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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII 
AL TRIBUNALE DELLA SACRA ROMANA ROTA

2 ottobre 1945

 

Dacchè piacque al Signore, giudice sovrano di tutte le giustizie umane, di costituirCi quaggiù suo Rappresentante e Vicario, oggi per la prima volta - dopo aver ascoltato l'ampia e dotta relazione annuale dell'attività di cotesto Sacro Tribunale, fattaCi dal vostro degnissimo Decano - possiamo esprimervi, diletti figli, la Nostra gratitudine ed esporvi il Nostro pensiero, senza che il fragore delle armi copra la Nostra voce coi suoi rombi sinistri. Oseremmo Noi dire che è la pace? Non ancora pur troppo! Voglia il Signore che ne sia almeno l'aurora! Una volta cessata la violenza dei combattimenti, suona l'ora della giustizia, la cui opera consiste nel restaurare coi suoi giudizi l'ordine sconvolto o turbato. Formidabile dignità e potenza del giudice che, al di sopra di tutte le passioni e di tutti i preconcetti, deve riflettere la giustizia stessa di Dio, sia che si tratti di decidere le controversie o di reprimere i delitti!

Tale è invero l'oggetto di ogni giudizio, la missione di ogni potestà giudiziaria, ecclesiastica o civile. Un rapido sguardo superficiale alle leggi e alla prassi giudiziaria potrebbe far credere che l'ordinamento processuale ecclesiastico e il civile presentino differenze soltanto secondarie, press'a poco come quelle che si notano nell'amministrazione della giustizia in due Stati civili della stessa famiglia giuridica. Anche nello scopo immediato essi sembrano coincidere: attuazione o assicurazione del diritto stabilito dalla legge, ma nel caso particolare contestato o leso, per mezzo di sentenza giudiziaria, ossia mediante giudizio emanato dalla autorità competente in conformità della legge. I vari gradi delle istanze giudiziarie si trovano parimente in ambedue; il procedimento mostra presso entrambi i medesimi principali elementi: domanda d'introduzione della causa, citazione, esame dei testimoni, comunicazione dei documenti, interrogatorio delle parti, conclusione del processo, sentenza, diritto di appello.

Ciò nonostante, questa larga somiglianza esterna ed interna non deve far dimenticare le profonde differenze che esistono 1o nella origine e nella natura, 2o nell'oggetto, 3o nel fine. - Ci restringeremo oggi a parlare del primo di questi tre punti, rimandando agli anni futuri, se così piacerà al Signore, la trattazione degli altri due.

I

La potestà giudiziaria è una parte essenziale ed una necessaria funzione del potere delle due società perfette, la ecclesiastica e la civile. Perciò la questione della origine della potestà giudiziaria si identifica con quella della origine del potere.

Ma appunto perciò, oltre alle rassomiglianze già accennate, si è creduto di trovarne altre anche più profonde.

È cosa singolare il vedere come alcuni seguaci delle varie concezioni moderne intorno al potere civile abbiano invocato, a conferma e a sostegno delle loro opinioni, le presunte analogie con la potestà ecclesiastica. Ciò vale non meno per il cosiddetto «totalitarismo» e «autoritarismo», che per il loro polo opposto, la moderna democrazia. Però in realtà quelle più profonde somiglianze non esistono in nessuno dei tre casi, come un breve esame dimostrerà facilmente.

È incontestabile che una delle esigenze vitali di ogni umana comunanza, quindi anche della Chiesa e dello Stato, consiste nell'assicurare durevolmente la unità nella diversità dei suoi membri.

Ora il «totalitarismo» non è mai che possa provvedere a quella esigenza, perchè esso dà al potere civile una estensione indebita, determina e fissa nel contenuto e nella forma tutti i campi di attività, e in tal modo comprime ogni legittima vita propria - personale, locale e professionale - in una unità o collettività meccanica, sotto l'impronta della nazione, della razza o della classe.

Noi abbiamo già nel Nostro Radiomessaggio del Natale 1942 additato particolarmente le tristi conseguenze per il potere giudiziario di quella concezione e di quella prassi, che sopprime la eguaglianza di tutti dinanzi alla legge e lascia le decisioni giudiziarie in balìa di un mutevole istinto collettivo.

Del resto, chi potrebbe mai pensare che simili erronee interpretazioni violatrici del diritto abbiano potuto determinare la origine o influire sull'azione dei tribunali ecclesiastici? Ciò non è stato nè potrà mai essere, perchè contrario alla natura stessa della potestà sociale della Chiesa, come vedremo in appresso.

Ma a quella esigenza fondamentale è ben lungi dal soddisfare anche l'altra concezione del potere civile, che può essere designata col nome di «autoritarismo», perchè esclude i cittadini da qualsiasi efficace partecipazione od influsso nella formazione della volontà sociale. Esso scinde per conseguenza la nazione in due categorie, quella dei dominatori e quella dei dominati, i cui reciproci rapporti vengono ad essere puramente meccanici, sotto l'impero della forza, ovvero hanno un fondamento meramente biologico.

Ora chi non vede come in tal guisa la vera natura del potere statale rimane profondamente sconvolta? Questo infatti, e per se stesso e mediante l'esercizio delle sue funzioni, deve tendere a ciò che lo Stato sia una vera comunità, intimamente unita nello scopo ultimo, che è il bene comune. Ma in quel sistema il concetto del bene comune diviene così labile e si palesa così chiaramente come un ingannevole manto dell'unilaterale interesse del dominatore, che uno sfrenato «dinamismo»legislativo esclude ogni sicurezza giuridica, e quindi sopprime un elemento fondamentale di ogni vero ordine giudiziario.

Giammai un così falso dinamismo non potrebbe sommergere e rimuovere i diritti essenziali riconosciuti alle singole persone fisiche e morali nella Chiesa. La natura del potere ecclesiastico non ha nulla di comune con quell'«autoritarismo», al quale quindi non può riconoscersi alcun punto di riferimento con la costituzione gerarchica della Chiesa.

Resta da esaminare la forma democratica del potere civile, nella quale alcuni vorrebbero trovare una più stretta somiglianza col potere ecclesiastico. Senza dubbio, ove vige una vera democrazia teorica e pratica, essa adempie quella esigenza vitale di ogni sana comunità, a cui abbiamo accennato. Ma ciò si avvera, o può a parità di condizioni avverarsi anche nelle altre legittime forme di governo.

Certamente il medio evo cristiano, particolarmente informato dallo spirito della Chiesa, con la sua dovizia di fiorenti comunità democratiche mostrò come la fede cristiana sappia creare una vera e propria democrazia, ed anzi ne sia l'unica durevole base. Poiché una democrazia senza l'unione degli spiriti, almeno nelle massime fondamentali della vita, soprattutto relativamente ai diritti di Dio e alla dignità della persona umana, al rispetto verso la onesta attività e libertà personale, anche nelle cose politiche una tale democrazia sarebbe difettosa e malferma. Quando dunque il popolo si allontana dalla fede cristiana o non la pone risolutamente come principio del vivere civile, allora anche la democrazia facilmente si altera e si deforma e col trascorrere del tempo è soggetta a cadere nel «totalitarismo» e nell'«autoritarismo» di un solo partito.

Se, d'altra parte, si tiene presente la tesi preferita della democrazia - tesi che insigni pensatori cristiani hanno in ogni tempo propugnata -, vale a dire che il soggetto originario del potere civile derivante da Dio è il popolo (non già la «massa»), si fa sempre più chiara la distinzione fra la Chiesa e lo Stato anche democratico.

II

Essenzialmente diversa dal potere civile è infatti la potestà ecclesiastica, e quindi anche il potere giudiziario nella Chiesa.

L'origine della Chiesa, all'opposto di quella dello Stato, non è di diritto naturale. La più ampia e accurata analisi della persona umana non offre alcun elemento per concludere che la Chiesa, al pari della società civile, avrebbe dovuto naturalmente nascere e svilupparsi. Essa deriva da un atto positivo di Dio, al di là e al di sopra della indole sociale dell'uomo, per quanto con questa in perfetta armonia; perciò la potestà ecclesiastica - e quindi anche il corrispondente potere giudiziario - è nata dalla volontà e dall'atto, con cui Cristo ha fondato la sua Chiesa. Ciò non toglie però che, una volta costituita la Chiesa, come società perfetta, per opera del Redentore, dall'intima sua natura scaturissero non pochi elementi di rassomiglianza con la struttura della società  civile.

In un punto tuttavia quella differenza fondamentale apparisce particolarmente manifesta. La fondazione della Chiesa come società si è effettuata, contrariamente all'origine dello Stato, non dal basso all'alto, ma dall'alto al basso; vale a dire che Cristo, il quale nella sua Chiesa ha attuato sulla terra il Regno di Dio da lui annunziato e destinato per tutti gli uomini di tutti i tempi, non ha affidato alla comunità dei fedeli la missione di Maestro, di Sacerdote e di Pastore ricevuta dal Padre per la salute del genere umano, ma l'ha trasmessa e comunicata a un collegio di Apostoli o messi, da lui stesso eletti, affinché con la loro predicazione, col loro ministero sacerdotale e con la potestà sociale del loro ufficio facessero entrare nella Chiesa la moltitudine dei fedeli, per santificarli, illuminarli e condurli alla piena maturità dei seguaci di Cristo.

Esaminate le parole con le quali Egli ha comunicato loro i suoi poteri: potere di offrire il sacrificio in memoria di lui,[1] potere di rimettere i peccati,[2] promessa e conferimento della potestà suprema delle chiavi a Pietro e ai suoi Successori personalmente,[3] comunicazione del potere di legare e di sciogliere a tutti gli Apostoli.[4] Meditate infine le parole con le quali Cristo, prima della sua ascensione, trasmette a questi medesimi Apostoli la missione universale, che egli ha avuta dal Padre.[5] Vi è forse in tutto ciò qualche cosa che possa dar luogo a dubbi o ad equivoci? Tutta la storia della Chiesa, dal suo inizio sino ai giorni nostri, non cessa di far eco a quelle parole e di rendere la stessa testimonianza con una chiarezza e una precisione che nessuna sottigliezza potrebbe turbare o velare. Ora tutte queste parole, tutte queste testimonianze proclamano all'unisono che nella potestà ecclesiastica l'essenza, il punto centrale secondo la espressa volontà di Cristo, dunque per diritto divino, è la missione data da lui ai ministri dell'opera della salute presso la comunità dei fedeli e presso tutto il genere umano.

Il canone 109 del Codice di diritto canonico ha messo questo mirabile edificio in una chiara luce e in un rilievo scultorio: «Qui in ecclesiasticam hierarchiam cooptantur, non ex populi vel potestatis saecularis consensu aut vocatione adleguntur; sed in gradibus potestatis ordinis constituuntur sacra ordinatione; in supremo pontificatu, ipsomet iure divino, adimpleta conditione legitimae electionis eiusdemque acceptationis; in reliquis gradibus iurisdictionis, canonica missione».

«Non ex populi vel potestatis saecularis consensu aut vocatione»: Il popolo fedele o la potestà secolare possono avere nel corso dei secoli partecipato spesso alla designazione di coloro, cui dovevano essere conferiti gli uffici ecclesiastici - ai quali, del resto, compreso il Pontificato supremo, possono essere eletti, tanto il discendente di nobile stirpe, quanto il figlio della più umile famiglia operaia. In realtà però i membri della Gerarchia ecclesiastica hanno ricevuto e ricevono sempre la loro autorità dall'alto e non debbono rispondere dell'esercizio del loro mandato che o immediatamente a Dio, a cui soltanto è soggetto il Romano Pontefice, ovvero, negli altri gradi, ai loro Superiori gerarchici, ma non hanno nessun conto da rendere né al popolo né al potere civile, salva naturalmente la facoltà di ogni fedele di presentare nelle dovute forme all'autorità ecclesiastica competente, od anche direttamente alla suprema potestà della Chiesa, le sue domande e i suoi ricorsi, specialmente quando il supplicante o ricorrente è mosso da motivi che toccano la sua personale responsabilità per la salute spirituale propria o altrui.

Da quanto abbiamo esposto derivano principalmente due conclusioni:

1o - Nella Chiesa, altrimenti che nello Stato, il soggetto primordiale del potere, il giudice supremo, la più alta istanza d'appello, non è mai la comunità dei fedeli. Non esiste dunque, né può esistere nella Chiesa, quale è stata fondata da Cristo, un tribunale popolare o una potestà giudiziaria promanante dal popolo.

2o - La questione dell'estensione e della grandezza della potestà ecclesiastica si presenta anch'essa in un modo del tutto differente da quella riguardante lo Stato. Per la Chiesa vale in primo luogo la espressa volontà di Cristo, che poteva darle, secondo la sua sapienza e bontà, mezzi e poteri maggiori o minori, salvo sempre quel minimo necessariamente richiesto dalla sua natura e dal suo fine. La potestà della Chiesa abbraccia tutto l'uomo, il suo interno e il suo esterno, in ordine al conseguimento del fine soprannaturale, in quanto che egli è interamente sottoposto alla legge di Cristo, della quale la Chiesa è stata dal suo divin Fondatore costituita custode ed esecutrice, così nel foro esterno, come nel foro interno o di coscienza. Potestà dunque piena e perfetta, quantunque aliena da quel «totalitarismo», che non ammette né riconosce l'onesto riferimento ai chiari e imprescrittibili dettami della propria coscienza e violenta le leggi della vita individuale e sociale scritte nei cuori degli uomini.[6] La Chiesa infatti con la sua potestà mira non ad asservire la persona umana, ma ad assicurarne la libertà e la perfezione, redimendola dalle debolezze, dagli errori e dai traviamenti dello spirito e del cuore, i quali, prima o poi, terminano sempre nel disonore e nella schiavitù.

Il carattere sacro, che alla giurisdizione ecclesiastica deriva dalla sua origine divina e dalla sua appartenenza alla potestà gerarchica, deve ispirarvi, diletti figli, un'altissima stima del vostro ufficio e spronarvi ad adempirne con viva fede, con inalterabile rettitudine e con sempre vigile zelo gli austeri doveri. Ma, dietro il velo di questa austerità, quale splendore si rivela agli occhi di chi sa vedere nel potere giudiziario la maestà della giustizia, la quale in tutta la sua azione tende a far apparire la Chiesa, la Sposa di Cristo, «santa e immacolata»[7] davanti al suo Sposo divino e davanti agli uomini! In questo giorno in cui si apre il vostro nuovo anno giuridico, Noi invochiamo sopra di voi, diletti figli, i favori e gli aiuti del Padre dei lumi, di Cristo, al quale Egli ha rimesso ogni giudizio,[8] dello Spirito d'intelletto, di consiglio e di fortezza, della Vergine Maria, specchio di giustizia e sede della sapienza, mentre con effusione di cuore impartiamo a voi tutti qui presenti, alle vostre famiglie, a tutte le persone che vi sono care, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.


[1] Lc 22, 19.

[2] Gv 20, 21-23.

[3] Mt 16, 19; Gv 21, 15-17.

[4] Mt 18, 18.

[5] Mt 28, 18-20; Gv 20, 21.

[6] Rm 2, 15.

[7] Ef 5, 27.

[8] Gv 5, 22.

           



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