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 DISCORSO DI PAOLO VI
AL CONSIGLIO DI PATRONATO
PER I LIBERATI DAL CARCERE
E PER LE FAMIGLIE DEI DETENUTI

Venerdì, 3 luglio 1964

           

Signor Procuratore della Repubblica di Roma!

In qualità di Presidente del Consiglio di Patronato per i liberati dal carcere e per le famiglie dei detenuti, Ella Ci presenta stamane, con pensiero tanto gradito e caro, la nobile corona dei Magistrati e delle Autorità, che La coadiuvano in codesta provvida opera assistenziale. Diamo a Lei e ai Suoi collaboratori il Nostro benvenuto! Esso si ispira ad un sentimento di viva ammirazione e di stima sincera per la eletta missione da Loro compiuta a favore dei fratelli sofferenti, che l’avvenuta espiazione di colpe commesse restituisce alla società, nel delicato momento del loro reinserimento nelle strutture della vita civile, forse trepidi e incerti, e forse ben disposti a ricominciare una nuova vita, ma talora esacerbati dalle affannose incognite del futuro.

La Nostra grata benevolenza per codesta benemerita opera au-menta poi nel considerare che le vostre premure e sollecitudini, instancabili nel trovare collegamenti e sostegni con altre istituzioni di carattere assistenziale e benefico, si rivolgono con cura veramente paterna anche alle famiglie dei detenuti, organizzando quanto è necessario per procurare ad esse aiuti finanziari, indumenti, e specialmente lavoro, allo scopo di alleviare le asprezze di situazioni tanto dolorose, e di infondere speranza e fiducia soprattutto a chi porta innocentemente il peso della colpa dei propri congiunti.

Non è chi non veda il valore umano, sociale, civico della vostra azione, e, particolarmente, il valore cristiano, esemplare, evangelico di questa vostra presenza e testimonianza in uno specifico settore, in cui molto opportunamente si danno la mano e i talenti della vostra preparazione professionale, e le doti sincere del vostro cuore di cittadini e di cristiani.

Come Vicario in terra di Colui, che disse: «Tutto quanto avete fatto a uno dei piccoli tra questi miei fratelli, l’avete fatto a me» (Matth. 25, 40), Ci sentiamo in dovere di incoraggiarvi, di lodarvi, di ringraziarvi per tutto ciò. La Chiesa Cattolica, che, continuando nel mondo l’opera di Cristo «che passò facendo del bene» (Act. 10, 38), ha esplicato ed esplica con ininterrotto palpito di amore, nel nome di Lui, una immensa e insostituibile opera a favore dei sofferenti, vede in voi dei preziosi collaboratori ed alleati, trova in voi dei figli fedeli e generosi, ed è lieta di mettere a disposizione le sue organizzazioni assistenziali, quando ne è richiesta, per il sempre più efficace rendimento dei vostri congiunti sforzi; e Ci ha procurato veramente grande soddisfazione l’apprendere dalla Sua relazione, Signor Presidente, quali fecondi contatti di collaborazione cotesto Consiglio di Patronato mantenga con la Nostra Pontificia Opera di Assistenza.

Sappiate che il Papa vi incoraggia e benedice di cuore nelle vostre iniziative, volte ad unificare su scala nazionale le varie opere, intraprese a favore dei liberati dal carcere, per la loro rieducazione attraverso il lavoro, lo sport, e il sano divertimento, come pure a beneficio delle famiglie dei detenuti, in particolar modo dei bambini, degli adolescenti e dei giovani, che non devono portare ingiustamente, a scapito del loro avvenire di figli di Dio e di onesti cittadini, il peso di colpe non commesse, di sospetti ingiusti, di isolamenti pericolosi.

È questa una forma di assistenza che non sapremmo abbastanza lodare e incoraggiare. Abbiamo anche Noi osservato come in molti casi la punizione inflitta ad un cittadino colpevole si ripercuote in modo gravissimo su la sua famiglia, spesso del tutto innocente, la quale col danno economico e materiale, che la colpisce per la detenzione del suo congiunto e la riduce talora alla fame e alla miseria, subisce un trauma morale formidabile, colpita com’è nella sua unità nella sua pace, nel suo onore, talvolta in modo irrimediabile. L’assistenza alle famiglie dei detenuti è opera estremamente provvidenziale e tuttora bisognosa di provvidenziale sviluppo.

Sappiate che il Papa vi accompagna col Suo pensiero e con la Sua preghiera, invocando per voi il continuo aiuto del Signore, che vi sostenga nelle difficoltà gravi e diverse del vostro quotidiano dovere.

Sappiate che il Papa si rallegra di voi, e vi esorta a dare alla vostra missione un valore soprannaturale ed eterno, che riassuma e coroni e suggelli ogni altro pur nobile valore umano, vedendo nei vostri assistiti non soltanto il volto anonimo del bisognoso, ma scoprendo sotto i suoi lineamenti, induriti dalla sofferenza, il volto stesso di Cristo: «Ero in carcere, e mi avete visitato» (Matth. 25, 36).

E sia lecita ancora una particolare esortazione, che sgorga dalla pensosa consapevolezza di questa dignità, di questa vocazione alla quale siete chiamati. Vogliamo dire che un’opera come la vostra esige più di ogni altra una donazione paziente, longanime, continua e, diciamo pure, totale.

Donazione paziente, che non si stanca nel suo protendersi verso tante necessità, anche se i risultati possono sembrare esigui, e certo non corrispondenti all’intensità dello sforzo, da essi richiesto. Donazione longanime, che non vuole tutto misurare sul piano della ragionevolezza normale del calcolo umano e del prevedibile, ma che sa attendere e comprendere, sa valutare e scusare il cuore dell’uomo, conoscendo le sue esitazioni, le sue riprese, le sue sorprendenti e improvvise possibilità di ricupero. Donazione continua, che non si ferma e non prende vacanza, perché conosce per esperienza la tragica realtà di tante esigenze urgenti, che premono per la loro giusta e sollecita soluzione. Donazione totale, infine, nel senso che deve riuscire ad apprestare mezzi e forme di assistenza proporzionata ai bisogni, che sono immensi e che, qualora soddisfatti solo in parte, in misura insufficiente, possono rinascere e lasciar dubitare se mai abbiano rimedio e se non sia sprecata la premura parziale loro rivolta. L’inserimento nella società d’un infelice liberato dal carcere è opera molto grave e complessa, e solo produce effetti confortanti se efficace, se completa. Lasciata a metà, sarebbe forse opera vana: occorre perciò che l’assistenza avvolga in ogni senso l’assistito, nel suo spirito esacerbato e spesso recidivo proprio per la difficoltà, disperante alle volte, di un ritorno alla vita normale e all’estimazione della propria famiglia e della società, e nella soluzione dei cento problemi pratici per una sua ripresa di onesto e redditizio lavoro.

A questo proposito diamo lode alla vostra esperienza e alla vostra sensibilità che si studia di non mai far pesare il vostro aiuto, avendo rispetto della personalità altrui, così giustamente gelosa della propria inviolabile intimità e dignità. Vorremmo anzi compiacerci con voi che sapete nobilmente superare la facile tentazione di dare pubblicità alle vostre opere, anche a costo di una minore efficienza di esse: ma questo è ottimo metodo, perché quello che conta è giungere all’intimo del cuore, far del bene ai fratelli, dar loro la prova che, nonostante tutto, c’è qualcuno che, accanto all’affermazione degli invalicabili diritti della giustizia, sa porgere la testimonianza della carità, facendo brillare la scintilla di una nuova luce di speranza e di fiducia.

Diletti Figli.

Da ultimo, formuliamo per voi un paterno augurio: abbiate un cuore tanto grande da non mai appagarvi di quanto avete fatto; abbiate l’occhio vigile a vedere e scoprire le necessità; e abbiate la genialità del trovare sempre nuovi modi e nuove formule per farvi fronte. L’Apostolica Benedizione, che assai volentieri impartiamo a voi e ai vostri cari, vi confermi nei buoni propositi, e sia pegno di eterna ricompensa per la vostra bella e santa intrapresa.

      



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