo agli assistiti.

Non limitarsi a quanto è stato fin qui conseguito, non appagarsi di ascoltare soltanto la musica esteriore, la voce che risuona dal di fuori, ma porre grande cura nel percepire la voce interna dello Spirito. Voi potete essere dei santuari della parola, e diventare dei grandi meditativi. Potete mantenere un dialogo con la verità divina che si svela agli uomini; e tener aperta, nelle vostre anime, una registrazione continuata del Verbo eterno. Il che significa essere capaci di riprodurlo dentro di voi. Potete essere dei tabernacoli in cui Dio manifesta la sua presenza appunto con la parola. Potete essere dei contemplativi. Quante volte, è cosa frequentissima, coloro che si accingono a meditare, ricordare, pensare, chiudono gli occhi per raccogliersi, per afferrare la realtà interiore, che solo lo schermo dell’anima può veramente riprodurre.

Tutto ciò il Santo Padre ricorda ai diletti figliuoli perché siano consolati nel grandissimo dolore; perché abbiano ad istituire nella loro mente una vera capacità ricettiva dei pensieri, delle parole, delle ispirazioni del Signore affinché sappiano compiere bene ogni santa meditazione; ed arricchiscano la propria vita della presenza di Dio, sino ad attuare, in pienezza ed esultanza, il mirabile detto dell’Apostolo San Paolo: «Christum habitare per fidem in cordibus vestris» (Eph. 3, 17).

In tal modo - questo il saluto augurale di Sua Santità - la vita dei dilettissimi figliuoli privi della vista, se all’esterno è tesa nello sforzo di ambientarsi, è ricca, all’interno, della inesauribile scienza del Signore; e da questa risulterà buona, consolata, anche feconda di qualche lavoro e servizio e potrà fruire della certezza di ciò che è più importante, per noi, conquistare. Non si è privi di Dio; anzi Egli è, in modo particolarissimo, presente e, forse, più che agli altri fratelli, assicurato.

                                      



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