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DISCORSO DI PAOLO VI
NEL V CENTENARIO DELLA NASCITA DI MICHELANGELO

Mercoledì, 5 marzo 1975 

 

Radunati in questa Basilica, noi non possiamo dimenticare una secolare ricorrenza, che meriterà ben più celebrativa memoria: si compiono il 6 marzo 1975, cioè domani, cinque secoli dalla nascita di Michelangelo Buonarroti, nato appunto il 6 marzo 1475, a Caprese, in Toscana, e morto a Roma, il 18 febbraio 1564, nella sua casa al Macel de’ Corvi, ora distrutta, poco lontano dal Foro Traiano, dove piamente, a 89 anni, come scrive il Vasari, «nessuno passò mai di questa vita né con miglior sentimento, né con maggior devozione». Sepolta dapprima nella Chiesa dei SS. Apostoli, la sua salma fu poi segretamente trasferita a Firenze, e là sepolta, con religioso e decoroso onore, in S. Croce.

Paolo III, nel 1535, lo aveva nominato pittore, scultore, architetto dei Sacri Palazzi Apostolici, e poi, nel 1547, morto Antonio da Sangallo, «commissarius, praefectus et operarius» della Fabbrica di S. Pietro. Era già vecchio di 72 anni, ma per obbedienza accettò il gravoso incarico «per amor di Dio e senza alcun premio». Egli riprese il disegno del Bramante, a croce greca. «Quando Michelangelo morì la costruzione era giunta al tamburo, e gli architetti Della Porta e Fontana, incaricati di portarla a compimento, si discostarono lievemente dal modello ligneo (che ancora si conserva in Vaticano, a S. Pietro), dando alla calotta esterna un profilo meno emisferico per motivi di statica e con l’affinarne le nervature» (D. Redig De Campos).

Noi ricordiamo come il nostro venerato predecessore Pio XI, di felice memoria, ci narrava con commosso entusiasmo le vicende di questa costruzione, confidandoci che nel pensiero di Michelangelo era prevista la collocazione di sedici statue di Profeti, ciascuna sopra le doppie colonne che ora si appoggiano sul tamburo della cupola poderosa, e che ragioni statiche sconsigliarono poi di mettere in opera. E questo Pio XI diceva magnificando la visione della cupola non solo concepita come mole architettonica ed artistica, ma altresì come monumento biblico e spirituale.

Ed è questa, noi pensiamo, la concezione che irradia da tutta l’opera scultorea, pittorica, architettonica del gigante Michelangelo, discusso da alcuni d’aver introdotto una concezione pagana nell’arte cristiana, e difeso da altri per il fatto d’aver dato all’arte classica e pagana una superba espressione cristiana.

Lasciamo ai critici l’indagine e la risposta. A noi basterà ora riconoscere l’impareggiabile grandezza di questo Artista, e di ricordare che nel suo sentimento egli fu profondamente religioso e cattolico.

Riprova della sua fede è anche il testamento ch’egli fece, in brevi parole, poco prima di morire. Disse con fioca ma ferma voce «che lasciava l’anima sua nelle mani di Dio, il suo corpo alla terra e la roba ai parenti più prossimi, imponendo ai suoi che nel passare di questa vita gli ricordassero i patiri di Gesù» (PAPINI, Michelangelo, Mondadori, 1961, pp. 1019-1020). Par di sentire in queste parole echi lontani del Savonarola.

Diamo ammirazione e onore al Grande, preghiamo ancora per la sua pace e per la sua gloria, nella coerenza alla eredità di fede e di bellezza che nessuno lasciò a noi, nel regno dell’arte, più degna e più religiosa.

                                        



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