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DISCORSO DI PAOLO VI
AL SACRO COLLEGIO DEI CARDINALI

Lunedì, 23 giugno 1975 

 

Rispondiamo con tutto il nostro affetto agli auguri, che il Cardinale Decano ha testé espresso, interpretando con tanta delicatezza i vostri sentimenti, nostri Venerabili Fratelli del Sacro Collegio. È una circostanza per noi molto gradita, questa: non tanto per l’attenzione rivolta alla nostra persona, che vorrebbe costantemente eclissarsi davanti alla luce di Cristo Signore, seguendo l’esempio del Precursore di cui portiamo il nome del nostro Battesimo: Illum oportet crescere, me autem minui (Io. 3, 30). Ma soprattutto gradita, questa circostanza, perché è un fatto di comunione, di koinonía, è un segno di quella carità che vive nella Chiesa e unisce tutti i suoi membri, in un unico vincolo di amore, che lo Spirito Santo sostiene, in un solidale impegno di servizio, in un’armonia profonda di voleri e di esempi.

Momento centrale dell’Anno Santo

Grazie, dunque, venerati Fratelli. L’incontro odierno avviene nel momento centrale dell’Armo Santo. Precisamente domani si compiranno sei mesi dalla Notte di Natale, quando, trepidando di santa emozione, e immersi nella preghiera, abbiamo aperto la Porta Santa, attraverso la quale sono passati, a tutt’oggi, milioni di fedeli, incamminati per questo simbolico passaggio sulle vie della conversione, dell’incontro con Dio e dell’amore per i fratelli.

Una corrente di intensa spiritualità pervade il mondo, e bisognerebbe esser ciechi per non riconoscerlo. L’itinerario di Roma non è che il punto finale di una traiettoria che ha preso l’avvio dalle singole Chiese locali: è la degna e logica conclusione delle celebrazioni su piano parrocchiale, diocesano, nazionale e comunitario in tutti i Paesi dell’ecumene cattolica, che qui hanno portato e stanno portando non masse amorfe, turisti svagati, ma persone che pregano, che affrontano sacrifici anche penosi - finanziari, di tempo, di adattamento, di fatica, ecc. - attratti non da esteriorità, ma dal richiamo solenne e austero di questi luoghi e dei grandi temi dell’Anno Santo. E ciò che più colpisce è il fatto che si tratta in massima parte di gente semplice, tanto da imprimere a questo Anno Santo, più che non agli altri passati, proprio questa caratteristica: si tratta del popolo che lavora, che dispone di mezzi limitati, che ha l’unica sua ricchezza nella famiglia e nella custodia dei valori più santi; e la relativa facilità di mezzi di trasporto ne favorisce il pellegrinaggio, a cui bastano le ore o i giorni strettamente indispensabili, mentre il ,suo numero esatto nessuna rilevazione statistica potrà mai conoscere adeguatamente, mentre il suo fervore è noto soltanto a Colui che tutto vede.

Fulcro delle celebrazioni giubilari

Non possiamo che ringraziare Dio dal profondo del cuore per avere anche visibilmente accompagnato con la su,a grazia un così vasto movimento di pietà, di preghiera, di penitenza. E ci commuove questa vasta rispondenza sa quanto abbiamo chiesto al Popolo di Dio, fin dal primo annuncio dell’Anno Santo, il 9 maggio 1973 (Cfr. AAS 65, 1973, pp. 322-325), e abbiamo ribadito nella Bolla di Indizione Apostolorum Limina, del 23 maggio dello scorso anno, indicando il fulcro delle celebrazioni giubilari nel rinnovamento e nella riconciliazione: «Le aspirazioni - scrivevamo - che i due temi interpretano . . . troveranno una più completa attuazione in Roma, dove i pellegrini alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo e alle memorie degli altri Martiri, entreranno più facilmente in contatto con le antiche fonti della fede e della vita della Chiesa, per essere convertiti nella penitenza, ritemprati nella carità e uniti maggiormente con i fratelli dalla grazia di Dio. Saranno un rinnovamento e una riconciliazione interiori, anzitutto, perché è nel profondo del cuore la radice di ogni bene e, purtroppo, di ogni male; è là, dunque, che deve avvenire la conversione» (Apostolorum Limina, I: AAS 66, 1974, p. 292).

Noi vediamo ora ogni giorno, noi sentiamo dalla nostra finestra aperta sul mondo, come i nostri figli di tutti i popoli, di tutte le lingue, di tutte le civiltà abbiano inteso e messo in pratica questo invito. È lo Spirito Santo che fa sentire forte, oggi come sempre, la sulla voce che chiama all’interiorità, alla pace, alla vita nuova. E «gemiti inesprimibili» (Rom. 8, 26) salgono ogni giorno, da lui suscitati, dal cuore delle migliaia e migliaia dei fedeli che qui vengono a sostare in preghiera e in meditazione.

Questa rispondenza così vasta e consolatrice ci permette di dedurre, con profonda convinzione, che con la stessa attenzione generosa e sincera sia stato accolto anche il nostro «caldo invito alla carità, alla unione reciproca . . . nel vincolo dell’unica carità di Cristo» (AAS 67, 1975, p. 6), contenuto nella nostra Esortazione Apostolica sulla riconciliazione all’interno della Chiesa, promulgata l’8 dicembre 1974, nell’ormai imminente apertura dell’Anno Santo. Molte voci ce lo confermano, anche se non vogliamo ignorare - e lo diciamo con profondissima pena - che nostri figli, perché tali sempre li consideriamo, permangono in posizioni di incertezza dottrinale, quando non siano di critica distruttrice, di diffidenza ostile, di connivenza con ideologie antitetiche al Vangelo e alla Chiesa. Ad essi ancora e sempre il nostro invito: come abbiamo detto di recente, nell’udienza Generale dell’il giugno, che essi «non vogliano privare noi e se stessi della gioia della nuova pace fraterna» (L’Osservatore Romano, 13 giugno 1975). Le braccia sono aperte, il cuore ancora di più: dalla mutua carità e cooperazione deve risultare sempre più che la Chiesa è «nel mondo segno efficace di unione con Dio e di unità tra tutte le sue creature» (AAS 67, 1975, p. 21).

Questa fusione dei cuori, nella carità e nella fedeltà assoluta alla norma apostolica della dottrina, pro,duce inoltre la fioritura suprema della gioia: l’abbiamo voluto espressamente rilevare nella nostra recente Esortazione Apostolica sulla gioia cristiana, sulla quale ci soffermeremo oltre. Ci basta qui aver colto i motivi di ottimismo, che vengono dalla grandissima consonanza di tutta la Chiesa col suo Supremo Pastore e con i propri Vescovi, e da questa preminenza di interiorità e di preghiera, che finora ha caratterizzato in un modo davvero inaspettato, e forse in una misura che non si era ancora mai manifestata in eguale proporzione in altri Giubilei, la celebrazione dell’Anno Santo.

Rinnovamento e riconciliazione

Il richiamo da noi lanciato al rinnovamento e alla riconciliazione è stato accolto dalle varie Chiese locali con una intensa partecipazione di riflessione e di corresponsabilità, di cui ora si raccolgono i frutti nella fase conclusiva del pellegrinaggio, apice e coronamento di tutte le iniziative prese a larghissimo raggio nella intera comunità ecclesiale. Se si stanno raccogliendo frutti tanto consolanti, di cui l’esperienza ci dà ogni giorno conferma qui a Roma - anche se nessuna pagina di cronaca potrà mai registrare fatti essenzialmente soprannaturali com’è quello che stiamo vivendo - è proprio perché, grazie a Dio, le Chiese locali, con uno slancio magnifico e silenzioso, hanno potuto prepararsi per oltre un anno alla grazia del Giubileo con le loro celebrazioni particolari. I Pastori, il Clero, i Religiosi e i fedeli hanno compreso subito che la venuta a Roma non doveva costituire un fatto sporadico, un diversivo più o meno pio, o tanto meno un atto «magico», posto il quale sarebbe scattato, lasciateci dire, con allusione ad una ben nota reminiscenza storica, il meccanismo misterioso dell’Indulgenza: ma il pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli è stato preparato da una vasta corrente di interiorità e di preghiera e dall’invito alla conversione nei rapporti con Dio e con i fratelli, che ha fatto comprendere a fondo quella «dimensione verticale della vita» che nella Bolla Apostolorum Limina noi abbiamo auspicato come intimamente connessa col messaggio dell’Anno Santo per «assicurare il riferimento di tutte le aspirazioni ed esperienze ad un valore (assoluto e veramente universale» (AAS 66, 1974, p. 293).

Diamo atto ai Nostri Fratelli nell’Episcopato di tutto il mondo per aver favorito con la loro pastorale collaborazione questo svolgimento dell’Anno Santo, che oggi, a Roma, si realizza in forme tanto nobili e alte, ridondando certamente a maggior frutto delle stesse diocesi che vi stanno prendendo parte con tanto fervore di iniziative. Anche qui si manifesta, sul piano più alto, cioè teologico e spirituale, la grande parola di Ignazio di Antiochia che, scrivendo ai Romani, guarda alla Chiesa di Roma come a quella che è universo coetui caritatis praesidens (S. IGNATII ANTIOCHENI Ad Rom., Prol., FUNK, 1, 213). È un grande riflusso di carità, che dalle spiagge di tutto il mondo confluisce qui a Roma, la quale, mentre lo ha suggerito, è la prima a godere della sua esperienza e dei suoi frutti spirituali.

Di fatto, quale carattere hanno i vari pellegrinaggi a cui abbiamo assistito, se non quello di riprodurre in sé, in certo modo, le «note» della Chiesa? Non vediamo noi in atto, ogni giorno, la realtà stupenda della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica? Essa è Una: e, infatti, quotidianamente ci è offerto il quadro della molteplicità fusa nella preghiera di moltitudini, rese «un Cuor solo e un’anima sola» (Act. 4, 32) dalle celebrazioni penitenziali, e soprattutto dalla partecipazione all’unica fede e all’unica Eucaristia: «Poiché c’è un solo pane, poi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (Cor. 10, 17). Santa, perché lo Spirito Santo la anima, la spinge all’imitazione di Cristo umile, povero, crocifisso; suscita in lei il dono del pentimento; e egli - come abbiamo scritto nell’Esortazione Apostolica sulla riconciliazione - «è già presente e operante nel segreto del cuore di ciascun fedele, e tutti condurrà, nell’umiltà e nella pace, sulle vie della verità e dell’amore» (AAS 67, 1975, pp. 22). Cattolica perché - basta guardarci attorno in una delle solenni cerimonie nella Basilica Vaticana, come nelle Udienze Generali o nel festoso incontro dell’Angelus di ogni domenica in piazza San Pietro – non esistono nella Chiesa differenze di popoli e di culture; l’Anno Santo rinnova in certo modo il dono del mattino di Pentecoste; esso è la cattolicità in atto. La collaborazione internazionale, che si sta faticosamente cercando sul piano della vita sociale, politica, culturale, economica, è una realtà già operante nella Chiesa: e il Giubileo ne è lo stimolo acuto e il rivelatore infallibile. Apostolica, infine, è la Chiesa: e lo sottolinea il significato stesso dell’Indulgenza, collegata col pellegrinaggio alle memorie sacre al martirio degli Apostoli, nelle loro splendenti Basiliche che prima di essere insigni monumenti d’arte sono sublimi atti di fede: è l’economia, vigente nella Chiesa per divina disposizione, per cui il dono spirituale è collegato con un segno sensibile: in questo caso, con i luoghi santificati dalla suprema testimonianza d’amore, data a Cristo dai suoli martiri e Apostoli, ove i fedeli si raccolgono in preghiera e per la celebrazione dell’Eucaristia, oggi come nei primi tempi della Chiesa. Sì, abbiamo qui la conferma di quella realtà per cui non siamo «più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù» (Cfr. Eph. 2, 19-20).

Gli astri del firmamento della Chiesa

Questa realtà interiore della Chiesa, qua è posta in rilievo dal Giubileo, che stiamo celebrando, rifulge in modo speciale, con uno splendore esemplare, perché vi è contenuta tutta la ricchezza della Sposa di Cristo «senza macchia né ruga . . . ma santa e immacolata» (Eph. 5, 27), nei modelli che abbiamo proposto, e che proporremo durante quest’anno all’imitazione e alla venerazione di tutti i nostri figli. Vogliamo dire i Beati e i Santi, che abbiamo avuto la grazia di dichiarar tali, in una cornice eccezionale di popolo orante ed esultante.

Ricordiamo con animo ancora commosso le Beatificazioni di Maria Eugenia di Gesù Milleret de Brou, Fondatrice dell’e Suore dell’Assunzione, e di Cesare de Bus, Fondatore dei Dottrinari, avvenute rispettivamente il 9 febbraio e il 27 aprile scorsi; così pure la Canonizzazione simultanea, il 25 maggio, di San Giovarmi Battista della Concezione, Riformatore dell’Ordine della SS.ma Trinità, e di Santa Vincenza Maria Lopez Vicuña, Fondatrice delle Religiose di Maria Immacolata. Altre ne seguiranno nei mesi prossimi, tra cui ci piace citare la Beatificazione di Don Steeb, in luglio, e quelle di Monsignor De Mazenod, di Madre Ledochowska, di P. Janssen, di P. Freinademetz, previste per la Giornata Missionaria Mondiale, in ottobre; e le Canonizzazioni di Elisabetta Anna Seton, di Giovanni Macias, in settembre, del martire Oliviero Plunkett e di Giustino De Jacobis, in ottobre.

Sono nuovi astri, umili e luminosi, che brillano nel firmamento della Chiesa, per indicare agli sguardi dell’uomo moderno, spesso abbacinati da fonti di luce artificiale, o perduti nel vuoto siderale del dubbio o della disperazione, che la vita vale la pena di essere vissuta per Dio e per i fratelli, e che, al di là del suo effimero traguardo, vi è il giudizio di Dio, e il premio senza fine riservato ai servi buoni e fedeli (Cfr. Matth. 25, 21. 23; Luc. 19, 17).

Continuità tra il Concilio e l’Anno Santo

Venerabili Fratelli! La buona Provvidenza - per usare una frase cara al nostro Predecessore Giovanni XXIII, iniziatore del Concilio Vaticano II - ci fa celebrare questo Anno Santo nel primo decennio dalla conclusione di quel grande avvenimento, che ha segnato un solco indelebile nella vita della Chiesa di oggi e di domani. Non ci sembra certo di esagerare se vediamo il Giubileo 1975 come la grande dimostrazione della vitalità del Concilio e della sua applicazione a livello di Chiesa universale; abbiamo qui l’indicazione che i suoi insegnamenti non sono caduti nel vuoto, oppure - come qualcuno ha detto - nell’abuso di semplici citazioni, ma sono entrati nella vita quotidiana, sono divenuti sostanza corroborante del pensiero e della vita pratica cristiana, nella ricerca appassionata e sincera della conformità con Cristo Via, Verità e Vita, nel confronto quotidiano e stimolante del suo Evangelo.

Non vediamo noi realizzarsi ogni giorno quanto ha detto il Concilio in uno dei suoi documenti? Ecco: «Mediante la carità, la preghiera, l’esempio e le opere di penitenza, la comunità ecclesiale esercita una vera azione materna nei confronti delle anime da avvicinare a Cristo. Essa infatti viene ad essere, per chi ancora non crede, uno strumento efficace per indicare o per agevolare il cammino che porta a Cristo e alla sua Chiesa; e per chi già crede è stimolo, alimento e sostegno per la lotta spirituale» (Presbyterorum Ordinis, 6). Vi è qui come il programma stesso dell’Anno Santo; e noi vediamo davvero in atto questa maternità della Chiesa, che si manifesta soprattutto nella carità, nella preghiera, nella coscienza ecclesiale, nei contatti ecumenici, e con le religioni non cristiane. Effettivamente, anzitutto, l’Anno Santo ci fa toccare con mano come l’amore con cui Cristo ci ha amati è il «nuovo precetto» del Popolo messianico della Chiesa, che, «costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da Lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti», e «costituisce per tutta l’umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza» (Lumen Gentium, 9). Questa carità brilla anche nell’aiuto che le comunità più dotate di mezzi forniscono incessantemente, allo scopo di favorire quelle più povere per la loro venuta a Roma, in semplicità e sobrietà. È questa carità che fonde continuamente i cuori nell’esempio e nell’aiuto reciproco, spirituale e materiale, e si manifesta come in luogo privilegiato attorno all’altare.

La preghiera sì, è anch’essa il segno di questa continuità tra il Concilio e l’Anno Santo: si direbbe che i frutti della riforma liturgica appaiono ora nel loro splendore, e che l’accento posto dai documenti conciliari sulla realtà misteriosa e magnifica dello Spirito Santo, che prega nella Chiesa e con la Chiesa (Lumen Gentium, 4; 34; Sacrosanctum Concilium, 6); sulla presenza di Cristo nella Chiesa orante, specie nelle sue azioni liturgiche (Sacrosanctum Concilium, 7); sulla necessità e sui pregi della preghiera sia personale (Ibid. 12, 90) sia comunitaria (Ibid. 7, 12), ha trovato nella celebrazione dell’Anno Santo una sua verifica puntuale, una sua conferma luminosa: abbiamo notizie consolantissime sulle varie funzioni sacre nelle quattro Basiliche, specie in quella Vaticana, come nelle Catacombe e negli altri luoghi di preghiera, frequentati da moltissimi giovani. I pellegrinaggi grandiosi come gli umili gruppi o i semplici fedeli si notano soprattutto per questo bisogno, per questa fame e sete di preghiera e di grazia. Non altro è loro promesso dal loro itinerario romano; né i fedeli si accontentano di qualche gesto esteriore che assicuri l’acquisto della Indulgenza; ma sappiamo che vanno alle fonti della pietà cristiana, attingendo da esse, soprattutto dal Sacrificio eucaristico, la pienezza della vita. Pensiamo che questo ricuperato senso del pregare sia una ricchezza grande e valida del Giubileo: e godiamo nel vedere che così giungono a compimento le premesse, che il Sacro Concilio aveva poste con tanta speranza, iniziando davvero una nuova era nella vita della Chiesa del nostro tempo.

L’Anno Santo denota altresì un nuovo impegno nella coscienza ecclesiale, qual era stata auspicata da noi e dai Padri Conciliari, e che veramente è uno dei più notevoli segni dei tempi, che il Signore ci concede: essa si manifesta in quel carattere comunitario, in quella solidarietà umana, in quella comunione fraterna che Cristo stesso ha realizzato con la sua Incarnazione, ha dimostrato nella sua vita terrena, e ha affidato al suo Corpo che è la Chiesa, con l’impegno di accrescerla fino al giorno in cui sarà consumata (Gaudium et Spes, 32 ; cfr. Ad Gentes, 15).

Questa solidarietà si è parimente dimostrata nel corso di quest’anno nei rapporti che si hanno in forma discreta ma continua con i Fratelli che con noi portano il Nome di Cristo, tanche se non ancora con noi uniti nel vincolo della perfetta unione; è veramente consolante che l’Anno Santo abbia esercitato su di essi, e specialmente sui giovani, un’attrattiva potente nella quale non si può non ravvisare una mozione dello Spirito Santo. Così siamo informati dell’interesse arcano che le cerimonie del Giubileo hanno prodotto nello spirito profondamente religioso di appartenenti a Religioni non Cristiane. I germi deposti dal Concilio Vaticano II, e il lavorio continuo che si sta svolgendo sulla sua scia, portano poco per volta a realtà meravigliose, che in tempi, sia pure recenti, erano ancora insospettate. Ne lodiamo insieme il Signore, perché «ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende» da Lui, «dal Padre della luce» (Iac. 1, 17).

Rapporto col mondo e con la storia presente

Ma il Giubileo vuol favorire anche la prosecuzione di quel dialogo col mondo contemporaneo e con la storia presente, che il Concilio Vaticano II ha lasciato alla Chiesa come suo irrinunciabile compito (Gaudium et Spes). Da parte Nostra la volontà è ferma e cordiale: e crediamo di averne date le prove concrete in questi dodici anni di Pontificato.

Oh, non ci facciamo illusioni sugli ostacoli, sulle difficoltà, sulle remore, come sulle forze cieche, che spesso sembrano voler asservire questo mondo, che pur è «cosa molto buona» (Gen. 1, 31) perché creato da Dio, ed è stato tanto amato dal Padre Ne redento dal suo Unigenito, da lui mandato (Cfr. Io. 3. 16). Non ci attardiamo a menzionare esplicitamente gli orrori della guerra, che insanguinano tuttora tanta parte del mondo, tanto sono vivi alla coscienza di tutti; ma non vorremmo nemmeno dimenticare gli assalti che oggi, in nome di una malintesa libertà che offende Dio e avvilisce l’uomo, si vorrebbero perpetrare da una società che non vuole riconoscere più altra legge morale che la propria sufficienza e le proprie affermazioni: ci riferiamo alla limitazione artificiale delle nascite, all’aborto, all’eutanasia, come a tutte quelle forme, aperte o larvate, di manipolazione dell’uomo, che segnano e segneranno un grave conto passivo nei confronti del mondo contemporaneo sul quadrante della storia, la quale, a suo modo, è testimone e giudice severo delle azioni e degli errori degli uomini.

Se ricordiamo queste cose, è per dire che, nonostante tutto, noi seminiamo la Parola di Dio a difesa dell’uomo, specie del povero, dell’innocente, di chi non ha capacità, né forza di difendersi; noi diffondiamo il nostro messaggio di Verità, che è anche di dignità umana e di liberazione da ogni forma di schiavitù. Non sappiamo se avrà effetto, né pretendiamo di saperlo: ma continuiamo lo stesso, anche in spem contra spem (Rom. 4, 18) come Abramo, come i Padri in cammino verso la Terra promessa. Soltanto Dio lo sa, e in Lui riponiamo la nostra speranza.

Così per l’opera di pace, che ci sforziamo di continuare, con tutte le iniziative, pubbliche e private, note e sconosciute, che sono a nostra disposizione. Abbiamo la volontà ferma di stimolarla, perché la pace è bene troppo prezioso per l’umanità, e ce ne rivendichiamo l’onere di promuoverla, che è pur tanto grave; non facciamo certamente conto del merito, anche se grandi organizzazioni internazionali ce lo riconoscono; e noi siamo loro grati di ciò e di tutto cuore. Il nostro impegno è quello di proseguire in quest’opera, anche se i risultati non corrispondono talora allo sforzo, anche se eventi continui sembrano smentire questo anelito di pace. Che esso sia tale nell’umanità, ce lo dicono le folle di ogni provenienza, che, qui a Roma, fuse in un solo palpito di preghiera, celebrano i riti della Chiesa, attorno all’Eucaristia, affratellate, anche senza conoscersi, dal vincolo della carità di Cristo, dall’unica linfa vitale che alimenta la Chiesa. È anche da esse che sale un appello al mondo perché voglia veramente amare e difendere la pace, promuovere il progresso umano e sociale, rispettare l’uomo che è fratello e amico, perché figlio di Dio.

Il bisogno della gioia cristiana

Euntes ibant et flebant, mittentes semina sua; venientes autem venient cum exsultatione, portantes manipulos suos (Ps. 125, 6). Con questa speranza noi procediamo, paghi di rispondere alla volontà di Dio, che ci ha scelti per annunciare e diffondere il suo Regno tra gli uomini. Andiamo avanti, col cuore pieno di attese, sapendo che Dio seconderà l’opera nostra, anche se non ne misuriamo l’effetto immediato, memori di una splendida pagina di S. Agostino: In lacrimis seminatis, in gaudio metetis. Quid enim, fratres mei? Ipse agricola, quando procedit cum aratro, et portat semen, nonne aliquando frigidus est ventus, et imber deterret? Attendit caelum, videt triste, tremit frigore, et tamen procedit et seminat (S. AUGUSTINI Enarr. in Ps. CXXV, 13: PL 37, 1666). Anche noi, guardando il cielo spesso offuscato di nubi, andiamo avanti e seminiamo. Per questo abbiamo rivolto alla Chiesa, anzi a tutti gli uomini la nostra recente Esortazione sulla gioia cristiana, come un invito a superare i gravi e reali motivi di scoramento, di angoscia, di tristezza che opprimono tanta parte dell’umanità per attingere a una visione superiore quelli della gioia. Non ignoriamo certo, come là dicemmo, che oggi l’uomo soffre per le tensioni a cui è sottoposto dalla contraddittoria civiltà in cui vive: ma abbiamo rilevato il bisogno di gioia, che zampilla nel cuore di tutti gli uomini, e che è eco della gioia stessa di Dio, e abbiamo cantato l’inno a questa gioia cristiana. L’Anno Santo dev’essere - e, a quanto è dato vedere, lo è certamente – un contributo fortissimo a soddisfare questo bisogno di gioia, che è di indole essenzialmente spirituale. La promessa del perdono di Dio, il rinnovamento delle coscienze, la riconciliazione con i fratelli a tutti i livelli della vita comunitaria, sociale, internazionale - cardini del Giubileo - sono le condizioni insopprimibili della pace dell’anima da cui fiorisce la gioia: e perciò, ripetendo le parole della Esortazione, «noi auguriamo in ogni tempo, ma soprattutto in questa celebrazione cattolica dell’Anno Santo, che, sia a Roma, sia in tutta la Chiesa, consapevole di doversi accordare con l’autentica tradizione conservata a Roma, voi possiate provare con noi “quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme”» (AAS 67, 1975, p. 319).

Propositi e voti

Nostri Venerati e cari Fratelli! Ormai al termine di questo colloquio, che ha voluto essere come un primo bilancio spirituale e pastorale dell’Anno Santo e della sua irradiazione nelle anime, nella Chiesa e nel mondo, non possiamo non rivolgere il pensiero a quanto ancora ci aspetta nei mesi venturi, che saranno sempre più e più densi di profondi arricchimenti e incontri spirituali. Ma pensiamo anche a quanto verrà dopo l’Anno Santo. Effettivamente, questa corrente di rinnovamento e di riconciliazione non può certo chiudersi cos i battenti della Porta Santa, nel prossimo Natale, quando si concluderà il Giubileo 1975; né il vasto movimento di anime da esso suscitato potrà sopirsi in attesa del prossimo Giubileo. Dal 1950 ad oggi la mano di Dio ha condotto la Chiesa attraverso eventi memorabili, straordinarie esperienze, gioie luminose e prove ardue e purificatrici. E oggi la Chiesa è viva, la Chiesa - nonostante ogni contraria apparenza - è unita, la Chiesa è e rimane il lievito nella pasta (Cfr. Matth. 13, 33), il Vessillo levato tra le Nazioni (Cfr. Is. 5, 26).

L’orizzonte che orla si apre per questi altri venticinque anni prepara alla Chiesa nuovi campi di apostolato, nuovi confronti col mondo ch’essa è chiamata a salvare, nuove purificazioni, nella partecipazione al mistero sempre operante della Croce. Non ci fermiamo qui, certamente. Siamo aperti, siamo disponibili, pur nella consapevolezza dei nostri limiti umani, all’opera che la Trinità Santissima vuol proseguire, servendosi dei nostri umili mezzi: senza tentennamenti, senza pigrizie, senza timori. Una nuova èra si apre, di fedeltà allo Spirito Santo, di amore a Cristo Crocifisso, di dedizione ai fratelli, di edificazione di una società più umana e più giusta. Non vogliamo trarci indietro. Avanti, in Nomine Domini. San Giovanni Battista ci aiuti a preparare le vie del Signore, carne ha fatto lui, con la parola e cos l’esempio, fino al martirio; i Santi Pietro e Paolo ci siano di stimolo e di modello per la generosità nella nostra missione e per l’evangelizzazione a raggio universale; la Vergine Santissima, Madre della Chiesa, sia ancora e sempre in mezzo a noli, come nel Cenacolo in attesa della Pentecoste (Cfr. Act. 1, 14), per infonderci luce e speranza.

È la nostra preghiera e il nostro augurio, che confortiamo con l’Apostolica Benedizione.

                                      



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