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PELLEGRINAGGIO AL SANTUARIO MARIANO DI NOSTRA SIGNORA DI BONARIA

DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AL LAICATO CATTOLICO

Cagliari, 24 aprile 1970

 

Grazie, carissimi amici, e carissimi Figli, che ci date il piacere di questo incontro, che Noi siamo lieti di godere in semplicità come un istante di pienezza, uno di quegli istanti che conferiscono senso alla vita, la rivelano a se stessa, e in ciò che è stata e in ciò che deve essere.
Sì. Prima di tutto per i ricordi che questo istante, anzi la vostra presenza solleva. È come la visione di chi ha camminato molto, e giunto sopra un’altura guarda indietro, alla via percorsa, e guarda avanti, al cammino da percorrere, o meglio per noi, a cui l’orologio della vita, l’età, la grave età (la si dice ironicamente una «bella» età) annuncia il tramonto vicino, la direzione da seguire e la mèta da raggiungere. È ciò che i naviganti chiamano «fare il punto». Ebbene, voi ci ricordate quale fu la Nostra strada nel periodo primo e più significativo della Nostra umile esistenza giovanile, del Nostro primo ministero sacerdotale: fu la strada, o meglio il sentiero, stretto, tortuoso, faticoso, ma saliente, dell’assistenza ecclesiastica a quell’instabile, inquieto e ristretto, ma eletto manipolo di Studenti Universitari, che si chiamava la FUCI, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, per circa un decennio. Anni tormentati, per me anni difficili; ma, a ricordarli ora, anni preziosi, anni magnifici. Anni pieni di studi, di idee, di problemi, di sogni e di speranze, come appunto sono gli anni della vita universitaria, quando questa è vissuta intensamente e seriamente. Ma soprattutto anni pieni di amicizie, di quelle a cui è aperto l’ambiente accademico, ma che una comune spiritualità ed un comune proposito d’affermazione ideale, nel solco animatore di Mons. Pini, rendevano subito piene, salde e incomparabili, come si legge nella Sacra Scrittura: amico fidei nulla est comparatio (Eccli. 6, 15).

Qui i ricordi non finirebbero più, e polarizzati proprio intorno a quel famoso XIX Congresso Universitario, che fu tenuto qui, a Cagliari, nel settembre del 1932. Ai nomi più cari ed illustri degli Amici defunti: del Presidente indimenticabile Igino Righetti, di De Sanctis, di Scremin, di Baroni, di Luzzi, di Paronetto, del vostro e fedele Aurelio Espis, dell’Avv. Saint Just, di Mons. Coffano, presenti a quel Congresso; molti altri di persone carissime, e tuttora vive, ed illustri, verrebbero alla memoria: Gonella, Scaglia, Golzio, Gotelli (allora Presidente generale del ramo femminile), Oliva, Bartoli, Alessandrini, Ceschi, Medi, Veronese, Sig.na Mori, Sig.na Bobbio, Remo Branca . . . e fra i vostri Sardi: Canepa, Puxeddu, Piloni, ecc., ecc. Non ci è permesso dimenticare che fu proprio allora che ebbe inizio ufficiale il «Movimento Laureati», auspici e garanti due sagge e venerate figure di compianti Ecclesiastici: Mons. Ruffini (poi Cardinale), e Mons. Piovella, Arcivescovo di Cagliari. Gli anziani, tanto erano presi dallo spirito della FUCI di allora, volevano farlo proprio per sempre e trasfonderlo in un nuovo organismo.

Ma non vogliamo apparire dinanzi alla nuova generazione, qui rappresentata, laudatores temporis acti, non abbiamo nel cuore soltanto il passato, né soltanto le categorie degli intellettuali. Abbiamo nel cuore gli Universitari di oggi, voi carissimi Studenti Universitari Cattolici qui presenti, voi Laureati Cattolici, eredi gli uni e gli altri d’una domestica e bellissima tradizione; guardiamo con pari affezione a voi tutti, soci della Azione Cattolica e delle altre Associazioni attestate sopra un programma di testimonianza e di apostolato cristiani; guardiamo con rispetto e compiacenza anche ai Religiosi e alle Religiose, qui raccolti quasi a dare prova della loro solidarietà con i laici impegnati nella comune missione di testimonianza, di difesa, di servizio e di diffusione del nome cattolico.

Cagliari ci offre con codesta accoglienza una vivissima consolazione, una corroborante speranza. Vorremmo confermare negli animi di tutti i presenti il sentimento di comunione che ora vi unisce, non tanto alla Nostra modesta e fuggitiva persona, quanto alla Nostra altissima missione apostolica. La vostra bontà ci dà confidenza ad aprirvi con qualche impegnativa consegna l’animo Nostro.
Brevissimamente; parliamo con i numeri. Primo: l’ideale della professione cattolica cosciente, coerente, attuale merita il vostro entusiasmo, la vostra dedizione. Non ne dubitate mai. «Chi mi segue - dice Cristo Signore - non cammina nelle tenebre» (Io. 8, 12). Siate sicuri. Egli è la «via» giusta. Ancora oggi, ed oggi più che mai. Egli è il Maestro. Egli è la vera sapienza. Egli è la vita.

Secondo: oggi vi è assoluto bisogno d’un cristianesimo forte. Forte, diciamo, nella convinzione interiore, nella fede. Non è questo il tempo d’un cristianesimo passivo, consuetudinario, superficiale, occasionale, incoerente. E per rendere autentico ed operante il cristianesimo, che abbiamo la somma fortuna di possedere nella sua piena e genuina espressione, non v’è bisogno d’essere dei «contestatori» nel senso negativo e demolitore di questo termine di moda; basta essere vigili e critici nel senso positivo della parola: critici di se stessi e critici anche, nelle debite forme, degli aspetti manchevoli della vita cattolica, non per denunciarla e ripudiarla, ma per correggerla e per costruirla. L’autorità nella Chiesa, oggi tanto avversata, è invece là per studiare, per favorire, per attuare le riforme e per promuovere le novità, di cui la vita ecclesiale ha bisogno. Non bisogna farsi forti e audaci per rendere amara e insopportabile questa vita ecclesiale, ma bisogna essere forti, tenaci, umili e pazienti per edificarla sulla base stabilita da Cristo: aedificabo Ecclesiam meam. Perciò attivi, perseveranti, disciplinati, uniti, fiduciosi! Come voi siete, cattolici della Sardegna cattolica!

E terzo: Non turbetur cor vestrum (Io. 14, 1, 27). Non lasciatevi prendere da alcun turbamento. Il momento che attraversiamo - la Chiesa, il mondo -, è un momento di grandi mutazioni. Possiamo soffrire di vertigini, come quando si naviga nella burrasca. E per di più in questo momento la Chiesa, dopo il Concilio, si è prefissa di riavvicinare il mondo; il mondo qual è. Vi può essere il pericolo che, per avvicinare il mondo, ci assimiliamo al mondo anche nei suoi aspetti irriducibili all’integrità del nostro cristianesimo. Occorre, anche a questo riguardo, vigilare. Tutto ciò che è bene, cioè tutto ciò che ha autentico valore umano, anche se profano, è nostro (Cfr. Phil. 4, 8); cioè da noi accessibile, è da noi sostenibile, è da noi «consacrabile»: la famosa consecratio mundi merita un’arte particolare di discrezione, di rispetto, di libertà, ma insieme di collegamento col disegno superiore del regno di Dio. È un’arte, come sapete, aperta specialmente a voi, Laici Cattolici. E quanto più sarete forti e fedeli, tanto meglio saprete compiere questa moderna missione.

Coraggio. Questo è tutto. Con la Nostra Benedizione, affettuosa e speciale.

                



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