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DISCORSO DI PAOLO VI
ALL'UNIONE CATTOLICA ITALIANA INSEGNATI MEDI

Martedì, 6 dicembre 1966

 

UNA FONDAMENTALE MISSIONE EDUCATRICE

Cari Professori e Figli carissimi!

Non vogliate misurare dalla semplicità e dalla brevità di queste Nostre parole la stima, l’affezione, la fiducia, che Noi nutriamo per voi, per il vostro Presidente nazionale, il caro e valente Professor Gesualdo Nosengo, e per gli altri Dirigenti, per la vostra più che ventennale Unione Cattolica Italiana degli Insegnanti Medi. Conosciamo abbastanza le vostre attività, le vostre aspirazioni, le vostre difficoltà, e soprattutto conosciamo lo spirito animatore della vostra Unione per potervi senz’altro assicurare che vi seguiamo con particolare benevolenza e con vivo interesse. Così conosciamo il tema del vostro presente X Congresso nazionale, che studia, idealizzando e analizzando, «l’Istituto scolastico come comunità educante»: bellissimo tema, che riprende e corona e spinge a pratiche applicazioni tanti temi, non meno interessanti, da voi trattati in precedenti Congressi, e che lascia presagire ottimi risultati, sia per la vostra personale formazione (per essere educatori, oltre che professori, quale auto-educazione è necessaria!), e sia per la vostra attività che, in tale quadro, appare magnificamente consona ai vostri Statuti, e sia finalmente per la Scuola stessa, che, così concepita, risulta elevata, umanizzata, vivificata. Conosciamo anche l’attenzione, che voi dedicate agli insegnamenti del Concilio Ecumenico e all’impulso rinnovatore della vita religiosa, ecclesiale, culturale, apostolica, ch’esso ha cercato d’imprimere a quanti hanno la fortuna e la responsabilità d’essere membri della Chiesa Cattolica; vi siamo molto grati per questo, e vi diciamo pure che speriamo molto da voi, in ordine alla conoscenza e alla retta interpretazione ed applicazione dei testi conciliari, specialmente per quanto riguarda il senso vero e pieno della Chiesa, l’attuazione intelligente e animatrice della riforma liturgica, la comprensione dell’interesse che la Chiesa stessa rivolge ai vostri problemi educativi, a quelli dell’apostolato dei Laici e dei rapporti che il seguace di Cristo e figlio della Chiesa deve avere, nel pensiero e nell’azione, col mondo moderno.

Ma tutti questi argomenti meriterebbero discorso senza fine, mentre ora non ce ne è offerto né il tempo, né il modo. Dobbiamo limitarci alle poche parole di raccomandazione, dalle quali possiate desumere il Nostro affetto per voi, e trarre qualche stimolo a bene perseverare nel vostro lavoro. Parlando a Professori è lecito ridurre pensieri, capaci di immensi sviluppi, in paragrafi scolastici, puramente indicativi. Dunque: vi faremo tre raccomandazioni, superflue, per verità, a chi già ne fa legge per il proprio spirito, ma non vane a chi, come voi, ne conosce il valore e la fecondità, e desidera sempre moralmente progredire.

«AMATE LA VOSTRA PROFESSIONE»

Professori e Figli carissimi! Amate la vostra professione. Vogliamo dire: vivete nella coscienza della sua eccellenza, della sua importanza, della sua interiore ricchezza. La scelta, che avete fatta per impiegare il tempo, le forze della vostra vita, dedicandovi all’insegnamento, non sia mai revocata in dubbio, non sia mai giudicata inferiore ad altre, dalle quali più facili guadagni economici, o maggiore prestigio sociale spesso è dato conseguire. La vostra scelta è una missione, più che un mestiere; trova nella sua spirituale dignità la sua migliore mercede; e tutta rivolta verso la misteriosa e sublime operazione della trasfusione del sapere, della ricerca iniziale della verità, della comunicazione incipiente dell’apertura di anime giovanili all’arte del pensiero, della memoria, della parola, alla conquista prima del patrimonio culturale della nazione, al senso religioso e al gaudio della fede, la vostra professione può a sé rivendicare la nobiltà ed il merito d’un incomparabile e indispensabile servizio all’uomo, alla società, alla Chiesa.

Il complesso d’inferiorità, derivato dagli antichi che giudicavano l’insegnamento funzione di schiavi, o di mercenari, deve totalmente scomparire, anche nei suoi ultimi residui superstiti, dall’estimazione sia vostra, se mai di ciò vi sorprenda il bisogno, sia della pubblica opinione, dovendo tutti giudicare altissimo e degnissimo, sacro per noi, l’ufficio da voi eletto e dalla pubblica autorità convalidato di insegnanti dell’età preziosa, l’adolescenza.

«AMATE LA SCUOLA»

Altra raccomandazione: amate la Scuola, amate la vostra Scuola. Così dicendo Noi vogliamo confortare un sentimento già vivo negli animi vostri. Il tema del vostro Congresso già lo prova. Ma anche a questo riguardo non vi dispiaccia che Noi vi esortiamo ad amare la Scuola, perché Scuola; perché istituzione quant’altre mai, con il focolare domestico e la Chiesa di Dio, meritevole d’ogni stima, d’ogni culto, d’ogni entusiasmo. È vero che oggi tutti magnificano la Scuola; e ciò è indice di grande e promettente maturità della società moderna; ma è anche vero che la Scuola, qual è, nella sua concreta realtà, è oggetto d’interminabili critiche, quasi che i bisogni di cui soffre fossero colpe, e quasi che per ovviare a tali bisogni fosse buon rimedio disconoscere i meriti acquisiti, lo sviluppo raggiunto, le previsioni promettenti della Scuola esistente. Voi, assecondando ogni sforzo ordinato e responsabile per dare alla Scuola l’incremento che i tempi richiedono, procurate d’accrescere la carica d’amore, che la Scuola, dicevamo, perché Scuola, e perché vostra, sempre si merita; e tanto più in questo periodo, in cui tutta l’istituzione scolastica è in movimento per allargarsi e per rinnovarsi, si sappia e si senta che gli Insegnanti cattolici sono là per viverla la loro Scuola, per sostenerla, per onorarla, per renderla, sotto ogni aspetto, degna della gioventù crescente e di tutto il popolo italiano.

«AMATE I VOSTRI ALUNNI»

E poi, terzo, cari ed illustri Professori, un’altra raccomandazione, anch’essa ovvia, ma da voi bene accetta: amate i vostri Alunni. Forse che voi non li amate? Certamente, sì, li amate; ma consentite che Noi vi ricordiamo questo dovere. Perché, teoricamente parlando, è possibile insegnare senza amare. E perché l’amore è tal cosa, come il fuoco, che dev’essere tenuto acceso da un sempre vigilante proposito. Voi conoscete per quotidiana e lunga esperienza quanto sia pesante l’insegnamento, quanto monotono, quanto arido, quanto snervante, e proprio specialmente per il rapporto di dialogo e di disciplina con gli Alunni; i buoni, sì, ma terribili Alunni. E sapete anche che senza l’amore l’educazione fallisce, l’istruzione diminuisce. La vera pedagogia si alimenta d’amore, E dove un Insegnante riesce ad amare finisce per farsi amare; e allora la Scuola è altra cosa: sempre delicata, difficile, impegnativa, ma quanto viva, quanto bella. La Scuola Media, poi, quale gioconda e meravigliosa palestra di anime può diventare, quando l’Alunno, nel clima dell’affetto e della stima reciproci, facilmente si fa veramente discepolo del suo Insegnante, quasi si fa figliuolo e poi finalmente amico. Quale risultato, quale gaudio! È il frutto prodigioso dell’amore: e chi più e meglio di voi, Insegnanti cattolici, allievi voi stessi della grande scuola della carità di Cristo, può e deve aspirare a tanto risultato? E quale via più diritta di questa, dell’amore - discreto, grave, dolce e forte insieme . . . - dell’amore, diciamo, per i cari, carissimi figliuoli delle vostre Scuole per arrivare a rendere, come voi desiderate, l’Istituto scolastico «una comunità educante»?

Ecco: questo è tutto, per ora. E valga la Nostra Benedizione, a voi, ai vostri Colleghi, alle vostre Scuole, a rendere validi, con l’aiuto del Signore, questi ardentissimi voti.

                                          



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