Index   Back Top Print

[ IT  - LA ]

DISCORSO DEL SANTO PADRE PIO X*

ALLOCUZIONE DI SUA SANTITÀ PAPA PIO X
TENUTA NEL CONCISTORO DEL 14 NOVEMBRE 1904

 

Duplice, come sapete, è la causa per la quale abbiamo riunito intorno a Noi l'amplissimo Vostro Collegio, per trattare oggi con voi dei due Beati che debbono inscriversi nell'albo dei Santi, ed insieme della creazione dei nuovi Vescovi.

L'una e l'altra cosa è tanto grande, quanto lieta e gioconda; non peraltro acconcie alla letizia sono le condizioni dei tempi. Imperocché oltre all' incendio di calamitosissima guerra che arde già da parecchi mesi nello Estremo Oriente, e del quale, per la paterna carità che abbiamo e dobbiamo avere verso tutti gli uomini, imploriamo supplichevoli da Dio che voglia affrettare la fine, altre cause ancora più prossime Ci riempiono d'amarezza. Nel contemplare infatti l'eccellenza delle cristiane virtù, siamo costretti a rivolger la mente alla ingente moltitudine di uomini che appena qualche ombra conserva del nome cristiano, e mentre l'animo Ci si consola nel poter dare alle Chiese vedovate dei buoni pastori, si duole insieme veementemente perchè già da troppo tempo Ci viene impedito di provvedere alla vedovanza di altre non poche.

Vi sarà facile il comprendere come qui vogliamo alludere a quella nazione che, essendo la nobilissima fra le nazioni cattoliche, purtuttavia per i sentimenti antireligiosi di molti è da lunga pezza miseramente sconvolta ed agitata. A tale estremo si spinse colà l'audacia delle tristi imprese, da discacciare pubblicamente dalle scuole e dai tribunali l'effigio di Colui che è il solo Maestro e giudice eterno degli uomini. Tra i molti mali però che ivi affliggono la Chiesa, di questo sopra tutto gravemente ci rammarichiamo, che impedimenti cioè di ogni genere vengano apposti alla elezione dei Vescovi: senza dire che si maturano più tristi propositi. Di cosi grave ostilità invano si cerca altra cagione all'infuori di quella accennata testé dappoiché l' imputazione che viene rivolta contro la Sede Apostolica, di non aver essa mantenuto le pattuite condizioni è cosa contraria alla buona fede come alla verità. Ed è principalmente la macchia di questa calunnia che reputiamo necessario respingere al cospetto Vostro, Venerabili Fratelli, prima che veniamo alle cose che Ci siamo proposte.

Ricordiamo fatti non ignoti ad alcuno. Sul cominciare del secolo scorso, quando la spaventosa rivoluzione scatenatasi sulla Francia, rovesciato l'antico ordinamento civile, avea dapertutto abbattuta l'avita religione, il nostro Predecessore di gloriosa memoria, Pio VII, e i moderatori della repubblica, quegli sollecito della salute delle anime e della gloria di Dio, questi perchè dalla religione venisse stabilità alla pubblica cosa, accordatisi fra loro stipularono una convenzione che mirava a riparare i danni della Chiesa in Francia, ed a munirla in avvenire della tutela della legge.

Al Concordato si aggiunsero poi per solo arbitrio del potere civile, gli articoli che si dicono organici, ma contro siffatta aggiunta non solamente Pio VII si oppose immantinente, ma i Romani Pontefici che vennero dopo di Lui, presentandosene loro l'opportunità; specialmente quando si pretendeva l'osservanza di detti articoli, resistettero vigorosamente. E ciò a gran ragione se si considera la natura di queste leggi; diciamo leggi non patti; giacché non intervenne mai consenso alcuno di Pontefici. Queste leggi adunque non riguardano menomamente la pubblica sicurezza, della cui materia si era trattato nel primo capo della convenzione: Il Culto sarà pubblico, avuta ragione tuttavia delle disposizioni, riguardo alla polizia, che il Governo stimerà necessarie per la pubblica tranquillità. Nè è da dubitarsi che se le leggi organiche contenessero disposizioni di tal sorta, non sarebbero state dalla Chiesa, memore della data fede, accolte ed osservate. Ora invece in queste leggi si dispone intorno alla disciplina ed alla dottrina stessa della Chiesa: molte cose vengono sancite ripugnanti alle convenute; ed abrogato in gran parte ciò che a vantaggio del cattolicismo era stato pattuito, i diritti della potestà ecclesiastica vengono rivendicati al potere civile; dal quale perciò la Chiesa non deve aspettarsi tutela, ma servaggio. Ma giova toccare partitamente le cose che fra la Sede Apostolica e la Francia vennero convenute.

Quanto a definire le relazioni dell'una e dell'altra potestà, lo Stato promette alla Chiesa la libera facoltà del culto religioso: Libero sarà in Francia l'essrcizio della Religione Cattolica, Apostolica, Romana. Lo stesso dichiara estranea al compito di ufficio suo ogni giurisdizione sulle cose sacre; solo in questa materia vuole siano validi e fermi i decreti che avesse ad emanare per ragioni di polizia, cioè di pubblica sicurezza. Ora nel fare questa sola eccezione, che versa in un campo abbastanza ristretto, per ciò stesso conferma di non poter esso nulla nel resto, dappoiché ciò che tocca la vita soprannaturale della Chiesa eccede di gran lunga i confini della civile autorità. Rimane quindi stabilito, riconoscendolo ed approvandolo lo stesso Stato, che tutto ciò che riguarda la fede e i costumi, tatto esser deve nel dominio ed arbitrio della Chiesa, proprio di essa l'istituire, curare e difendere tutto ciò che serva a conservare e favorire fra i cattolici la santità della fede e dei costumi; essa perciò, e niun altro che essa, poter proporre al popolo coloro che abbiano l'ufficio di custodire e promuovere principii e gli ordinamenti della vita cristiana, intendiamo dire, i sacri ministri e in prima linea i Vescovi.

Ciò nondimeno anche in questo, a fine di mantenere più facilmente la concordia, la Chiesa recede in qualche cosa, dal rigore del suo diritto, e attribuisce allo Stato la facoltà di nominare coloro ai quali venga conferito l'ufficio episcopale. Siffatta facoltà peraltro non ha, nè può avere mai lo stesso valore dell'istituzione canonica. Giacché l'assumere e il collocare alcuno in grado di sacra dignità, e confermargli potestà pari alla dignità stessa, è diritto così proprio e peculiare della Chiesa, che salve rimanendo le ragioni del suo divino ufficio, non può venire comunicato allo Stato civile.

Resta adunque che la facoltà di nominare, concessa allo Stato, non altro voglia significare se non il designare e presentare alla Sede Apostolica quello che il Pontefice promuova, se pure esso riconoscalo idoneo all'onore dell'Episcopato. Né già per chi così è nominato deve necessariamente seguire l'istituzione canonica, ma debbono innanzitutto religiosamente ponderarsi le qualità della persona. Che se queste per avventura siano tali che il Pontefice non possa per dovere di coscienza conferire a taluni l'episcopato, nessuna legge potrà costringerlo a manifestar le cagioni per le quali non abbia creduto di conferirlo.

Inoltre la Chiesa stabilisce certe determinate preghiere pel supremo magistrato, con che si professa di voler essere amica del potere civile, qualunque sia la forma di governo.

Questi sono i punti del Concordato che riguardano il presente e l'avvenire quanto poi al tempo passato interviene una transazione circa i beni ecclesiastici di cui lo Stato si era poco prima impossessato, i quali beni il Pontefice condona allo Stato questi poi alla sua volta s'impegna di prestare al Clero il sostentamento conveniente allo stato di ciascheduno. Trattasi qui, come vedesi, di un vero e proprio contratto, pel quale, essendo stipulata una certa prestazione in luogo di determinate, sostanze, non havvi dubbio, che se pure il Concordato venga a risolversi, rimane integro alla Chiesa il diritto di o ripetere i suoi beni, o di esigere per essi una giusta prestazione.

Abbiamo esposte per sommi capi le cose intorno alle quali fra la Francia e la Sede Apostolica, in tempi che ad entrambi grandemente urgeva di farlo, fu convenuto chiunque giudica secondo verità, decida quale delle due parti abbia mancato ai patti.

Ritrattò forse mai la Chiesa il diritto dato allo Stato di nominare Vescovi Che anzi ai candidati proposti da questo conferì in mas sima parte la canonica istituzione. Che se avvenne talvolta che a taluni non venisse conferita tale istituzione, fu sempre per cause gravissime e sempre estranee a questioni d'indole politica; cause che più di una volta, venute poi a cognizione degli stessi magistrati civili, furono da questi approvate; e ciò perchè la Religione, che il Pontefice deve avere necessariamente a cuore, non avesse a risentirne detrimento.

Non è poi ignoto ad alcuno come la Chiesa adempisse quanto aveva promesso nell' esercizio del sacro culto, in ossequio alle leggi emanate per ragione di pubblica tranquillità, suo infatti è il solenne e notissimo insegnamento, essere Dio la fonte di qualsiasi potestà sugli uomini, e che perciò le prescrizioni e i divieti delle leggi civili, se giusti e coordinati al bene comune, debbono essere religiosamente e inviolabilmente osservati.

Nè meno fedele amica si mostrò la Chiesa verso lo Stato, qualunque costituzione finora avesse. Sempre infatti coloro che vi presiedevano, per essi pregando Iddio secondo la formola stabilita, si adoperò a conciliare non solo l' aiuto del Cielo, il che è l'essenziale, ma altresì il favore della miglior parte dei cittadini.

Finalmente con quanta fedeltà essa abbia osservato la transazione fatta sulle sue sostanze si può comprendere da ciò, che non uno ha mai ricevuto veruna molestia dalla Chiesa pel fatto di possedere suoi beni acquistati all'asta pubblica.

È lecito ora domandare, se il potere civile abbia adempito ugual mente quelli che per il trattato erano suoi doveri.

Fu posto come principio che la religione cattolica dovesse esser libera. Ma potrà dirsi sussistere oggi tal libertà quando si interdice al Vescovi di visitare il Pontefice o communicare con Lui per lettera ad insaputa del governo, col Pontefice che pure è il Sommo maestro e custode della religione cattolica? Quando le Sacre Congregazioni, dalle quali è noto che coll'autorità e nel nome del Pontefice vengono amministrati nella Città di Roma i negozi della Chiesa universale, vengono pubblicamente disprezzate, e se ne rifiutano gli atti, che anzi appena appena si perdona agli atti dello stesso Pontefice? Quando non si fa un mistero di voler togliere alla religione il nerbo delle sue forze col privare la Chiesa di quelli che per volere della provvidenza divina, sono ausilio utilissimo pel compimento della sua missione ? Né possiamo infatti pensare senza grandissima angoscia, alla recente strage degli Ordini religiosi, per espellere i quali dai confini della patria valse quest'ultima ragione, l'essere cioè essi i  sostenitori efficaci dell' avita religione in mezzo al popolo non valse per mantenerveli, non diciamo per onorarli come pure era dovere, il pensiero delle grandi benemerenze da esse in ogni tempo acquistate verso i proprii concittadini. E che havvi di più contrario all' alleanza ed al patto stretto colla Sede Apostolica, che il volere colpiti di tanta ingiuria e contumelia coloro, dei quali nulla havvi di più caro alla Chiesa? Che anzi alle altre molestie di questo genere si pose il colmo recentemente.

Poiché apprendemmo che è stata emanata una circolare, colla quale ai religiosi di un Ordine illustre ed autorizzato anche dalle leggi viene imposto di uscire da quei Seminarii diocesani, ai quali con gran vantaggio del sacro ordine sacerdotale, erano soliti presiedere già da lungo tempo. A questo è riuscita la libertà promessa alla religione, che non sia lecito ormai ai Vescovi di provvedere, come meglio credano all'istituzione della sacra gioventù, e siano essi costretti, in cosa di tanto momento e di tanto peso di allontanare da loro quegli ausiliari che hanno sempre sperimentato siccome ottimi cooperatori.

Sebbene un vincolo molto più grave è stato apposto al ministero apostolico. La stessa natura della cosa reclama, come dicemmo, che l'istituzione canonica, specialmente se deve darsi al supremo grado dell'ordine ecclesiastico, non possa, salva volendo la maestà della religione, cadere sopra alcuno, se non apparisca per i costumi, per l' ingegno, per la dottrina degno di un ufficio cotanto eccelso. Vincolato da questa legge santissima, il Pontefice non stima sempre dover promuovere all' episcopato tutti coloro che dal potere civile gli vengono designati ma esaminate bensì maturatamente le qualità di ciascuno, altri, che rinviene idonei, li assume, altri meno idonei li lascia e di questa Sua deliberazione fatto consapevole il potere civile, lo prega di volere per quelli condurre a fine gli atti iniziati, e a questi sostituire dei migliori.

La Sede Apostolica tenne sempre, a nostra memoria, siffatta consuetudine senza contrasti, finché incolume stette la concordia dei due poteri. Che cosa fa ora la Repubblica? Nega essere diritto del Pontefice di ripudiare qualunque fra quelli che essa abbia nominato; vuole che tutti i nominati siano accettati indistintamente; perciò si ostina a non permettere che quelli i quali siano approvati dalla Chiesa, vengano canonicamente istituiti, prima che gli altri i quali abbiano da essa ricevuto una ripulsa ottengano la medesima approvazione. In verità che l'estendere la forza del diritto di nomina fino al punto che la facoltà, per concessione del Pontefice, fatta alla Repubblica, venga ad elidere il naturale e sacrosanto diritto della Chiesa di scrutare se coloro che vennero nominati ne siano degni, questo non è davvero interpretare il patto, ma rovesciarlo; pretendere poi che se qualcuno venga preterito, neppure agli altri si dia l'istituzione canonica, equivale a non volere che d'ora in poi vengano istituiti Vescovi nella Francia.

Ciò che si attiene poi a quella parte di convenzione, per la quale fu provveduto all'onesto sostentamento del clero, l'osserva essa forse la Repubblica, quando ai Vescovi ed agli altri sacri ministri, senza che preceda alcuna inchiesta od alcun giudizio, inascoltati e senza difesa, come sapete accadere assai spesso, sottrae a suo capriccio il legittimo sostentamento. Eppure, qui non si tratta soltanto di violare la legge del contratto, ma quella della giustizia. Infatti non deve credersi che lo Stato nel somministrare siffatti alimenti faccia una graziosa spontanea largizione alla Chiesa, ma bensì paga una parte, e non grande, del proprio debito.

A malincuore ci siamo indotti, Venerabili Fratelli, a trattenervi di cose tanto tristi, a rammentarsi e ad udirsi. Imperocché seppure pensavamo che communicando con Voi potesse avere qualche sollievo il grave cordoglio che proviamo per le cose di Francia, avremmo voluto piuttosto sopportarle in silenzio, anche per la ragione che a tanti figli piissimi della Chiesa, che nella Francia annoveriamo, non avesse ad inasprirsi l'amarezza dell'anima per i lamenti del Padre comune.

Se non che i diritti santissimi della Chiesa indegnamente violati, e la dignità specialmente della Sede Apostolica imputata dell'altrui colpa, richiedeva da Noi una pubblica protesta delle ingiurie. E ciò facemmo scevri da qualsiasi sentimento di amarezza verso chicchessia, certo con paterna sollecitudine verso la nazione francese, nell'amore verso la quale, ciò che del resto nessuno può dubitare, non la cediamo a veruno dei nostri Predecessori.

Davvero non è a sperarsi che il corso delle ostilità contro la Chiesa abbia ad arrestarsi.

Taluni fatti in questi ultimi giorni ci fornirono certissimi indizi che coloro i quali siedono al governo della Repubblica sono così avversi al cattolicismo, che fra breve si debba venire agli estremi. Al tutto, mentre la Sede Apostolica, in tanti solenni documenti ha proclamato che la professione del cattolicismo può bene accordarsi colla forma repubblicana, costoro al contrario sembra che vogliano affermare, che la Repubblica, quale ora esiste in Francia, è di tale natura che non può avere verun commercio colla religione cristiana; ciò che in modo doppiamente calunnioso colpisce i francesi, come cattolici cioè, e come cittadini. Ma checché avvenga, per quanto di amaro, non troverà mai né impreparati ne trepidanti. Noi cui è di conforto quella voce ed esortazione del Signore: Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi (Giov. XV, 20). Nel mondo sarete angustiati, ma abbiate fidanza, io ho vinto il mondo (Giov. XVI, 33). Frattanto però, o Venerabili Fratelli, preghiamo insieme costantemente ed umilmente il Signore affinchè egli che solo può ritrarre donde vuole e spingere dove vuole la volontà degli uomini, auspice la Vergine Immacolata, affretti benigno alla sua Chiesa il giorno della tranquillità e della pace.

 


*La Civiltà Cattolica, anno 55°, 1904, vol. 4, pp. 513-526.



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana