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DISCORSO DI PAOLO VI
CON I MEMBRI DE
«LA NOSTRA FAMIGLIA»

Martedì, 29 settembre 1964

 

Dopo un ringraziamento ai componenti il Coro di Ibagué, la cui nobile arte onora la loro Patria, e ai quali rivolge la preghiera di portare il suo saluto e la sua affettuosa benedizione a tutta la Colombia, l’Augusto Pontefice saluta «La Nostra Famiglia» - di cui ricorda gli incontri milanesi - desidera porre l’accento su questa «nostra» perché si sente ancora associato a tanto bella impresa di pietà e di carità, rivolgendo innanzitutto la parola e il pensiero alla brava promotrice di tutta questa attività caritativa, la signorina Zaira Spreafico, e a tutte le persone che con lei condividono l’ideale di offerta e alta dedizione alla assistenza dell’infanzia sofferente, compiacendosi innanzi tutto per le nuove fondazioni dell’Istituto.

Sua Santità vuol dunque salutare tutte le persone che sono vicine a queste creature a cominciare dalle loro famiglie. Egli ha visto infatti lacrime cocenti rigare il volto delle mamme davanti ai loro bambini che la Provvidenza, con tocco misterioso, ha reso sofferenti; e ben comprende il loro dolore. Saluta i babbi e le mamme, i fratelli di queste creature infelici e dà loro una benedizione speciale. E vorrebbe anche, il Papa, profittare della circostanza per dire quello che da tante altre labbra avranno già udito: e cioè di non disperare, di non chiedersi il perché - che qui non ci sarà dato conoscere - di queste sofferenze; di non spingere l’ansia del loro affetto esulcerato sino allo sconforto, allo scetticismo.

Invece, i genitori, i parenti dei bambini, ai quali il Signore ha dato questa prova, sappiano moltiplicare le loro premure, la propria fede; vogliano dar prova di questa umanità, di questo sentimento cristiano che non respinge l’essere infelice venuto a germogliare nella loro casa; sappiano moltiplicare bontà, pazienza ed esemplare affezione, proprio perché così il Signore vuole: riconoscano che queste spine sono promessa di fiori del domani e forse anche attuali, incomparabilmente meritori, incomparabilmente belli.

Un saluto il Santo Padre rivolge poi alle assistenti, alle maestre, alle infermiere, a quanti, in una parola, silenziosamente, e senza stancarsi mai, si curvano su questa infanzia sofferente e le ridanno qualche dono della vita naturale: il movimento, la parola, il pensiero, la conversazione, fino a saper suscitare in questi cuori, a cui è così difficile arrivare, qualche sentimento di felicità, qualche gioia infantile, qualche sorriso degno della loro età e del loro volto innocente. Ebbene, le care figliuole che assistono questi infelici sappiano che grande, grande è il loro merito, grande la loro missione! Esse attuano quanto il Vangelo dice: «Tutte le volte che vi curerete di questi piccoli, l’avrete fatto a me». Esse sono destinate ad una specie di adorazione perpetua, che non è quella del Signore sotto le specie eucaristiche, nella sua presenza reale, ma quella che Bossuet chiamava la presenza umana di Cristo Gesù nei sofferenti.

Esse sono continuamente dedicate al culto di Gesù presente e nascosto, ma anche tanto le opere nelle forme dolorose, indicate dai bambini ai quali danno tempo, cure, cuore e sapienza di brave educatrici.

Il Santo Padre le benedice in modo speciale e chiede al Signore che tenga nel loro cuore, sempre, la sicurezza di così alta vocazione. Hanno fatto bene a scegliere questo servizio, questa professione di carità; un giorno potrebbe sopravvenire la stanchezza o il dubbio; allora Gesù sia presente, le rianimi e le sostenga.

Hanno scelto la parte migliore, perché la più bella, più generosa, più sacrificata, più degna, più sacra. Siano perciò ferme, costanti, e sappiano che diventano - sia detto in umiltà - capitaliste davanti al Signore, creditrici di Cristo, servendo questi piccoli. E perciò non basti loro servirli in qualche maniera, ma procurino la ristoratrice fioritura della educatrice cristiana, che trova sempre qualche cosa di nuovo, di gentile da offrire ad un’infanzia segnata dal dolore.

E poi il Papa vuole salutare proprio i bambini e le bambine che sono venuti a trovarlo. Ai carissimi figliuoli, qualcosa, ed anche grandi cose, sono mancate; ma sappiano che sono però molto più amati, molto più osservati e curati di tanti altri coetanei. Sono, sotto l’aspetto dell’amore e della carità, dei preferiti; e il Papa si vuole metter proprio fra quelli che vogliono loro bene e assicurarli che anche Egli li ama: il Papa vuol essere associato alla tenerezza che ad essi è prodigata, proprio per farli contenti, lieti, sereni; per dare speranza alla loro vita. Se non potranno fare tutte le cose, comuni agli altri, sappiano che proprio le piccole cose sono degne, belle, meritorie; che la loro vita, specialmente se trae profitto dall’educazione che è data loro, non è una vita mancata, povera e misera, ma è una vita grande, grande, grande, appunto perché possono viverla con la pazienza, con la bontà, con lo sforzo assiduo di fare, anch’essi, qualcosa di bello. La possono vivere in grandezza se pensano che sono gli amici più cari a Gesù. Poiché ad essi vuol bene Gesù, vuol bene il Papa, vogliono bene i Vescovi, i sacerdoti, le brave signorine che li assistono, i genitori, e si deve ringraziare il Signore di vivere in un Paese nel quale questi figli del suo popolo non sono infelici, dimenticati, ma sono i figli prediletti.

                                   



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